Ho trascorso il mio primo decennio a New York lavorando negli ex uffici di Variety su Park Ave. South e più di una volta mi sono ritrovato a condividere l’ ascensore con James Earl Jones mentre andava o tornava da Verizon per girare spot pubblicitari. Il gigante del mondo attoriale, morto oggi all’età di 93 anni, non mancava mai di un caloroso “Buongiorno” o “Buon pomeriggio”, e anche se non avessi riconosciuto il suo volto o la sua imponente statura (1,88 metri) non avrei mai potuto confondere quella voce così potente.
Si trattava infatti della voce bassa, roboante e tremenda proveniente da dietro la maschera minacciosa di Dart Fener nella saga di Star Wars, a partire dal film originale del 1977, ma era anche il vigoroso ruggito di Mufasa, re delle Terre del Branco e padre di Simba ne Il Re Leone.
Era anche la voce di un attore teatrale venerato, che costruì la sua reputazione negli anni ’60 e ’70, affrontando i grandi ruoli classici nelle produzioni dello Shakespeare in the Park di Il racconto d’inverno, Otello, Troilo e Cressida, Coriolano, Amleto e Re Lear. La sua versatilità lo portò a interpretare Hickey in The Iceman Cometh, Lennie in Uomini e topi, Lopachin in Il giardino dei ciliegi e Troy Maxson in Fences.
Ho potuto ammirare la sua interpretazione dell’eroe tragico nel capolavoro di August Wilson del 1985 solo in video, nella preziosa Biblioteca per le Arti dello Spettacolo del Lincoln Center. Anche senza la magia del teatro dal vivo, risuonavano forti e chiari il pathos e l’orgoglio, la forza di volontà che maschera uno spirito spezzato nel suo ritratto di un netturbino di Pittsburgh amareggiato per la carriera nella Major League Baseball che gli è stata negata. L’interpretazione gli valse il secondo dei suoi tre Tony Awards.
Poiché Jones rimase così fedele alle sue radici teatrali, ho avuto la fortuna di vederlo sul palco diverse volte. La prima fu il suo ritorno a Broadway dopo quasi due decenni di assenza, recitando accanto a Leslie Uggams in un revival del 2005 di Sul lago dorato di Ernest Thompson. Anche in quella produzione un po’ traballante, Jones era maestoso, elevandosi al di sopra del personaggio stereotipato dell’amabile burbero per infondergli un’intelligenza brillante, un umorismo malizioso e una vulnerabilità straziante quando un problema di salute mette a nudo la sua paura della morte.
Nel 2008, ha interpretato il dispotico patriarca del Sud, Big Daddy, in una produzione non perfetta ma tutta afroamericana di La gatta sul tetto che scotta, e poi è tornato due anni dopo, facendo coppia con Vanessa Redgrave, i cui combinati talenti hanno elevato la barcollante A spasso con Daisy.
Jones ha continuato a lavorare sul palco fino ai suoi ottant’anni, dimostrando, nelle sue otto esibizioni settimanali, una disciplina e una resistenza che molti attori più giovani faticano a mantenere.
Nella satira elettorale di Gore Vidal, The Best Man, Jones era uno dei due ottuagenari che hanno rubato la scena (l’altro era Angela Lansbury), interpretando un ex presidente ormai al termine della sua vita, che viene però rinvigorito da una corsa controversa alle primarie mentre gioca d’astuzia su quale candidato otterrà il suo appoggio.
Adorabile nel ruolo di nonno benevolo di un’eccentrica famiglia nel frizzante revival del 2014 della commedia Non puoi portarlo con te di Moss Hart e George S. Kaufman, interpretando il personaggio con un luccichio negli occhi ma anche con serietà e saggezza, per renderlo un efficace pacificatore nei momenti di crisi. “La vita è piuttosto bella se la lasci venire a te”, ha detto in una delle battute più memorabili della commedia del 1936.
L’ultimo ruolo a Broadway di Jones, nel 2015, è stato insieme ad un altro titano del palcoscenico, recitando accanto a Cicely Tyson nei panni di residenti litigiosi e chiacchieroni di una casa di riposo in The Gin Game. La commedia, piuttosto esile, è stata arricchita e resa vivace dalla gioia di vedere due veterani professionisti stimolarsi l’un l’altro. Jones ha ricevuto un Tony alla carriera l’anno successivo.
Sebbene avesse debuttato nel cinema con un piccolo ruolo nel film di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore del 1964, il mio primo incontro con Jones sullo schermo fu in tarda notte in TV nel film di Martin Ritt del 1970 La grande speranza bianca, adattato dall’opera teatrale che aveva fatto vincere a Jones il suo primo Tony l’anno precedente.
Lo troviamo nel ruolo di Jack Jefferson, un personaggio basato sul pugile reale Jack Johnson, la cui serie di vittorie irritava gli sportivi razzisti che cercavano un sfidante bianco per abbattere il campione dei pesi massimi. Alla fine, la sconfitta di Jack arriva quando le autorità lo prendono di mira per la sua relazione con una donna bianca, interpretata da Jane Alexander, anch’essa premiata con il Tony.
Quel film, che valse a Jones la sua prima e unica candidatura all’Oscar (l’Academy gli conferì un premio onorario nel 2012), aprì una carriera cinematografica che sarebbe durata sei decenni, anche se raramente gli furono offerte le opportunità da protagonista che un attore bianco del suo calibro avrebbe ottenuto.
La sua voce tonante lo rendeva perfetto per ruoli autoritari, ma Jones irradiava forza anche nel silenzio. Sapeva modulare quel potente strumento che era diventato il suo marchio di fabbrica per portare alla luce sia sfumature calde e affettuose nei ruoli più paterni, mostrando grande profondità di sentimento, sia toni arroganti o invece più umili.
Oltre a Dart Fener, il pubblico cinematografico probabilmente conosce Jones anche per il suo ruolo di Ammiraglio James Greer in tre adattamenti di Tom Clancy: Caccia a Ottobre Rosso, Giochi di potere e Sotto il segno del pericolo; e come il re di una nazione africana immaginaria in Il principe cerca moglie e il suo sequel, che è stata la sua ultima apparizione cinematografica.
Altri ruoli cinematografici di rilievo includono il ministro della chiesa sudafricana il cui figlio viene arrestato per omicidio in Cry the Beloved Country; il rappresentante dei minatori neri della Virginia Occidentale nel dramma sindacale di John Sayles Matewan; e l’autore e attivista disilluso che aiuta il contadino dell’Iowa interpretato da Kevin Costner a realizzare il sogno di un campo da baseball nella sua coltivazione di mais, dove sono accolti i fantasmi di giocatori leggendari, nel dramma fantastico L’uomo dei sogni.
Preferisco ricordare Jones in uno dei suoi primi e forse più insoliti ruoli cinematografici, la commedia drammatica e romantica Claudine , del 1974, in cui recitava come un netturbino che si innamora del personaggio principale interpretato da Diahann Carroll, una madre single che cresce sei figli ad Harlem.
È un film delizioso, dolceamaro e divertente, con interpretazioni incandescenti dei protagonisti. Claudine sfidava la tendenza del Blaxploitation dell’epoca, ponendo l’accento sulle speranze e sui i sogni degli americani neri comuni alle prese con la povertà, le ummiliazioni e l’ineguaglianza sistemica. Ha anche una colonna sonora fantastica di Curtis Mayfield, con la voce di Gladys Knight & the Pips.
Oppure, potrei semplicemente scegliere di ricordare Jones con affetto, come l’elegante gentiluomo dell’ascensore.
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