F**** A Questi Tecno-Fanatici Pro Trump. Hollywood Contro Silicon Valley In Un’Epica Battaglia Presidenziale.

I magnati liberali di Los Angeles attaccano Elon Musk e il resto del club dei miliardari della Silicon Valley in uno scontro politico titanico, con l’obiettivo dichiarato di dimostrare che il denaro non può comprare un'elezione.

I magnati liberali di Los Angeles attaccano Elon Musk e il resto del club dei miliardari della Silicon Valley in uno scontro politico titanico, con l’obiettivo dichiarato di dimostrare che il denaro non può comprare le elezioni politiche. Se volessimo stabilire l’esatto momento in cui la Silicon Valley dichiara guerra a Hollywood, probabilmente sarebbe il 29 agosto 1997. Fu in quel giorno che Reed Hastings e Marc Randolph si riunirono a Scotts Valley, a un’ora da San Francisco, e avviarono una piccola azienda che offriva un servizio di noleggio di DVD chiamata Netflix. Il resto è storia: in appena un paio di decenni, tutti i tradizionali pilastri del vecchio ordine dell’intrattenimento hanno iniziato a crollare. Televisione pubblica, TV via cavo, sale cinematografiche – niente è rimasto in piedi, almeno non in auge come in passato.

Illustration by Justin Metz

Questo lo sappiamo tutti, fin troppo bene.
Recentemente, la California del Sud è pervasa da un rinnovato fervore, mosso dal tentativo di Hollywood di riaffermare la propria influenza sull’industria cinematografica. Questa volta, però, la contesa non si gioca sul terreno delle piattaforme digitali o della protezione dei contenuti online. L’attuale battaglia è di portata ben più ampia e si concentra sulla direzione politica del paese. La guerra è diventata una lotta titanica per il controllo della presidenza degli Stati Uniti.
Hollywood, storicamente nota per il suo liberalismo e la sua influenza culturale, si confronta ora con i super-ricchi della Silicon Valley, più potenti che mai.
Mentre i magnati della tecnologia, come Elon Musk e Peter Thiel, utilizzano il loro potere economico per sostenere candidati conservatori e promuovere una politica meno regolamentata, la Dream Factory si mobilita con forza per la candidatura di figure progressiste, considerando le elezioni presidenziali un’opportunità per riequilibrare le forze e riaffermare il proprio ruolo nel determinare il futuro politico e culturale degli Stati Uniti. La California del Sud si prepara a giocare un ruolo cruciale per la direzione del paese alle prossime elezioni di novembre. Il nuovo grido di battaglia di è “Distruggiamo questi tecno-fanatici trumpisti.” La critica è rivolta ai super-ricchi della Silicon Valley che hanno recentemente appoggiato il candidato presidenziale repubblicano Donald Trump. Tra i sostenitori più noti c’è Elon Musk, probabilmente l’uomo più ricco della storia con un patrimonio netto di 250 miliardi di dollari. Musk aveva inizialmente promesso di donare 45 milioni di dollari al mese per foraggiare la campagna elettorale di Trump, ma poi ha smentito, affermando di destinare i suoi fondi al comitato d’azione politica pro-Trump, AmericaPAC. Al fianco di Musk si schiera Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e CEO della società di investimento Mithril Capital. Thiel ha investito circa 15 milioni di dollari nella campagna elettorale a favore di J.D. Vance, vice presidente di Trump. Ma nella Silicon Valley resistono anche molti liberali influenti, come Laurene Powell, vedova di Steve Jobs, la COO di Meta, Sheryl Sandberg, Reid Hoffman, altro funzionario di Paypal, che ha donato 7 milioni di dollari al comitato di azione politica indipendente (super PAC) sostenitore del Partito Democratico. Senza dimenticare Reed Hastings, imprenditore e dirigente d’azienda statunitense, noto soprattutto come cofondatore e CEO di Netflix, che ha recentemente donato 7 milioni di dollari a un gruppo pro-Kamala Harris chiamato Republican Accountability PAC. Tuttavia, il numero di miliardari tecnologici pro-Trump è sorprendente quasi quanto le somme di denaro raccolto per la sua campagna elettorale. Sostenitori come Cameron e Tyler Winklevoss, i magnati dei bitcoin che nel 2004 hanno fatto causa a Mark Zuckerberg per aver presumibilmente rubato la loro idea per Facebook (entrambi interpretati da Armie Hammer in The Social Network di David Fincher); il venture capitalist David Sacks; il fondatore di Valor Equity Partners Antonio Gracias (che ha donato 1 milione di dollari); Jacob Helberg, imprenditore e investitore nel settore tecnologico, noto principalmente per il suo ruolo di CEO della società di tecnologia della difesa Palantir (un altro milione di dollari); l’imprenditore Joe Lonsdale (anche lui 1 milione di dollari); Douglas Leone di Sequoia Capital (un altro milione); Shaun Maguire (500.000 dollari); e l’investitore Ben Horowitz (che ha annunciato un contributo significativo); e una dozzina di altri super-ricchi. Curiosamente, Zuckerberg e Sam Altman, fondatore di OpenAI, sembrano rimanere neutrali. Trump ha affermato che Zuckerberg gli ha promesso di non sostenere un democratico. Altman, che in passato ha paragonato Trump a Hitler, ha invitato gli americani a ridurre il tono acceso e aggressivo delle dichiarazioni e delle discussioni politiche, evitando linguaggi estremi, polemici o incendiari.

