Esclusiva: Boy George si confessa a The Hollywood Reporter Roma

Alla vigilia del concerto di Capodanno al Circo Massimo, il leader dei Culture Club parla del suo recente tour mondiale, del suo amore per l'Italia e del perché rifiuta etichette come quella "LGBTQIA+"

Boy George e i Culture Club arrivano a Roma e saranno tra i protagonisti di un cast stellare al concerto del 31 dicembre al Circo Massimo, che vedrà la partecipazione anche di DJ Gabry Ponte, della PFM, dell’Orchestraccia, della Notte della Taranta e di Andrea Rivera.

George Alan O’Dowd, il 63enne fondatore dei Culture Club, ha rilasciato un’intervista esclusiva a The Hollywood Reporter Roma, raccontando che, sebbene si sia esibito come DJ a Milano nel corso degli anni, questo sarà il suo primo concerto in Italia dal 2010. Il musicista che ha regalato al mondo successi come “Karma Chameleon”, “The Crying Game” e “Do You Really Want to Hurt Me” ha rivelato di essere al lavoro su due film. Un documentario sulla storia dei Culture Club e un altro progetto sulla vita di Boy George.

Nell’intervista, George critica l’uso del termine LGBTQIA+. “Capisco che è il modo in cui le persone parlano oggi. Ma io non mi sento… nel contenitore LGBTQIA+ , Plus tu, Plus io, Plus loro. Voglio dire, appartengo all’umanità, e quando il mio pubblico viene ai miei concerti, non sto lì a controllare chi sono. Sei questo? Sei quello? Certo che no”.

Il cantante britannico non vede l’ora di augurare al suo pubblico al Circo Massimo un “Buon Anno, Roma” martedì sera e ha intenzione di cantare almeno una canzone in italiano.

Ecco l’intervista:

George, siamo davvero emozionati per questo concerto di Capodanno a Roma. Raccontaci. Sei carico?

Beh, sono sempre emozionato di esibirmi. Abbiamo appena finito un tour nel Regno Unito due settimane fa, quindi siamo pronti. Siamo “in forma partita”, come si dice, quindi è un bene. Ed è sempre divertente salire sul palco, perché non sai mai come sarà il pubblico. Ma è il mio lavoro, come leader della band, sedurre le persone. Quindi non vedo l’ora di farlo, di creare una connessione. Ovviamente sarà interessante perché, sai, c’è una barriera linguistica.

Non c’è barriera linguistica con Karma Chameleon o con qualsiasi altro tuo successo.

Quando mi esibisco, parlo molto, sai, parecchio. Sono un artista molto loquace. Quindi sarà interessante. Parlo un pochino di italiano, non abbastanza per avere una conversazione intelligente, ma farò del mio meglio.

Ti ricordi l’ultima volta che sei stato in Italia? Credo fosse circa 10 o 15 anni fa al Gay Village di Roma.

Ricordo benissimo, perché ho cantato “You Don’t Have to Say You Love Me” e la stavamo facendo nel nostro set. E mentre la cantavo, ho improvvisamente sentito il pubblico cantare, ma cantavano in italiano. E ho capito che si trattava di una canzone italiana molto famosa, “Io che non vivo (senza te)”. E ho pensato tra me e me, devo impararla in italiano. Quindi la canterò martedì 31 dicembre a Roma.

In italiano. Oh, fantastico! Una canzone in italiano da Boy George. Quindi, dirai “buona sera, Roma”?

Buona sera, Roma.

Perfetto. Tornando all’Italia… L’Italia è un paese che sta attraversando ogni sorta di sconvolgimento sociale, ma il sindaco di Roma mi ha detto di essere molto contento del tuo arrivo, il sindaco Roberto Gualtieri. Ha detto che rappresenti la tolleranza e l’inclusione la parte progressista e tutti i valori che sono importanti per lui qui a Roma. Fa parte del tuo messaggio?

Fin dall’inizio di questa band, e del mio percorso come artista, mi sono sempre considerato un performer molto aperto in termini di, sai, chi viene ai nostri spettacoli. All’inizio dei Culture Club, era piuttosto strano vedere il pubblico che avevamo, sai, perché prima che diventassimo famosi, il nostro pubblico era composto da ragazzi dei club, ragazzi che indossavano Vivienne Westwood, ragazzi truccati. E poi, quasi da un giorno all’altro, è diventato un pubblico molto misto di ragazze, madri e tutti, sai? E penso di non essere pretenzioso, e non lo sono mai stato, e vestirmi per me era una cosa molto personale. Non si trattava di ciò che provavano gli altri o di cosa avrebbero fatto. Voglio dire, certo che mi piace la reazione, perché mai faresti qualcosa per essere semplicemente ignorato? Ma non ho mai voluto essere un antagonista di qualcuno o qualcosa. L’ho fatto solo perché mi piacciono i cappelli e mi piacciono i bei vestiti e mi piacciono i colori e mi piacciono i gioielli e mi piace la musica e, sai, l’architettura e la scultura e le pentole e le padelle e tutta quella roba lì. Poi penso che la personalità di un bambino sia scolpita nella pietra già a volte quando nasce. E io sarei sempre stato me stesso. Non ci sarebbe mai stata un’altra versione di me.

