
Stevie Van Zandt è pieno di contraddizioni e le riconosce. Il membro della E Street Band, cantautore, attivista e produttore non scende a compromessi quando si tratta di idee creative, portandole avanti anche quando finiscono in vicoli ciechi dal punto di vista commerciale. Eppure è anche un “insider” con un elenco di artisti, dirigenti e registi di massimo calibro che non vedono l’ora di lavorare con lui e di ingaggiarlo quando si tratta di dare il massimo a una canzone o a una colonna sonora.
Ha tagliato i ponti – sì, anche quello col gruppo di Bruce Springsteen, uscendone prima del grande giorno di paga di Born in the USA – andando all-in con una carriera da solista che, secondo le sue stesse parole, non ha prodotto grandi successi. Ma ci ha anche messo una toppa. La sua rinascita come attore a fine carriera, scelto da David Chase per interpretare Sil ne I Soprano, sembra meno improbabile se si tiene conto che Van Zandt sembra sempre avere un po’ di assi nella manica. Se funzionano, tanto di guadagnato (vedi la commedia mafiosa norvegese Lilyhammer, la prima serie originale di Netflix, o la sua creazione radio Underground Garage e Outlaw Country su SiriusXM, dove racconta storia del rock e del soul). Se invece non funzionano, si passa alle idee successive (sta acquistando una serie di viaggi ispirata a Anthony Bourdain).

Stevie Van Zandt in una scena de I Soprano
È con questo spirito che HBO Documentary Films ha presentato in anteprima un documentario su di lui. Stevie Van Zandt: Disciple (il riferimento è alla sua band solista, Disciples of Soul) è passato al Tribeca Film Festival l’8 giugno. La retrospettiva, ricca di aneddoti raccontati, tra gli altri, da Paul McCartney, Eddie Vedder e Jackson Browne, Bono, Richard Plepler, Darlene Love, si basa sul libro di memorie di Van Zandt del 2021, Unrequited Infatuations. E molti di questi protagonisti – incluso il co-direttore di Netflix Ted Sarandos, che ha lanciato le due stagioni di Lilyhammer – si sono riuniti al Tribeca Grill dopo la proiezione per brindare alla carriera del cantante.
Il documentario, presentato dal regista Bill Teck nel 2006 e poi di nuovo nel 2014, era stato inizialmente concepito come una docuserie in tre parti prima di approdare alla HBO Documentary Films. “In realtà eravamo alla prima versione preliminare quando Stevie ha iniziato a scrivere il libro, il che dice da quanto tempo ci abbiamo lavorato”, nota Teck. “Non volevamo fare qualcosa di veloce, o raccontare ‘solo i punti salienti’, volevamo creare una storia completa”.
Stevie Van Zandt ha parlato con The Hollywood Reporter del suo percorso tortuoso, degli incontri con i dirigenti dello studio HBO, della sua frustrazione per le lotte politiche del 2024 e del rimanere con i piedi per terra quando la E Street Band era in tour in giro per il mondo.

Stevie Van Zandt
C’è un po’ di umorismo nelle sue memorie. Ci sono pagine e pagine che raccontano di vari progetti, come un disco, una nuova band o uno spettacolo, e poi tutta l’attesa finisce bruscamente in un “nessuno l’ha più visto né sentito”. Come ha gestito i rifiuti nella sua carriera?
Beh, si deve avere senso dell’umorismo per sopravvivere. Onestamente non pensavo che fosse così ingiusto. Io stavo seguendo un’avventura artistica e non stavo considerando la carriera, per quanto ingenuo sia questo approccio. Ero affascinato e ossessionato dal fatto di essermi imbattuto nella mia personale “razionalizzazione” dell’esistenza attraverso questioni politiche trasformate in storie. Questo lavoro che mi stavo inventando come artista/giornalista era elettrizzante. Ogni album girava intorno a un tema diverso e a una musica diversa, dal punto di vista artistico mi ha dato molta soddisfazione.
Lei ha detto che da solista era troppo impegnato a pensare all’integrità artistica, piuttosto che a prospettive commerciali.
Devo ammettere che la mia vita è stata un trionfo dell’arte sul guadagno. Sono riuscito in qualche modo a sopravvivere senza successi. Quindi nel libro scherzo su questo, ma è la verità. Anzi, era proprio quello che mi aspettavo accadesse. Il pubblico è meraviglioso, ma non puoi aspettarti che segua quelle svolte di 180 gradi in ogni album, ci deve essere una certa coerenza. L’identità è qualcosa di più del semplice “political guy” che impara a conoscere la vita e sé stesso e racconta storie.
Quando ha creato il soprannome di Little Steven ha detto che è diventato “the political guy”. Cosa pensa di questa stagione elettorale?
Se le cose andranno nella direzione sbagliata, il paese si troverà di fronte a una vera catastrofe. Sono un po’ deluso dalla nostra incapacità di educare su quello che sta succedendo. È un fallimento educativo vedere ragazzi universitari che sventolano le bandiere di Hamas. Se qualcuno ha intenzione di impegnarsi politicamente, dovrebbe prima fare i compiti e poi parlare. E c’è davvero una mancanza di compiti a casa in questo momento in molte di queste manifestazioni. L’intera atmosfera che si è creata è fuori luogo.

