Che bel film gli europei d’Atletica. Anche grazie allo sport di base. Adesso è l’ora (anche) del cinema di base. A scuola e non solo

Un'ora di cinema obbligatoria nelle scuole, Erasmus per aspiranti registi, attori e artisti della luce, del montaggio, dei costumi e così via, alloggi e borse di studio per chi non può permettersi una formazione di base e d'eccellenza nell'audiovisivo. La manifestazione continentale d'atletica ospitata a Roma ci ha detto che il corpore sano di questo paese è vincente. Ora appropriamoci anche della mens sana

C’è chi si commuove quando italiane ed italiani nello sport vincono una medaglia europea, iridata od olimpica, o anche solo quando ci rendono orgogliosi di loro con una grande prova in mondovisione. E chi mente.

Sarebbe bello analizzare i motivi emotivi e mediatici per cui questo accade, perché questo patriottismo si accende nella e con la competizione sportiva, perché in questo prodigio di massa conta anche un servizio pubblico e una Rai che soprattutto sugli sport che non sono il calcio ha allevato un vivaio di telecronisti e giornalisti di assoluto valore (al di là del mitico e compianto Galeazzi, lasciatemi sottolineare la mia preferenza per Franco Bragagna, soprattutto con Tilli nell’atletica, per Gilberto Evangelisti e ora per la coppia Mecarozzi-Sacchi nel nuoto, ma soprattutto io vorrei ovunque come inviata sul campo, non solo sportivo, Elisabetta Caporale, professionalità ed empatia ai massimi livelli).

Perché gli Europei di Atletica ci hanno raccontato una storia importante

Ma qui è utile provare a capire come, con un graduale ma non casuale processo di crescita, siamo diventati una grande potenza dell’atletica, al tramonto di uno delle nostre epoche peggiori.

Il motivo è politico, sociale, antropologico ma anche e soprattutto di programmazione “civile”. Sì, perché anche grazie a un CONI che vede ai suoi vertici uno che lo sport lo ama senza se e senza ma e che – come testimonia anche una bellissima intervista di Malcom Pagani nel podcast Dicono di te (arrivato a 50 puntate, speriamo duri quanto Beautiful) – da sempre ha sognato di essere a capo del Comitato Olimpico, è cambiato il modo di approcciarsi allo sport.

C’è di sicuro chi è più bravo e competente per illustrare gli anni di nobile lobbying attuata dal CONI, di persuasione culturale e politica, di capacità di relazione che ha portato a grandi eventi rifiutati (sì, l’idea che prenderò un aereo per andare a Parigi quest’estate invece che la metropolitana per assistere alle Olimpiadi ancora mi devasta) con tanto di ignobile anticamera imposta da un sindaco a chi stava per fare il miracolo. Di eventi saltati all’ultimo (perché questo governo ha rovinato il lavoro di FIDAL e Comune di Roma, con la candidatura di ferro della Capitale per i mondiali di atletica sabotata), ma anche centrati come Milano-Cortina che porterà benefici come già i Giochi a Torino e l’Expo a Milano e gli Europei di Atletica appena finiti.

Una spedizione fortunatissima quest’ultima, ben 11 ori e 24 medaglie totali, la leadership indiscussa nel medagliere, nell’organizzazione, nell’immaginario collettivo. Una storia da film, che parte da Tokyo (in realtà prima, ma se dovessimo girare la prima scena di questo lungometraggio, sarebbe sicuramente l’abbraccio dorato in Giappone tra Jacobs che trova alla fine della sua corsa Tamberi a braccia aperte ad accoglierlo) e che, speriamo, abbia il suo apice a Parigi, fra qualche settimana.

Una storia che ha tutto quello che ora pubblico, produttori, major e piattaforme chiedono. Ragazzi e ragazze con storie incredibili (e alle Olimpiadi ci sarà pure Sinner), che rappresentano con orgoglio una penisola che raccoglie in sé varie anime, colori, suggestioni, eredità, legacy, viaggi, culture, religioni. Una storia inclusiva, aspirazionale, potente.

L’Italia s’è desta

Come è successo? Non con l’integrazione forzata e un po’ pelosa transalpina (ma anche anglosassone), con la predazione nelle banlieues e nelle ex colonie, dall’alto, di atleti straordinari, ma con quella dal basso, quella di base e scolastica.

Sapete perché la piccola Slovenia, un giorno, arrivò sul tetto del mondo del basket, tanto quanto i dream team figli dell’opulenta NBA? Perché da Lubiana a Kranj, da Maribor a Celje non c’è un paesino (neanche Zminec, che conta a stento 1000 abitanti), scuola, parco giochi che non abbia un playground. Esattamente come l’Italia divenne una potenza del calcio perché non c’era scuola, parco, oratorio in cui non si giocasse a pallone. E così via.