I Gemelli Winklevoss twins, Tyler and Cameron. / Keenan/

Jacob Helberg, advisor per la difesa tecnologica technology della Palantir — azienza che opera in ambito di ricerca AI militare. /Ilya S. Savenok

Se fino a un paio di settimane fa i pezzi grossi di Hollywood non sembravano intenzionati a partecipare attivamente alle elezioni presidenziali, dal momento in cui Biden si è ritirato, appoggiando Harris, e letteralmente da un giorno all’altro, le élite si sono infiammate. Nelle prime 24 ore dall’annuncio del ritiro, Harris ha raccolto 100 milioni di dollari in donazioni da tutto il paese. Un record. Jeffrey Katzenberg, uno dei fondatori di DreamWorks e co-presidente della campagna elettorale di Harris, ha dichiarato: “L’entusiasmo e il sostegno per la vicepresidente sono memorabili.”

Kamala Harris, californiana, aveva già costruito una solida rete di sostenitori a Los Angeles. Tra coloro che hanno appoggiato la sua corsa alla presidenza nel 2020 — prima che si ritirasse per unirsi alla squadra di Biden — c’erano Steven Spielberg, J.J. Abrams, Ben Affleck, Reese Witherspoon, Reginald e Chrisette Hudlin, Jeff Shell, Donna Langley, Dana Walden, Jessica Alba, Mindy Kaling, Ron Meyer, Jeff Bridges e Shonda Rhimes, solo per citarne alcuni. Il crescente entusiasmo dei sostenitori di Harris è dettato dal desiderio di ridefinire il concetto di cultura, escludendo i vari Musk, Zuckerberg e Altman che pure hanno tentato di farlo, ma senza successo. “Questi ragazzi possiedono già un potere smisurato, non hanno bisogno di insediarsi anche alla Casa Bianca. Penso che questa campagna elettorale sia un’opportunità per riportare un po’ di equilibrio” dichiara un noto sostenitore della Harris. Non è un segreto che Hollywood non abbia mai digerito l’influenza dei “tech bros” (termine colloquiale e talvolta dispregiativo utilizzato per descrivere un particolare tipo di imprenditore nel settore tecnologico) nella cultura di massa. Nessuno a Hollywood si rallegra all’idea che queste persone siano alleate con Trump e proprio per questo si prevede un’importante mobilitazione, soprattutto economica, volta a dimostrare che il denaro non è tutto, che non possono vincere le elezioni col solo ausilio dei soldi.