Stevie Van Zandt (aka Little Steven) con Bruce Springsteen in concerto al Circo Massimo di Roma nel maggio 2023
Nel libro ha scritto che appena uscito dal liceo, nel New Jersey, venne arruolato e disse all’ufficiale: “Se mettono piede a Bradley Beach sarò il primo ad arrivare”, ma non poi non è stato tra quelli che stavano per essere spediti in Vietnam. Che cosa pensa delle due epoche dell’attivismo?
Semplicemente sento che tutte le proteste precedenti a questa erano giuste, riguardavano qualcosa di importante. Che fosse contro la guerra del Vietnam o contro l’apartheid in Sud Africa, quelle erano cause davvero legittime. Spodestare Israele, quando questo folle leader ha un indice di gradimento del 15%, non è la strada da percorrere. La cosa peggiore mai accaduta allo Stato di Israele è il terrorismo islamico. La seconda cosa peggiore è Benjamin Netanyahu, che ha causato più danni di quanto avrebbero mai potuto fare mille terroristi islamici.
Oggi lei indossa molte vesti: chitarrista, cantautore, produttore, proprietario di un’etichetta, conduttore radiofonico e altro ancora. Quale la rispecchia di più?
A questo punto, nei miei ultimi due album, ho deciso consapevolmente che non c’era più motivo di essere politici. Ho realizzato i primi due album non politici della mia vita e non sono nemmeno autobiografici, sono semplicemente album. Come fanno tutti gli altri. Dentro ci sono personaggi e canzoni di fantasia. Mettendo insieme una delle più grandi band del mondo con i Disciples of Soul. E siamo stati in tour due volte, cosa che pagherò per il resto della mia vita, ma ne è valsa la pena.
Ha detto di voler investire i suoi soldi in progetti in cui crede…
A volte non è molto saggio dal punto di vista economico, ma io sono allergico al denaro. Non sono mai andato molto d’accordo con i soldi. Li uso quando ce li ho. Ma non sono una priorità per me, ho priorità più grandi.
Quando ha avviato Underground Garage su SiriusXM la logica era che il rock classico alla radio si era ristretto alle “stesse cinquecento canzoni”. Cosa pensa della scoperta della musica nell’era di Spotify?
C’è bisogno di una sorta di cura per separare le cose buone dal caos. Naturalmente è tutto molto soggettivo, ma è per questo che ho fondato la mia rete radiofonica. Manderò solo le mie canzoni preferite. E collegherò i punti della storia, torniamo indietro di tutti i 70 anni di rock e soul, torniamo al 1951. Questa roba non cade dagli alberi, viene da qualche parte. Chi è il produttore, chi sono gli scrittori dei testi? Faremo tutto questo per rendere la migliore musica mai resa accessibile alle generazioni future.