Questo mi porta alla mia prossima domanda: essere te stesso negli anni ’80 era in realtà anche coraggioso. Ti considereresti un pioniere nella consapevolezza di sé della comunità LGTBQIA+ o nella sua capacità di essere accettata dal mainstream?

Sono un po’ a disagio con tutta questa storia di essere messo in un gruppo. Capisco che è il modo in cui le persone parlano oggi. Ok. Ma non mi sento veramente… LGBTQI+ Plus tu, Plus io, Plus loro.

Mettiamo da parte questo allora.

Voglio dire, appartengo all’umanità, e quando il mio pubblico viene ai miei spettacoli, non sto lì a controllare chi sono. Sei questo? Sei quello? Certo che no. Ero diverso perché ho avuto la fortuna di arrivare prima che le persone scoprissero di aver capito tutto.

Sai, è molto facile ora dire, oh, sei questo, quindi questo è ciò che penso di te. E in realtà, tutti gli esseri umani sono multi-universi. Sai, non siamo la nostra sessualità, non siamo la nostra cultura. Queste cose ovviamente sono belle e possiamo celebrarle. Ma siamo più di questo, sai? E mi delude un po’ dopo tutto questo tempo quando la gente dice, oh, è solo questo? Sai, perché all’inizio dei Culture Club, tutte le domande erano sul mio cappello e, sai, la gente mi parlava come se fossi un “cavallo da corsa” della moda. Venivo percepito come se non avessi sostanza, era tutta una questione di vestiti.

Si amo i vestiti, ma in realtà non mi interessano i vestiti. Mi interessano le persone, mi interessano le risate, l’amore. Credo che la felicità sia nelle piccole cose. Sono molto fortunato a fare quello che faccio. Mi sento molto fortunato di poter uscire e intrattenere le persone, ma sono un essere umano senza pregiudizi. Penso che il problema, quando metti le cose in una scatola e dici che sei questo o quello o sei italiano o sei gay o sei nero o sei bianco, è che può ridurre chi sei al punto che le persone pensano di sapere tutto ciò che devono sapere su di te, e smetti di essere un essere umano.

È molto interessante e molto importante quello che dici, perché in realtà stai dicendo che il mondo intero è stato ridotto a stereotipi, come woke o anti-woke, e non c’è senso della bellezza naturale del tuo corpo.

Con l’età, cerco di non avere opinioni su cose che non posso cambiare. Quindi non sono uno che se ne sta seduto a lamentarsi del mondo. Mi concentro esclusivamente sul mio comportamento, su come tratto le persone, su come sono nelle mie interazioni con le persone che incontro ogni giorno, su come sono sul palco, semplicemente su come tratto le persone, perché questa è l’unica cosa su cui ho controllo.

Posso farti una domanda sul palco? A Roma eseguirai il tuo nuovo successo che hai fatto con Nile Rodgers, il brano “Electric Energy?   

Probabilmente non in questo show perché è stato organizzato molto rapidamente. Letteralmente, abbiamo ricevuto la chiamata pochi giorni fa. In  realtà ho ricevuto un messaggio da Gian Marco Sandri, un amico, ma non sapevo se fosse una cosa seria o uno scherzo, per fortuna ho passato il messaggio al mio manager che mi detto che anche lui aveva ricevuto una chiamata. E poi abbiamo deciso, quindi è stato fatto tutto all’ultimo minuto, sai, abbiamo dovuto.

Beh, Roma ti aspetta. Prima di lasciarci, un’ultima domanda: hai due film in uscita, o su cui stai lavorando, due film, uno un documentario. Raccontaci.

Quindi c’è un documentario in uscita sui Culture Club, che parla davvero degli inizi della band e di tutte le cose che sono successe nella band. Ma poi c’è un film separato, che parla di me. E non posso dire molto al riguardo. Ho la sceneggiatura. Non l’ho letta tutta. Ho iniziato a leggerla. Stanno aspettando il mio feedback.

È finzione, una storia romanzata su di te? O in stile documentario?

Mi sembra che sia tutta finzione in un certo senso. È la verità, ma è sicuramente teatrale e inizia con me da bambino, ma non sono ancora entrato nel vivo della questione. Sto ancora raccogliendo le forze per leggerlo, sai, perché è così difficile guardare indietro alla propria vita. Sai, può essere molto difficile guardare indietro. In fondo, la mia vita sembra proprio una fiction.

Sono sicuro che sia un ottimo esercizio, però. È molto salutare.

Lo farò.

Quindi per favore fallo. Non vediamo l’ora di vedere quei film e soprattutto di avere Boy George a Roma per il concerto di Capodanno.

Sì, voglio dire, è bellissima, una delle mie città preferite al mondo. Sai, Roma è uno di quei posti in cui trovi sempre qualcosa di nuovo.

Vedi se riesci a dire ai romani “Buon Anno, Roma”.

Happy New Year. Buon Anno, Roma. Buon anno. Mi eserciterò a dire qualcosa, ovviamente. Non voglio essere lassù e non essere in grado di dire niente. Ma so cantare in italiano meglio di quanto non lo parli.

Eccellente. George, grazie mille per il tuo tempo.

Grazie. Ciao.

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