Dana Walden Disney co-chair e sostenitrice da lungo tempo di Harris supporter / Matt Winkelmeyer/

In realtà, non tutta questa ostilità è dovuta alla politica. Parte del risentimento ha tanto a che fare con l’ideologia. Dopo tutto, questi tech bros della Silicon Valley hanno calpestato Hollywood per anni, irrompendo con i loro nuovi servizi in abbonamento, distruggendo i modelli di business tradizionali delle TV e del grande schermo, imponendo culture aziendali estranee a un’industria che ha sempre tenuto a cuore i posti di lavoro. Alcuni appassionati di cinema e figure di spicco di Hollywood, come il regista Christopher Nolan, sono ancora profondamente infastiditi dal Progetto Popcorn, termine che fa riferimento alla decisione di Warner Bros. di rilasciare tutta la programmazione cinematografica prevista per il periodo della pandemia direttamente a HBO Max, il servizio di streaming, anziché alle sale cinematografiche. La strategia, ideata da Jason Kilar, ex capo di WarnerMedia e co-fondatore di Hulu, ha sollevato polemiche e malcontento tra i professionisti del settore. Molti sostengono che questa scelta abbia compromesso l’esperienza del grande schermo e minato i ricavi delle sale, influenzando negativamente l’industria cinematografica tradizionale. Nonostante le apparenti somiglianze, Hollywood e la Silicon Valley presentano differenze fondamentali. Hollywood, pur con i suoi difetti, mantiene una forte coscienza sociale e una lunga tradizione di liberalismo. Celebrità come Kirk Douglas, Henry Fonda, e Katharine Hepburn hanno sempre sostenuto cause progressiste, e anche oggi personaggi come Robert De Niro e Alyssa Milano continuano su questa linea. Beverly Hills e i dintorni sono rimasti tra i luoghi più “blu” del paese. Quando si dice che Beverly Hills e dintorni sono tra i “luoghi più blu del paese” si fa riferimento al fatto che queste aree sono note per avere una forte inclinazione politica verso il Partito Democratico, che durante le elezioni è spesso associato al colore blu. Fino a poco tempo fa, anche la Silicon Valley condivideva molti dei valori di Hollywood, sostenendo diritti civili e altre questioni culturali progressiste. Tuttavia, recentemente qualcosa è cambiato. Eric Paquette, CEO di Meridian Pictures, esprime stupore per il sostegno di tanti miliardari tecnologici a Trump. “Non capisco come, essendo già ricchissimi, si possa continuare a sostenere Trump solo per avere tasse più basse.

J.J. Abrams /Stefanie Keenan/

È triste vedere come alcuni sacrificano la democrazia per proteggere la propria ricchezza.” In realtà, ci sono motivi più complessi dietro il sostegno dei tech bros a Trump. Christopher Wylie, il whistleblower di Cambridge Analytica, spiega che non si tratta solo di soldi. “In Silicon Valley, questi miliardari stanno costruendo una sorta di religione tecnologica. Credono di poter creare un’intelligenza artificiale così potente da essere considerata divina e si vedono come i profeti del nostro futuro”. Alcuni credono che i tech bros siano fervidi seguaci del transumanismo, movimento filosofico e culturale che sostiene l’uso della tecnologia e delle scienze per migliorare le capacità umane, sia fisiche che mentali, e per superare i limiti biologici dell’essere umano, come la morte. L’idea è di farsi pionieri di un futuro in cui le persone possano vivere più a lungo, migliorare le loro capacità cognitive e fisiche. Trump non sembra aderire direttamente a questa filosofia, ma accetta il loro denaro e le loro direttive politiche. Ha già dimostrato un’apertura totale promettendo di fare degli Stati Uniti la capitale mondiale delle criptovalute, nonostante in passato definì il bitcoin “non denaro.” “È un burattino nelle mani dei miliardari della Silicon Valley” dice Wylie. Molti a Hollywood condividono questa considerazione, anche se non hanno mai sentito parlare di transumanismo, e questo è uno degli aspetti che trovano più inquietanti della Silicon Valley. “Penso che questi tizi vedano Trump come un contenitore vuoto,” dice un noto dirigente che sostiene Harris. “Lo considerano un veicolo per promuovere la loro agenda politica, che mira alla sopravvivenza del più forte, senza regole, e che si basa su un nichilismo distruttivo, privo di empatia e di sfumature.” Queste parole potrebbero suonarti vagamente familiari. Le hai già sentite in un vecchio film di Arnold Schwarzenegger su una macchina da guerra transumana del futuro che non provava “compassione, rimorso o paura.” Curiosamente, la data menzionata in precedenza, quando Netflix ha iniziato a prendere il controllo di Hollywood — il 29 agosto 1997 — è anche quando Skynet acquisì la consapevolezza di sé in The Terminator.

E sappiamo come è andata a finire.

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