
Il gong di Sanremo stanotte ha suonato incoronando Olly come vincitore, Lucio Corsi al secondo posto e Brunori Sas al terzo. Insomma, il podio ha soddisfatto l’ampio spettro generazionale dalla Gen Z fino ai boomers, includendo anche la “cross generation” di Lucio Corsi che raccoglie un pubblico più freak e non convenzionale.
Chi conosce la complessa macchina sanremese, sa bene che dietro un artista che rappresenta la punta della piramide ci sono tantissime valide professionalità non visibili e che svolgono compiti complicati a ritmi frenetici dettati dall’industria dell’evento. Dalla casa discografica padrona della logistica, ai publicist, personal assistant, manager, bodyguard, stylist, autisti e tante altre maestranze.
Si tratta di una vera e propria catena di montaggio che segue le regole più rigide. Per avere un paragone pratico, un artista che si muove per Sanremo ha lo stesso codazzo dei politici che vediamo in TV tutti i giorni nelle vie che portano a Palazzo Chigi. Troverete sempre l’energica publicist “militare” che fa diga al più fragile dei fan: come gli “SHHHH! Man” nella Cappella Sistina in Vaticano che invitano il pubblico ad osservare un rigoroso silenzio.
Ecco che qui entra in gioco Lucio, l’outsider che, rompendo le consuetudini del sistema, segue il suo semplice istinto della prossimità umana. La stessa che fa comprendere meglio che esiste sostanza, una grande gavetta fatta sul territorio dove l’artista e gli artisti hanno forgiato la loro armatura. È la stessa cosa che noti in un politico di grande qualità che ha “battuto la strada”. Questa forza interiore nutre una creatività che consente all’artista di fare a meno delle 10 persone, che sono un investimento delle case discografiche e che troppo spesso, in fondo, a volte hanno rinchiuso l’artista in una bolla, a volte cambiandolo per sempre.
Nella narrazione sanremese di Lucio, abbiamo appreso, per chi non lo avesse conosciuto prima, che lui ama curare tutti gli aspetti di sé stesso. Progetta le sue performance, disegna i suoi outfit, ama truccarsi. Costruisce la sua apparenza con materiali semplici di riciclo, fino ad usare le buste delle patatine per creare volume nelle spalline del suo giubbotto (che richiama le linee estetiche di David Bowie o Ivan Cattaneo).
Questo approccio ricorda il mondo romantico delle drag queen, che da sempre, per necessità, per “povertà” hanno costruito il loro look nel dettaglio. Ricordo un bellissimo documentario che si chiama Pelle di Alberto D’Onofrio che raccontava i Karma B: due performer che più di 25 anni fa confezionavano i loro vestiti con una macchina da cucire, con grande cura in un super attico, appena si trasferirono a Roma.
Oggi i Karma B, oltre ad aver consolidato un successo televisivo, essere cresciuti professionalmente, hanno un magazzino di costumi da far rabbrividire le costumiste della Rai. Anche loro hanno saputo mantenere la direzione artistica di sé stessi. Il make-up e skin care diventa essenziale per gli show.
Ecco che l’artista diventa autoconsistente, solido quando approfondisce e sperimenta autonomamente. Lo abbiamo notato anche nel film “Burlesque” dove nei camerini il team di ballo misto era autonomo. Così come in “A Star is Born” con Lady Gaga e Bradley Cooper accadeva la stessa cosa nei camerini di un Gay Club, con un clima caldo e familiare. Ci si scambiavano anche le sopracciglia.
Lucio Corsi ha mostrato agli italiani che, quando si ha talento, resilienza e ci si mescola con la gente, si può arrivare ad un successo inaspettato. Lo stesso Topo Gigio lo ringrazia per averlo riportato nuovamente sullo schermo.

Lucio Corsi e Tommaso Ottomano sul palco di Sanremo 2025 cantano la canzone Volevo essere un duro
Allora, grazie Lucio e al tuo amico e compagno di palco, autore dei tuoi videoclip. Avete rivelato genuinamente che esiste un’altra via che porta al successo, il quale non è effetto del numero di persone che hai attorno, della grandezza del camerino o dei brand che indossi o della direzione imposta dallo stylist.
Resta nella tua amata Maremma e goditi i cani e i campionati di moto.
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