L’Estate Italiana Canta In Dialetto Pugliese. Da “Baccalà” a “La Zia”, Spieghiamo il Fenomeno Brancale

Non so quanti se ne siano resi conto ma la musica sta vivendo, almeno in Italia, uno dei suoi momenti più fortunati almeno dagli anni ’60 dello scorso secolo, quando in tutte le case giravano i 45 giri di Adriano Celentano e le ragazze azzardavano le prime minigonne.

Fateci caso, ogni due mesi circa, giorno più giorno meno, sbuca dal nulla un nuovo brano che conquista i favori di milioni e milioni di ragazze e ragazzi. Il merito di questi successi? In primo luogo, la facile fruibilità della musica che, defunto il formato fisico, attraverso le piattaforme in streaming si è trasferita nei nostri smartphone, l’oggetto a cui abbiamo affidato le nostre memorie, il nostro lavoro, le nostre amicizie e le nostre passioni. In seconda battuta, al netto della possibilità di condividere all’infinito un brano aggiungendolo su video e foto a piacimento, sul solco di quella che era la logica del 7 pollici, le canzoni sono semplici, spesso leggere, e durano poco. Tutto questo, almeno fino a ieri, aveva un senso quando si parlava di qualche trapper con la faccia tatuata e la voce camuffata con l’autotune, ma in questo caso specifico cambia tutto, forse. Da Rimini alla Costa Azzurra, dalle spiagge simil caraibiche pugliesi alla Maremma, fino alle rive più remote della Sicilia, la voce di Serena Brancale domina l’estate italiana 2024 con La Zia e Baccalà. Praticamente sconosciuta al grande pubblico fino a pochi mesi fa, complice il lancio televisivo di Propaganda Live, la Brancale è diventata una specie di feticcio musicale che tutti, dicasi tutti, canticchiano anche senza comprendere il dialetto pugliese. Chi è questa ragazza? Da dove esce fuori? Serena è una che la musica la conosce, e ha una sua storia. Polistrumentista, diplomata in Canto Jazz al Conservatorio, non è semplicemente una brava cantante, è molto di più, e questo lo dimostrano i suoi dischi, in particolar modo Galleggiare, uscito nel 2015 per Warner Music italia, un gioiello che univa in modo sublime reminiscenze black, soul e jazz, un album da libri di storia che non riscosse il meritato successo, come non attecchirono nel grande pubblico neanche i successivi, anch’essi meravigliosi, Vita Da Artista e Je So Accusì, quest’ultimo contenente una cover eccezionale riletta in chiave trip hop del classico di Pino Daniele, Je so Pazz.

Tre dischi che presentavano un’artista con la “A” maiuscola, completa, raffinata, in grado di sperimentare senza tradire un approccio sonoro di facile fruibilità. E poi c’era la voce, un qualcosa che poche volte abbiamo potuto ascoltare in Italia a livello pop.

D’un tratto la sorpresa. Cambio totale d’immagine in favore di un look urban combat, niente più orchestrazioni e strumenti “classici” sostituiti in toto dalle basi elettroniche di Dropkick_M, e addio anche all’italiano e ai testi “ragionati” in favore di un dialetto barese strettissimo e stracolmo di vaffa e robe simili. Il risultato?

Come spesso accade in questi casi, il successo “social” è stato immediato e straordinario. Milioni di views in pochi giorni, streaming a rotta di collo tra Spotify, Amazon Music e Apple Music, ospitate televisive, reel su Instagram e TikTok di gente che replicava i suoi successi come se non ci fosse un domani e ancora avanti così: dalle ceneri di una sconosciuta Serena Brancale, raffinata interprete e compositrice, è nata un’artista che parla il linguaggio del tamarro, come il tamarro e per il tamarro, semplice, simpaticamente volgarotta e diretta. In pratica, un trionfo nazional popolare. Chi ci avrebbe scommesso? Lei, e ha vinto la sua sfida. Si conferma ancor di più che nell’era della distrazione e della facile e immediata fruizione,  l’hook rimane un elemento cruciale di una hit perché ne determina il potenziale di successo, rendendola memorabile, coinvolgente e condivisibile e soprattutto funziona sulle radio.

A proposito di trionfi, quello di Serena ci ha ricordato tanto una sua collega statunitense, la tiktoker Girl On Couch (vero nome Megan Boni) autrice di Man In Finance, brano ripreso e rilanciato addirittura da David Guetta che l’ha trasformato in una hit dell’estate superando il traguardo delle 100 milioni di visualizzazioni in poche settimane, parliamo di numeri importantissimi.

Giusto per non farci mancare i dettagli, come la Brancale, la Boni era una ragazza in cerca di un successo che non arrivava, nel suo caso nel mondo della commedia, fin quando non ebbe l’idea di rappare il sogno di trovare un uomo ricco, appunto Man In Finance, come da lei dichiarato “un gioco più che una canzone”, che l’ha resa celebre a livello globale. Oggi, se scorrete su TikTok, non c’è ragazzina o influencer che non abbia fatto un video usando Man In Finance, un po’ come da noi con Baccalà.

Questi due fenomeni, in proporzioni diverse, cosa ci dimostrano? Semplice, che stiamo vivendo una nuova era punk, senza creste, spille da balia, e senza le ragioni politiche del 1977. Qui, le lotte della classe operaia inglese e il diritto rivendicato anche da chi non sapeva suonare di poter strimpellare una Fender ed esprimersi, non c’entrano niente. Le ragioni di questa nuova ondata “punk” seguono un’altra logica, ben più in armonia con i nostri tempi di quella che stava dietro le urla dei vari Sex Pistols, Buzzcocks, The Exploited e Damned.

Volenti o nolenti, in parallelo con la sindrome culturale delle nuove generazioni, sempre più abituate a confondere l’immagine con l’essere, la velocità con la riflessione, l’acronimo con la parola e il simbolo con il pensiero, la melodia sempliciotta di due note accompagnate da un ritmo ballabile e da due parole, preferibilmente senza senso e buttate lì, vince a mani basse dove il pensiero è stato desertificato. E allora ecco che, tornando in capo al nostro oggetto dell’intendere, la Brancale ha saputo colmare quella domanda del mercato musicale che poteva regalarle praterie di click, mettendo in cantina le riflessioni e raffinatezze di brani come Frida, Solo In Una e Il Gusto Delle Cose, in favore dei vaffa di Baccalà e della pusher raccontata in La Zia.

La domanda è: quanto durerà? È realmente questa la strada che vuole continuare a percorrere la cantante di Bari? Difficile a dirsi. Sulla durata c’è poco da scommettere perché la musica non sempre oggi è oggetto di cultura ma di consumo, le hit vivono il tempo un giro di giostra e, in questo caso per colpa e non per merito della mancanza di fisicità, ovvero dell’assenza di un formato fisico, come velocemente nascono allo stesso modo si dimenticano. Diverso è il discorso quando ci chiediamo se vorrà insistere su questa strada, cosa che ovviamente solo lei sa, ma è difficile credere che un’artista del suo valore prima o poi non voglia farsi conoscere anche per qualcosa di migliore di “vafammokk a l corn ca tin”.

Vedremo, ma in chiusura vogliamo riportare le parole di uno degli ultimi grandi geni musicali del novecento, Frank Zappa: “La musica per le masse è composta da persone che non conosciamo, forse chiuse in qualche ufficio di Washington, e viene diffusa attraverso i media per renderci stupidi”.

 

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