Una manciata di immagini ossessionanti fa da filo conduttore tra i 22 cortometraggi di “From Ground Zero“, la toccante proposta della Palestina per gli Academy Award: il sinistro ronzio dei droni che pattugliano i cieli di Gaza, i corpi intrappolati sotto cumuli di macerie che punteggiano quartieri un tempo brulicanti di vita, e gli agglomerati di tende che ospitano persone costrette a vivere in un nomadismo forzato. Sorprendenti nella loro familiarità, queste scene sono diventate la sintesi di un incubo senza fine. Chiunque abbia seguito l’incessante e crescente bombardamento di Gaza da parte di Israele negli ultimi 16 mesi – che sia attraverso gli occhi di giornalisti come Bisan Owda (vincitrice di un Emmy per i suoi reportage) o di civili che chiedono aiuto per fuggire dall’enclave assediata – riconoscerà queste immagini.
Ma in “From Ground Zero“, un’opera antologica prodotta dal regista palestinese Rashid Masharawi e distribuita da Watermelon Pictures, queste immagini assumono un significato diverso. Non danno una semplice visione della vita a Gaza. Sono un punto di partenza, un mezzo attraverso il quale questi cineasti elaborano il loro doloroso presente e delineano visioni di speranza per il futuro.
Le istantanee di tre-sei minuti che compongono questo film sono state commissionate da Masharawi, che ha chiesto ad artisti di Gaza di presentare progetti che mostrassero la vita quotidiana nel territorio palestinese. Non limitandosi a nessun genere specifico, molti dei corti trovano forza e libertà nell’abbattimento dei confini tra narrativa e documentario. Sperimentano con la forma, utilizzando testimonianze in prima persona, quasi diaristiche, o animazioni in stop-motion per raccontare storie di morte, sfollamento e sopravvivenza.
Il fatto che “From Ground Zero” – che è arrivato nella shortlist di 15 titoli per la categoria Miglior Film Internazionale agli Oscar – esista è a dir poco un miracolo. Se fare un film è già un’impresa ardua in circostanze fortunate, possiamo solo immaginare gli ostacoli affrontati da questi cineasti che cercano di sopravvivere all’annientamento.
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