L’atletica è stato il passaporto, per decenni, per costruire l’identità sportiva di base di questo paese. Con i Giochi della Gioventù (fateli tornare, vi prego), ma anche e semplicemente con quelle palestre spesso figlie di edifici fascisti (no, non hanno fatto anche cose buone, sono stati fortunati e abili chi li ha seguiti nel rendere positivi alcuni lati della loro propaganda), fino alle ore di Educazione Fisica che sono state difese e sostenute negli anni, con l’ISEF che ha la dignità di una laurea, con una cultura che a volte ha ridicolizzato quell’ora, ma non l’ha mai abbandonata.

Italy's Larissa Iapichino celebrates after winning the silver medal at the women's long jump final during the European Athletics Championships at the Olympic stadium in Rome on June 12, 2024.

Italy’s Larissa Iapichino celebrates after winning the silver medal at the women’s long jump final during the European Athletics Championships at the Olympic stadium in Rome on June 12, 2024

E lì, in tuta, siamo tutti uguali. Soprattutto all’inizio. A scuola ci vanno tutti. E come il grembiule copre le differenze sociali, i banchi sono la livella di tutte le differenze legate all’apparenza. O almeno ci provano. Di sicuro una pista, un cronometro, una prova di resistenza possono vedere eccellere non il più ricco, bello o privilegiato, ma il più volenteroso, talentoso, forte di fisico e carattere.

E così da qui, dagli impianti a disposizione di tutti nei parchi, dagli attrezzi ginnici che piano piano hanno punteggiato molti nostri spazi verdi, a tante piccole vittorie delle amministrazioni che hanno capito che lo sport è l’ossigeno del vivere civile, è l’essenza della formazione educativa, siamo andati avanti. Ricordate Alex Schwazer che nella docuserie Netflix si allenava tra Montesacro e Parco delle Valli sfruttando la pista ciclabile e la pista d’atletica all’interno del parco romano? Ecco, parliamo proprio di tutto questo, del prezioso lavoro di questi anni di realtà come il CSEN (Centro Sportivo Educativo Nazionale) a cui si deve molto di tutto ciò.

Ovvio, contano i centri di eccellenza, conta come e quanto siano stati seguiti i campioni in erba, conta la bravura e l’aggiornamento dei tecnici federali. Ma l’avvicinamento allo sport ha regalato medaglie ma pure una società e una civiltà più sana. Mentre perdevamo valori e molti punti cardinali delle nostre bussole culturali e umane, quelle discipline praticate fin da piccoli (non c’è una famiglia che non cerchi di regalare fin dai due o tre anni almeno un pomeriggio a settimana sportivo, dal nuoto al rugby, il metodo Montessori ne fa uno dei suoi cardini) sono rimaste un punto saldo. A Rieti si allenano studenti e atleti professionisti, così come a volte capita allo Stadio dei Marmi o al Francesco Rosi.

La nuova Italia uscita dagli Europei di Atletica

E mentre editoriali demenziali mettono in dubbio l’italianità di Sinner o Balotelli, nessuno lo fa con i nostri campioni dell’atletica. Perché anche il più ignorante, anche il più violento razzista, ha corso accanto a tutti i compagni delle scuole che ha frequentato. E ricorda che rappresentavano ogni tassello del mosaico che è la nostra società, che a lui piacesse o no. Che se voleva giocare o fare sport, il testimone lo doveva raccogliere, la palla la doveva passare al compagno di squadra. Ovunque fosse nato lui, suo padre o suo nonno.

Ecco perché il cinema deve imparare questa lezione. Ecco perché come nello sport deve essere un indirizzo politico (Presidenza del consiglio e almeno tre ministeri, non solo il MIC), amministrativo (regioni e comuni, si veda l’esempio virtuoso di Roma e di una realtà come la scuola Volonté), formativo (il cinema di base deve diventare un’ora di didattica dell’audiovisivo alla settimana, almeno, obbligatoria a scuola: guardate iniziative della Regione Lazio come ABC il successo e la potenza che hanno) e sì anche socialmente competitivo. Perché lo sport è tra i pochi elementi di una società statica come quella italiana per salire la scala sociale e può, deve diventarlo anche il cinema.

Malagò, così come una certa classe politica italiana – locale e nazionale – hanno capito che l’accesso totale e quando possibile gratuito a qualcosa di così benefico come il praticare discipline sportive avrebbe migliorato non solo in risultati ad alti livelli, ma anche la cultura di un paese e di un popolo, il rispetto per certi valori, la crescita morale e civile dei cittadini.

Lo stesso vale e deve valere per il cinema, come la salute fisica dei suoi cittadini rende uno stato migliore, così quella mentale e creativa fa e farebbe per la comunità. Mentre c’è una fetta di classe dirigente che sostiene da ormai due decenni che con la cultura non si mangia, dovremmo opporre a questo modo utilitaristico di vedere le cose una visione costruttiva.

