Una donna (Salma Hayek Pinault) entra in una piazza con un edicola e con alcune persone che si godono un caffè pomeridiano. Si avvicina all’edicola e sfoglia un mucchio di giornali prima di fare una domanda al venditore (Demián Bichir), un uomo anziano con spalle curve e occhiali da lettura sul naso. La sua voce è misurata, come se il suo tono reale stesse lottando per uscire. Implora l’uomo di chiudere l’edicola e bere qualcosa con lei. La sua dolcezza studiata diventa più insistente con il rifiuto dell’uomo. Non è una richiesta, ma un ordine.
Presentato in anteprima al Toronto Film Festival, Without Blood è l’ultima incursione di Angelina Jolie nella regia. L’attrice, che sta facendo scalpore in questa stagione cinematografica con la sua performance in Maria di Pablo Larraín, ha adattato questo apologo dalla trama sottile partendo dalla novella omonima dello scrittore italiano Alessandro Baricco. Without Blood, che indaga in modo indiretto il peso psicologico e generazionale della guerra.
La Jolie percorre un terreno familiare: alcuni dei suoi precedenti lavori come regista, tra cui In the Land of Blood and Honey, Unbroken e First They Killed My Father, si sono svolti sullo sfondo angosciante della guerra. Mentre questi ultimi si basavano su conflitti reali come la guerra in Bosnia o il regime dei Khmer Rossi in Cambogia, Without Blood non fa riferimento a nessun luogo o epoca specifica. Questa mancanza di specificità avrebbe potuto funzionare nelle mani di un regista più audace, ma l’approccio della Jolie alla regia sembra rigido come il primo incontro della donna con l’edicolante. Nonostante alcuni lampi brillanti, specialmente nel trasmettere la frammentazione del trauma, la vaghezza di Without Blood finisce per attenuare molti dei suoi messaggi.
Un’inquietante tensione aleggia nell’aria mentre l’uomo e la donna si sistemano in un ristorante vicino. Lei inizia a raccontare la sua storia, parte della quale viene mostrata all’inizio in una scena imbastita con sicurezza. Il suo nome è Nina e, quando era una bambina, tre uomini fecero irruzione in casa sua e giustiziarono suo padre (Alfredo Herrera) e suo fratello (Alessandro D’Antuono). Mentre le urla di suo padre riecheggiavano nel bungalow e il sangue di suo fratello le colava sulla caviglia, Nina si era nascosta in silenzio in un nascondiglio sotto alcune assi del pavimento.
Il suo destino era diventato leggenda in questo paese senza nome, dove una battaglia durata anni si svolgeva tra due fazioni. Se è vero che non c’è alcun chiarimento sulla natura politica e geografica del conflitto, secondo la Jolie non è rilevante. Without Blood è più interessato a come ogni guerra ferisca le persone, dalle vittime più giovani ai carnefici più anziani. La maggior parte del film si svolge in un caffè, dove Nina e l’uomo, il cui nome scopriremo poi essere Tito, si scambiano versioni diverse del destino di lei. Nel racconto di Nina, viene adottata da un farmacista (Pedro Hernández), che la cede a un conte (Luis Alberti) attraverso un gioco d’azzardo. Finisce per sposarsi a 14 anni e dare al ricco barone tre figli. Secondo Tito, invece, l’unione di Nina fu un tentativo fallito di assassinio trasformatosi in matrimonio: il conte si innamorò di lei invece di ucciderla. La verità si trova tra i ricordi spezzati di Nina e nelle vaghe reminiscenze di Tito. Tra questi scambi, una serie di frasi fatte sui pericoli (ma mai sui dettagli) della guerra.
La conversazione tra Nina e Tito oscilla tra momenti coinvolgenti e altri più noiosi, resi più interessanti dalla tesa interazione tra la Hayek e Bichir. La loro chimica è definita da un riconoscimento reciproco e da un trauma condiviso. La Hayek si concentra su gesti sottili (lacrime che le riempiono gli occhi, il cucchiaio afferrato con maggiore forza, labbra serrate) per trasmettere la profondità del dolore del suo personaggio. Bichir trasmette con efficacia i cambiamenti sottili richiesti dal suo personaggio, la cui innocenza tende a svanire durante i rapidi 90 minuti del film.
Tuttavia, il linguaggio visivo eccessivamente cauto dela Jolie limita l’impatto del dramma. I flashback sul passato della coppia offrono alcuni momenti dinamici, come riprese dall’alto che suggeriscono che Tito abbia osservato Nina nel corso degli anni, accennando ai loro destini intrecciati. C’è bellezza, anche quando la Jolie cattura la vividezza del paesaggio dai toni ocra. Per la maggior parte del tempo però, si affida a primi piani, alternando i volti dei due commensali con montaggi diretti curati da Xavier Box e Joel Cox.
Che persone innocenti soffrano a causa dei conflitti non è una pensiero inedito. Ma sembra essere l’unico punto che Without Blood riesce a esprimere quando non si concentra (in modo più interessante) sull’osservare come il trauma viva nel corpo e plasmi la mente. Nonostante momenti riusciti, la storia alla fine appare troppo esile per sostenere il peso delle sue tematiche.
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