Non voglio dire che The Penguin di HBO sia derivativo, ma è il secondo film in meno di sei mesi in cui Colin Farrell interpreta un personaggio ossessionato dal glamour dei vecchi film di Hollywood in bianco e nero. È una malinconia struggente per un mondo che non esiste più, pieno di mistero e moralità ormai perduti.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’ondata di storie sulle origini di famosi cattivi, da Norman Bates al Joker fino a metà del catalogo Disney. Questi approcci revisionisti invitano il pubblico a empatizzare con figure tradizionalmente considerate malvagie, suggerendo che anche i peggiori personaggi abbiano radici in condizioni umane profondamente riconoscibili: solitudine, traumi, malattie mentali curabili, o anche solo l’odio per i dalmata.
Sembra che ci vogliano dire “Dietro la storia che conosci, c’è una storia che non hai mai considerato”, aprendo così nuovi percorsi narrativi che ci risparmiano l’ennesima rappresentazione della morte dei genitori di Bruce Wayne. The Penguin si inserisce in questa tradizione, spin-off di The Batman, che già aveva portato sul grande schermo un approccio realistico e terreno al mondo DC Comics. Farrell, quasi irriconoscibile sotto strati di protesi, era un gestore di night club e gangster di secondo piano. Qui, tuttavia, la sua trasformazione in un “anti-eroe” mafioso risulta un po’ troppo familiare: un riflesso di personaggi che abbiamo già visto in altre serie negli ultimi 25 anni, da I Soprano in poi.
Il creatore della serie, Lauren LeFranc, ha rivisitato Oswald Cobblepot, il cui cognome sembra sia stato abbreviato all’arrivo a Ellis Island, trasformandolo in un anti-eroe tipico delle serie di prestigio degli anni 2000. Un personaggio che non è tanto interessante per le sue peculiarità uniche, quanto per il fatto che ci siamo abituati a personaggi simili sul piccolo schermo.
Forse non sorprende, quindi, che il vero fulcro dello show non sia il protagonista, ma Sofia Falcone, interpretata in modo magistrale da Cristin Milioti. L’azione riprende dopo gli eventi di The Batman, con la distruzione della diga di Gotham e l’allagamento della città. Con Carmine Falcone morto e Salvatore Maroni in prigione, c’è un vuoto di potere nel sottobosco criminale della città. Sofia, appena uscita dal manicomio di Arkham, dove è stata rinchiusa per un decennio, è l’unica a intuire il potenziale nascosto di Oswald, ex suo autista. I due, con un passato oscuro, si scontrano in una lotta di potere, in un contesto in cui il Batman di Pattinson è del tutto assente.
Gotham, città cupa e decadente, riflette una realtà americana sull’orlo di una ribellione di classe. Le istituzioni sono corrotte e nelle mani dell’1%, in un’ambientazione che richiama classici del genere mafioso come Il Padrino e La furia umana. Tuttavia, lo sviluppo rapido della trama costringe la serie a una frenesia di alleanze tradite, tortura sadica e cicli di violenza ripetitiva. La professionalità non manca, ma ciò che manca è un po’ di creatività.
Colin Farrell, nascosto sotto un trucco prostetico eccezionale, porta sullo schermo un Pinguino infuriato e vulnerabile, capace di esprimere emozioni attraverso i suoi occhi sempre visibili. Tuttavia, nonostante il suo sforzo, resta la sensazione che questo ruolo avrebbe potuto essere l’occasione di lancio per un caratterista meno noto. Invece, Farrell sembra fare un omaggio un po’ esagerato a James Gandolfini de I Soprano.
La vera rivelazione è Milioti, che rende Sofia un personaggio complesso, vittima tragica e simbolo di tutto ciò che non va a Gotham. Il rapporto tra lei e Farrell è la dinamica migliore della serie, ma purtroppo raggiunge il suo culmine troppo presto, lasciando un vuoto narrativo negli episodi successivi.
The Penguin si posiziona nel mezzo del genere delle storie sulle origini dei cattivi. Mentre alcuni show simili riescono a emergere, come Bates Motel o Perry Mason, altri si perdono per mancanza di originalità.
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