Stevie Van Zandt
Sta regalando alle reti una nuova serie senza copione, The Jam. Qual è l’idea alla base di questa proposta e cosa hanno detto gli acquirenti?
Lo spettacolo di varietà l’abbiamo lanciato un paio di settimane fa e finora non ci sono stati acquirenti. Ho proposto due diversi programmi tv. Il primo è questa serie, l’altro è uno spettacolo di viaggio in stile Anthony Bourdain. Dato che sarei andato in tutte le più grandi città del mondo con la più grande band del mondo ho pensato che sarebbe stato divertente. Ma nessuno prende in considerazione neanche quello. Tutti sono un po’ cauti nell’investire in nuovi programmi tv in questo momento, il che è preoccupante. In un certo senso questi sono anche progetti facili, economici e di eventuale successo. Ho quattro grandi sceneggiature, grandi programmi tv pronti a partire. Voglio fare qualcosa dopo questo tour. Voglio tornare in televisione.
Parlando di tv, è interessante la storia delle origini di Lilyhammer. Nel libro racconta che si è deciso a fare questa commedia mafiosa norvegese dopo aver ottenuto il 50% dei profitti e il controllo artistico, ma poi si è reso conto che il budget era limitato, 750.000 dollari a episodio, quindi ha dovuto trovare un co-produttore. Dopo l’incontro con Ted Sarandos, è diventata la prima serie originale di Netflix e si è conclusa con una serie di tre stagioni. Se dovesse ricominciare da capo, avrebbe agito allo stesso modo?
Mi hanno mentito riguardo al budget, quindi non potevo farci niente. Vorrei solo che tutti nel settore avessero il coraggio di Ted Sarandos. Lui ha veramente rivoluzionato il business, come tutti sappiamo ora. Per il primo programma Netflix – le azioni erano in calo, all’epoca erano nei guai – lui sceglie uno spettacolo norvegese con i sottotitoli? Voglio dire, davvero, che incredibile coraggio. Avevo preso parte a una grande serie, I Soprano, ma ero solo un attore. A quel punto ho preso questo mio nuovo mestiere e l’ho trasformato in altri nuovi lavori: ho co-scritto e co-prodotto lo show, ho fatto tutta la musica e ho diretto l’episodio finale senza alcuna nota da parte di Ted. Si fidava.
Non sono sicuro che il modo in cui funziona il sistema oggi sia giusto. Quello è stato il mio unico prodotto. Ho presentato uno show e me ne sono andato con un contratto per due stagioni e 20 milioni di dollari in 45 minuti. Questa è stata la mia intera esperienza nella negoziazione con le reti.
Era un’epoca diversa a Hollywood.
Beh, è così che dovrebbero funzionare le cose. Un paio di settimane fa abbiamo presentato questi due programmi a tutte le reti e uscivo da ogni riunione di presentazione pensando di aver raggiunto un accordo. Ma chi mi accompagna dice sempre: “A New York questo è un patto. A Los Angeles un po’ meno”. Così scopri che ti rivolgi a persone che non prendono più le decisioni. Penso sia un modo strano di fare le cose. Non sono sicuro di come affrontarlo. Vedremo cosa succede, voglio tornare in tv in qualche modo.
Quest’anno abbiamo segnalato una riduzione più ampia dei programmi tv.
Quando si guarda indietro all’equilibrio tra arte e denaro, che tutti noi cerchiamo di mantenere, sembra proprio che gli uomini d’affari che hanno sensibilità artistica siano quelli che hanno avuto successo. Berry Gordy alla Motown, Sam Phillips al Sun, Leonard Chess alla Chess. Stessa storia per la gente del cinema e della tv. Jeff Bewkes e Chris Albrecht, che hanno prodotto I Soprano, il che era un grande rischio. Sembra che tra le cose di maggior successo ci sia qualcosa in comune. Sono avvenute grazie ai rischi che si sono presi uomini d’affari dotati di ottimo gusto artistico e coraggio. E ora sembra che ci troviamo in uno strano periodo di transizione.
In molti casi i dirigenti dello studio non provengono da un background creativo. Oppure non lavorano direttamente con gli artisti.
Giusto. Il che immagino sia dovuto ad alcune ragioni pratiche ma nemmeno gli intermediari hanno il coraggio. Non perdono il lavoro se non fanno nulla. Perdono il lavoro facendo la cosa sbagliata. Quindi sono tutti un po’ timidi nel prendere impegni. Penso che sia un vero problema oggi. Non so se qualcuno possa nominare dieci grandi programmi tv che stanno trasmettendo in questo momento.
C’è forse un diverso tipo di età televisiva, quella dell’IP o quella del franchising?
Sembra che manchi quella combinazione di arte e commercio. Quando si raggiunge quella sorta di equilibrio è allora le cose iniziano a funzionare.

Stevie Van Zandt alias Little Steven con Bruce Springsteen e La E Street Band in concerto al Circo Massimo di Roma nel maggio 2023
Come si rimane con i piedi per terra?
La creatività è ancora, per me, la salvezza. E inseguo sempre la grandezza. Troviamo una nuova canzone da suonare ogni settimana sulla mia rete radiofonica Underground Garage, ingaggiamo band che scrivono e fanno grandi dischi anche se non c’è più alcuna ricompensa.
Qualunque cosa possiamo creare, restiamo fedeli ai nostri ideali. Cerchiamo di non concentrarci troppo sulle notizie e sui giornali, che in questo momento sono davvero deprimenti. E spero che le elezioni di quest’anno vadano bene. Certamente non saremo timidi nel dirlo alla gente: sono un liberale indipendente della legge e dell’ordine, ma ora dobbiamo essere tutti democratici. Non credo nel sistema dei partiti, ecco perché ho scritto I Am a Patriot (“sono un patriota”, ndr), ecco di che cosa parla quella canzone. Dobbiamo tutti solo sperare per il meglio e cercheremo attivamente di educare le persone quanto più possibile, ma allo stesso tempo, la salute mentale non può sopravvivere a lungo così, quindi è meglio che ognuno abbia qualche santuario dove andare. Per me sarà sempre il mondo dell’arte.
Quando torna a casa dopo il tour, qual è la sua giornata perfetta a New York?
Trascorro un po’ di tempo con mia moglie Maureen e il mio cane Tiggy. Magari vedo i miei amici per pranzare insieme in un posto carino, all’aperto. Adoro mangiare fuori: stanno iniziando a chiudere alcuni posti all’aperto e spero che ciò non accada. La giornata perfetta significa leggere le pagine di un buon libro, creare qualcosa, scrivere una canzone, scrivere un capitolo in un nuovo libro mio. La vita è proprio questo: armonia ed equilibrio. Creare qualcosa che faccia avanzare la nostra società, anche se fosse di un centimetro. Questo è tutto quello che puoi fare.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma