
Dieci nomination all’Oscar, fra cui quelle eccellenti per il miglior film, miglior protagonista e miglior regia. Tre Golden Globes vinti, e il Leone d’oro, lo scorso settembre, alla Mostra del cinema di Venezia. È The Brutalist la scommessa più riuscita dell’anno: tre ore e 35 minuti sul sogno di un architetto visionario ebreo ungherese in America.
Recensioni in cima alla scala Mercalli per il modo in cui Brady Corbet, il regista, racconta una storia di migrazione e di ostinazione, in cui l’American dream può realizzarsi o franare rovinosamente.
In tutto questo, c’è anche una incursione in Italia.
Nella storia dell’architetto immaginario László Toth, interpretato da Adrien Brody, e del suo progetto di creare un immenso edificio, la cui costruzione richiederà trent’anni, c’è un determinante viaggio in Toscana per cercare il marmo necessario al suo progetto. Affascinato da quel marmo, come lo era stato cinque secoli prima Michelangelo.
Il set del film, a Carrara, era davanti alla antica drogheria Riacci, fondata nel 1888, con i suoi arredi fin de siècle, soprattutto, nelle cave di marmo delle Alpi Apuane: una sinfonia di angoli acuti in grigio e bianco ghiaccio.
Per tutte le – impegnative – riprese toscane è stato determinante il lavoro della Film commission toscana, e quello di una società di produzione italiana, con una lunga esperienza internazionale e un Emmy Award in ufficio: la Ecoframes di Andrea Poli.
Fiorentino, 52 anni, Poli è stato assistente di regia nel film Inferno di Ron Howard con Tom Hanks, ha collaborato alla realizzazione di Après mai di Olivier Assayas, ha vinto l’Emmy award come “field producer” per CBS Sunday Morning Special, uno speciale della CBS girato in Toscana. È stato direttore della fotografia per numerosi documentari e campagne pubblicitarie. Lo abbiamo intervistato per The Hollywood Reporter Roma.

Brady Corbet e il producer Andrea Poli. @THR, 2025
Andrea, iniziamo da The Brutalist. Qual era la sua qualifica? E che cosa avete fatto, esattamente, nel film?
Abbiamo gestito tutta la parte produttiva del set italiano. Abbiamo individuato le location adatte, insieme alle location manager, Sara Moretti e Simona Serafini, e all’assistente alla produzione Andrea Galavotti. Se vuoi la dicitura ‘precisa’, ero ‘italian unit production manager’.
Avete tenuto contatti con la Film commission, immagino…
Sì: con Raffaella Conti, Elisa Favilli ed Elisa Giusti. E poi abbiamo fornito attrezzature, organizzato i trasporti, fornito operatori steadicam, e molte altre cose pratiche.
Complicate, perché le cave di marmo non sono facilmente raggiungibili.
Si trattava praticamente di girare su dei costoni di roccia, in montagne già poco agevoli da raggiungere in condizioni normali: figuriamoci portarci una troupe di un centinaio di persone, e cineprese con pellicola 70millimetri! Abbiamo girato in Vistavision, praticamente con lo stesso standard di Hitchcock!
La fase di preparazione che cosa comporta?
Dapprima abbiamo avuto una call su Zoom, con il regista e i suoi collaboratori. Ci hanno spiegato l’idea a grandi linee, ci siamo subito entusiasmati: poi ci è arrivata una sceneggiatura del film. Poi è arrivato Brady Corbet, e abbiamo inziato i sopralluoghi.
Com’è andata?
Brady è un ragazzo di trentacinque anni, che ha una passione enorme, ha voglia di lavorare. C’è da scalare la roccia? Ci spelleremo le mani e ci spaccheremo le ginocchia? E che problema c’è? Si va! Questo era il suo atteggiamento. 4-
[foto di Brady Corbet e Andrea Poli]
Vi siete arrampicati molto?
Consigliati dai cavatori di marmo, siamo arrivati in luoghi riservati, praticamente segreti, delle cave. Abbiamo visto cose…
Lei è anche direttore della fotografia. È stato difficile girare, mantenere l’equilibrio nella esposizione, con tutto quel bianco?
Abbiamo avuto fortuna: quando si è girato con Adrien Brody e Guy Pearce pioveva, ed eravamo immersi letteralmente nelle nuvole. C’era una nebbia biancastra, il pavimento delle cave bianco, sembrava di essere in un sogno di Fellini.
Le condizioni climatiche, in generale, come erano?
Assurde. Pioveva, un freddo bestiale, eravamo in condizioni di estrema difficoltà. Ma così come lo soffrivamo noi, lo soffrivano gli attori, il regista…
Ricorda uno di quei momenti di sofferenza?
Con Adrien Brody, stavamo girando con la ‘marmorina’, il fango bianco, fino alle caviglie. Pioggia, un freddo tremendo. Chiedo: Adrien, hai bisogno di qualcosa? ‘No no, non ti preoccupare, sto benissimo, stiamo andando alla grande’. E so che tremava di freddo, quasi non riuscivamo a camminare, nessuno di noi. Ma Adrien mi ha voluto rassicurare, e dirmi ‘sto bene, va tutto bene, andiamo alla grande’. Ecco perché, in vent’anni che faccio questo mestiere, questa è stata l’esperienza umana più bella.
Come racconterebbe i suoi vent’anni di lavoro?
Sono cresciuto portando le valigette e i cavi, da ragazzo di bottega delle produzioni. E ho proseguito, sempre e solo per passione. Adesso possiamo realizzare un film dall’A alla Z.
Un’ultima cosa: l’Emmy dove lo tiene? In ufficio?
No: se devo essere sincero, ce l’ho in casa!
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