Si avvicina Sanremo, la musica pop sta per prendersi la scena. Tutta l’attenzione dei media, per giorni in cui non si parlerà d’altro, e anche il cinema passerà in secondo piano.
C’è stato un tempo, però, in cui cinema e canzone pop camminavano in qualche modo insieme. In cui Bobby Solo poteva uscire dall’Ariston, dove aveva appena cantato Una lacrima sul viso, ed essere trascinato quasi di peso su un set. Per girare uno di quei film che sono identificati con una parola inconfondibile, che evoca storie d’amore lievi, baci e canzoni, ragazzi in divisa dalla faccia pulita, ragazze dai capelli lisci e lunghi, e canzoni attorno a cui si costruiva – in fretta, in fretta – tutto un film. I cosiddetti “musicarelli”.
UN FENOMENO TUTTO ITALIANO
Quello dei musicarelli è stato un fenomeno tutto italiano, che ha segnato indelebilmente gli anni ’60. Anche se, certo, oltre Oceano gli esempi non mancavano, con i film interpretati da Elvis Presley. E anche se in Gran Bretagna i Beatles avrebbero girato tre film, A Hard Day’s Night, Help e Yellow Submarine. Ma erano progetti diversi, in qualche modo sperimentali e più ambiziosi. I musicarelli erano film girati a basso budget, che spesso incassavano molto bene: film che nascevano dal successo di una canzone, o che – viceversa – contribuivano a quel successo.
E allora, ecco Mina, Celentano, Domenico Modugno, Gianni Morandi, Caterina Caselli, Rita Pavone, Al Bano diventare “attori”. Interpretando, sostanzialmente, sempre se stessi, qualcuno con maggior disinvoltura davanti alla cinepresa, qualcuno più imbarazzato. Ma alla fine, tutti insieme hanno segnato la fotografia di un’epoca.
Il pubblico, specialmente quello delle seconde visioni, quello più popolare, si affezionava a loro, alle storie semplici che quei film raccontavano, a quei cantanti che rivedevano in televisione. E il musicarello è entrato, a pieno diritto, anche nella storia del cinema italiano.
AGLI ANTIPODI DI ANTONIONI E FELLINI
Da una parte, c’era il cinema d’autore, quello delle nevrosi, della incomunicabilità di Antonioni, delle favole grottesche e surreali di Fellini. E poi, delle rivoluzioni annunciate dai film di Bertolucci e di Marco Bellocchio. Il cinema d’autore accoglieva Accattone di Pasolini, La dolce vita e Otto e mezzo di Fellini, la trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni. Ma se tormenti e dubbi erano affidati al cinema raffinato e tormentato degli “autori”, la grande massa del pubblico si riconosceva nella commedia all’italiana, nei film interpretati da Gassman, Tognazzi, Manfredi e Mastroianni. E una fascia di pubblico ancora più sognatrice, ingenua, semplice si affidava ai musicarelli. A quelle storie facili, che lasciavano lo spettatore sempre con un sapore dolce, all’uscita dalla sala cinematografica.
L’Italia conosceva l’euforia del boom economico, la guerra – che pure era finita appena quindici anni prima – sembrava lontana. Irrompeva sulla scena un nuovo soggetto sociale: i giovani. I giovani che compravano i dischi, i nuovi 45 giri, i giovani che bevevano Coca cola e bevande gassate nuove, i giovani che acquistavano i jeans, i giovani che acquistavano i biglietti del cinema. E a loro si rivolgono i musicarelli.
IL LIBRO “MUSICARELLI”
Al fenomeno hanno dedicato un libro due giornalisti, Marta Cagnola e Simone Fattori, che hanno dato alle stampe Musicarelli. L’Italia degli anni ’60 nei film musicali, pubblicato da Vololibero. È un viaggio attento, frutto di una ricerca durata anni, nell’Italia dei mitici ’60. Nel libro si parla non soltanto dei film musicali di quegli anni, ma anche della scena politica, dello scontro fra generazioni – che in quei film era un tema molto presente, anche se affrontato sempre con toni paternalistici, in modo da “disinnescare” le tensioni che invece sarebbero sfociate nel ’68. Si parla, nelle pagine del libro, del festival di Sanremo, del ruolo delle donne nella società di quegli anni, del ruolo della televisione.
Insomma, un libro sospeso fra sociologia e storia della canzone. Con una lunga sezione che raccoglie le schede di quasi 80 film. Integrano il libro interviste con Rita Pavone, Al Bano, Bobby Solo, Mal, Orietta Berti e altri protagonisti di quella irripetibile stagione.
Quei film raccontano i fenomeni musicali di quegli anni, e il costume di quella società, quella dei nostri padri, per alcuni dei nonni. Ma, all’epoca, i nonni di oggi erano i ragazzi di allora.
DA “URLATORI ALLA SBARRA” A “PIANGE IL TELEFONO”
Ed ecco, così, Urlatori alla sbarra, Canzoni a tempo di twist, In ginocchio da te, Non son degno di te. E ancora, Rita la zanzara con Rita Pavone, I ragazzi di Bandiera gialla con un giovanissimo Renato Zero nel corpo di ballo, Nel sole, esordio di Al Bano, fino ad arrivare al crepuscolo del genere, con Piange il telefono, film melodrammatico interpretato con personalità e carisma da un ispirato Domenico Modugno.
Ma è il 1975, il genere è ormai esaurito. Nelle sale dominano il poliziottesco, gli ultimi fuochi del western all’italiana, i film decamerotici, le dottoresse del distretto militare. Fra pochi anni, in televisione arriveranno i videoclip. E i musicarelli resteranno così, cristallizzati nella loro meravigliosa e breve storia.
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