
The Hollywood Reporter ha incontrato il regista Adriano Valerio alla Settimana della Critica di Berlino, in occasione dell’anteprima tedesca del suo documentario del 2023, Casablanca. Il film è stato selezionato in una rassegna che ha abbracciato tante forme diverse dell’audiovisivo, permettendo dei lunghi dibattiti dopo le proiezioni.
Autore poliglotta e itinerante, vincitore del David di Donatello, del Nastro d’Argento, do una Menzione Speciale al Festival di Cannes, Adriano Valerio vede nel viaggio il cuore della sua ricerca. Affascinato dallo spazio mininale tra la realtà e la finzione, nei suoi lavori indaga il concetto di spaesamento. È l’unico italiano presente alla rassegna.
Che effetto ti ha fatto presentare il tuo film a Berlino? Hai trovato un pubblico diverso rispetto a quello di Venezia, Toronto, Hangzhou in Cina?
Il film ha viaggiato molto: da Venezia a Marrakech a Mosca, ha visto una quarantina di festival. In generale è stato accolto con calore. A Berlino ho sentito dell’affetto ma c’è stata anche una discussione molto elaborata e intellettuale su tutto l’aspetto politico del film, ancora più sentito rispetto alle altre occasioni. Per ogni serata della Settimana della Critica c’è una forma diversa di dibattito. La sera del 13, quattro critici hanno parlato di un film (East of Noon) senza che la regista (Hala Elkoussy, presente in sala) potesse intervenire. Trovo molto interessante sia la selezione di quest’anno, sia questa maniera di approfondire le opere. I dibattiti sono lunghi e acuti, prendono spazio quasi quanto i film.
In Casablanca la storia d’amore tra Fouad (un immigrato in attesa del permesso di soggiorno) e Daniela (una donna con problemi di alcolismo) è stata un pretesto per parlare di politica o la politica è stata un pretesto per raccontare una storia d’amore? È un atto politico oggi raccontare una storia d’amore?
Questo film è stato tante cose diverse. È iniziato con un forte sentimento di empatia verso i personaggi ma spinto anche da un grande sentimento politico. L’abbiamo girato in cinque anni e tutto ciò è stato assorbito dal film. La struttura, però, poteva prendere forme diverse. Poteva diventare un film davvero sull’immigrazione; o un film in cui raccontavo il mio fallimento come regista, nel generare un dibattito sui protagonisti all’interno della loro comunità dopo il corto che ho girato su di loro e che è lo spunto di partenza di Casablanca; o ancora, un film sulla marginalizzazione ulteriore di Fouad o sull’ambizione di Daniela di diventare attrice. Mi sembrava che la storia d’amore fosse la sintesi migliore. È un pretesto per parlare di politica. Una storia molto specifica che ha trovato una sua universalità.
A che progetti stai lavorando adesso di cui ci puoi parlare?
Vivo da ventidue anni nel paese dove c’è il migliore sistema di finanziamento di film, cioè la Francia, e solo adesso sto sviluppando un progetto a priorità francese, di finzione. Ho insegnato in Burundi, in Marocco e in Libano per cinque anni. Adesso sono il direttore artistico di Meditalents, una sorta di script lab, per documentari e per film di finzione. Sono tutti progetti di registi del Mediterraneo. Ho selezionato documentari e i lungometraggi di molti paesi del bacino del Mediterraneo, dalla Palestina alla Turchia passando per Algeria e Albania. In Francia insegno all’École Louis Lumière. E in Italia insegno alla Holden un corso che si chiama Sguardo, dove in maniera molto libera analizzo delle forme narrative: come creare un punto di vista, come raccontare la violenza allo schermo, così come la sessualità e la sensualità.
Sei un regista italiano che vive a Parigi e non rinuncia mai a viaggiare. Che rapporto hai con l’Italia?
Ho sempre provato dell’attaccamento per l’Italia, non ho mai smesso di leggere i giornali italiani. Sento più pertinente raccontare il problema di un pensionato medio italiano piuttosto che soffermarmi sulla borghesia francese. Anche viaggiando e provando a vedere più posti possibili, riconosco una matrice e un’aderenza alle storie italiane. Quando sono io a lanciare una storia, voglio che sia ambientata in Italia. Mi sento più a mio agio, più protetto, più pertinente.
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