Nel ventre dell’America trumpiana

Il documentario Homegrown segue la vita di tre attivisti MAGA: i raduni, le armi in cantina, fino ai disordini di Capitol Hill

Si chiama Homegrown, è stato presentato ieri al Festival dei Popoli, grande e storica rassegna di cinema-verité, una delle più importanti d’Europa – dopo essere stato in concorso alla Settimana della critica della Mostra di Venezia. Che cos’è Homegrown? È un documentario. Un viaggio nel popolo di Trump. Il popolo del MAGA. 

Il primo uomo intervistato racconta di aver preso parte ai disordini di Capitol Hill del 6 gennaio 2021, quando i sostenitori di Donald Trump fecero irruzione dentro il Campidoglio, urlando false accuse di brogli alle elezioni presidenziali che avevano portato Joe Biden alla Casa Bianca, cercando di rovesciare il risultato delle elezioni, causando la morte di sei persone. Un tentativo di colpo di Stato, due mesi dopo la sconfitta di Trump alle elezioni presidenziali del 2020. 

“Ero lì perché sentivo di dover fare qualcosa”, dice l’uomo. E aggiunge: “Washington vi ha preoccupati? Aspettate il resto. Fidatevi”. Una frase che mette i brividi, pronunciata con sfida e con assoluta nonchalance. 

Michael Premo, l’autore del documentario Homegrown, quel giorno a Washington c’era. E ha filmato quegli scontri, con la sua telecamera. Vediamo anche quelle immagini, in Homegrown. Ma vediamo, soprattutto, il prima e il dopo. 

Il lavoro di Premo, giornalista e artista visuale americano, si è sviluppato nell’arco di circa un anno. E la violenza di Capitol Hill, l’assalto alla sede del Congresso degli Stati Uniti, appare come l’ultimo atto di un cammino di rabbia, di odio. Come il divampare di un fuoco sul quale Donald Trump non ha smesso di soffiare. 

Premo segue le vicende di tre suprematisti bianchi, che organizzano a livello locale – nella campagna elettorale di Trump del 2020 – eventi affiliati ad associazioni estremiste. I tre sono un futuro padre del New Jersey, un veterano dell’Air Force, un attivista texano. Non si conoscono l’un l’altro, vivono in Stati diversi, sono partiti da storie differenti. Tutti e tre credono ciecamente al loro leader, che nel film non viene mai ripreso. Ci sono solo bandiere, poster, scritte ovunque che ripetono il suo nome. Ed è come se questi tre, come tutti gli altri che vediamo, fossero seguaci di una religione, come se il loro fosse un atto di fede cieca. 

Premo ha il brande pregio di guardare questa America che non sempre si ha la voglia, o il coraggio, di guardare. È, il suo, il ritratto diretto di un’America reazionaria, violenta, e tuttavia umana, da non sottovalutare, da non trascurare. Da non ignorare. Fare finta di non vederla significa ritrovarsela davanti, prima o poi, vederla spuntare dal nulla. Premo mostra i furgoncini pieni di striscioni in sostegno di Trump, mostra le camere segrete piene di armi, mostra un’America diffusa, e non la snobba. Non la sottovaluta. 

Mostra la violenza verbale di questa gente, raduni in cui i partecipanti rinnegano l’antifascismo – “fuck antifa!” – e inneggiano alla violenza contro le minoranze. E poi, negli ultimi minuti, racconta l’assalto al Campidoglio, sostenuto dallo stesso Trump. Mostra gli scontri tra assalitori e forze dell’ordine, i feriti, il caos. E il barbecue di festeggiamento degli assalitori, per le strade di Washington DC. Immagini da non dimenticare neppure per un attimo. È accaduto, potrebbe accadere di nuovo. In America, così come in un Occidente sempre più intriso di demagogia, estremismi, radicalismo, rabbia, intolleranza. 

Il film di Premo non è schematico, dimostrativo, manicheo – buoni da una parte, cattivi dall’altra – come i film di Michael Moore, l’autore di Farhenheit 911. E’, al contrario, attento a osservare e a non giudicare superficialmente. Non vuole convincere, vuole mostrare. Racconta la violenza e la ferocia, ma la racconta sottovoce. Non fa vedere l’uomo con il copricapo con le corna e il volto dipinto, diventato il simbolo di quella rivolta. Mostra, più sommessamente, le vite di chi si è lasciato affascinare da quella figura, mostra i motivi profondi di quella rivolta. Ci fa compiere un viaggio nell’America rurale più profonda. E ci fa vedere i patrioti trumpiani: padri di famiglia amorosi, che cuociono bistecche, e hanno un sacco di armi in qualche stanzetta più o meno nascosta. 

Mostra, infine, un’America confusa, di trumpiani che non hanno le idee così chiare: tra loro c’è chi ha una moglie cinese e chi vorrebbe allearsi con il Black Lives Matter. Michael Premo non giudica, ma guarda, osserva, fotografa. Ci consegna un ritratto dell’America, e ci aiuta un po’ a capire le viscere ribollenti di quel paese. 

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