La cultura, come il cibo, l’istruzione, la sanità è un bene comune. Non si deve mangiare con la cultura, si deve crescere con essa, viverla, diventare migliori grazie alle sfide che ti propone. Senza cultura, mancherà il cibo per l’anima e per i corpi. Senza cultura, le civiltà si rattrappiscono, si umiliano, infine muoiono.

Immaginiamo un cinema di base. Rendiamolo un cardine del presente e del futuro

E allora immaginiamo un cinema di base. Di piazza, di scuola. Immaginiamo realtà come il Troisi o l’Anteo dove si vedono film, si studia, si mangia e si beve, si fa comunità.

Immaginiamo scuole e indirizzi scolastici specifici (da noi c’è già il liceo scientifico sportivo, in Germania addirittura il liceo calcistico, ma per l’istruzione secondaria sull’audiovisivo abbiamo solo il Rossellini, a Roma) fin dalla fine della scuola dell’obbligo. E non solo perché il giornalismo è sempre più avvilente – economicamente e non solo – e molti, a partire dal sottoscritto, potrebbero trovare nuove motivazioni insegnando (sì, lo so, c’è già un elenco formatori riconosciuto dal ministero, allora usiamoli).

Costruiamo percorsi Erasmus per chi si affaccia al mondo del cinema e, come già detto in un altro editoriale, se proprio si vuole moralizzare il tax credit, si destinino quei soldi non a Giorgetti con lettere patetiche ma alla costruzione di case dello studente per chi si dedica all’audiovisivo. A misure che rendano l’accesso alle professioni dell’audiovisivo davvero uguale per tutti.

Immaginate una città universitaria che ha la casa dell’attore, del regista, dello sceneggiatore e così via.

Gianmarco Tamberi of Team Italy reacts during the Men's High Jump Final during the European Athletics Championship at Olimpico Stadium in Rome, Italy, taken on 11 June 2024

Gianmarco Tamberi of Team Italy reacts during the Men’s High Jump Final during the European Athletics Championship at Olimpico Stadium in Rome, Italy, taken on 11 June 2024

Permettiamo a tutti di immaginare, creare, realizzare sogni e visioni. Alcuni vinceranno l’Oscar, altri faranno cinepanettoni. La maggior parte potranno avere nel proprio bagaglio emotivo ed educativo un percorso che ha consentito loro di conoscersi meglio, di aver indagato il proprio inconscio e di averlo rappresentato, saranno stati a contatto con pensieri ed emozioni e avranno saputo dar loro una forma e un’espressione.

Quando pensate all’educazione sentimentale a scuola come antidoto ai femminicidi, per esempio, dovete pensare che l’audiovisivo potrebbe essere uno dei tasselli per insegnare a un popolo a guardarsi dentro. La rappresentazione della donna è essa stessa una riflessione sulla condizione della stessa, raccontarla può mettere a contatto molti con le aberrazioni che le loro menti, le loro eredità familiari, i condizionamenti sociali operano ogni giorno.

Ma soprattutto gran parte dell’informazione, dell’istruzione, della formazione, della memoria storica (pensate a fiction, serie storica e docuserie, che ormai stanno riscrivendo soprattutto la Storia moderna e contemporanea) passa per l’audiovisivo – e per il podcast -, alfabetizzare la cittadinanza su queste forme di espressione ormai è quasi comparabile all’insegnare a leggere e scrivere. Se vogliamo una collettività veramente consapevole, rendiamola tale.

Esattamente come lo sport innalza e tiene lontani da criminalità e droga, la cultura può fare altrettanto. E perché non cominciare dal cinema, dall’audiovisivo che, esattamente come lo sport ha una diffusione di massa e la forza empatica di coinvolgere tutti, nel suo immaginario come nelle sue regole?

Viene in mente che i dirigenti sportivi, mediamente, siano stati migliori di quelli culturali nel nostro paese. E che quando questi ultimi hanno avuto ruoli importanti (da Nicolini a Veltroni), dall’Estate Romana alle Case del cinema o del jazz hanno saputo percorrere parte di questo sentiero che vorremmo tracciare.

Ho voglia di commuovermi ancora come con la 4×100 dorata del 12 giugno. Perché quei quattro non sono solo fortissimi e velocissimi. Ma sono ragazzi dalla faccia pulita che potresti incontrare per strada (confesso: Tortu è il mio preferito, così cazzuto e fragile, così capace di introspezione e voglia di migliorare). Ci rappresentano e questo che vincano un oro o vengano squalificati poco importa. Ho il desiderio che queste storie siano in tanti a sapermele raccontare e ancora di più a capirle.

Dateci un’ora di cinema a scuola (per cominciare) e solleveremo il mondo.