Il caso Alex Schwazer: “Mi hanno già ucciso come atleta due volte. Una terza non la reggerei”

Su Netflix è arrivata la docuserie sull'Odissea del marciatore campione olimpico a Pechino, dalla squalifica per doping fino al complotto che gli ha tolto la possibilità di ritornare sia ai Giochi di Rio 2016 che a quelli di Tokyo 2021

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Alex Schwazer è un Ulisse dolente e sconfitto nell’Odissea che gli ha imposto una Federazione mondiale d’Atletica che lo ha umiliato e sconfitto solo con le carte bollate, perché i suoi piedi, nella marcia, erano i più veloci. Di quelli degli avversari e forse anche della storia del suo sport.

Le quattro puntate de Il caso Alex Schwazer, dal 13 aprile su Netflix, la nuova docufiction della casa dalla N rossa, è il percorso infame di chi è caduto, ha ammesso le proprie colpe, è tornato per dimostrare agli altri e a se stesso di essere ancora un campione e ha trovato di fronte a sé il muro di istituzioni che gli avevano giurato vendetta, un esercito di uomini mediocri e in cattiva fede che lo hanno demolito, ma non spezzato.

Nessuna storia di fiction sarebbe potuta essere così tortuosa, elaborata, intricata, nessun sceneggiatore avrebbe potuto immaginare i tanti colpi di scena di una storia incredibile, nessuno, alla fine di queste quattro puntate può credere a ciò che ha visto.

Alex Schwazer, da Pechino a Rio De Janeiro e Tokyo

Tutti noi abbiamo ancora negli occhi e nel cuore quel ragazzo biondo e atletico che ad Amadeus, al Festival di Sanremo, dichiara con sicurezza che sì, alle Olimpiadi di Tokyo ci sarà. Con l’ingenuità dell’innocente, immagina che dopo aver visto riconosciuta in un tribunale la sua innocenza e gli errori dei suoi carnefici, la sua squalifica (8 anni) sarà cancellata. Non è andata così, il suo secondo ritorno è stato bloccato dall’ottusa ostinazione delle istituzioni sportive e antidoping che hanno voluto, di fatto, radiarlo dal suo sport.

Tanto che la durata della sua squalifica è tarata perché neanche Parigi 2024 possa essere un obiettivo. Non è stata resa retroattiva dal momento della sua seconda positività (il 1° gennaio 2016, anche la data è ridicola), ma dall’ultima sentenza del TAS, a Rio. E questo nonostante la IAAF (la federazione mondiale d’atletica) gli abbia tolto l’oro ai mondiali di marcia di Roma 2016 – in teoria, con questa cronologia, quella gara sarebbe stata fuori dal periodo di inibizione alle gare.

Quando gli chiediamo se, in caso di un condono di parte della pena, proverà a partecipare alle prossime Olimpiadi, lui con un sorriso amaro risponde “Mi hanno già ucciso come atleta due volte, basta così. Una terza non la reggerei”. Ma allo stesso tempo, lui che per tornare a vincere un oro alle Olimpiadi si era affidato al suo inquisitore, Sandro Donati, non si pente di nulla. Anche se il complotto di cui è stato vittima, probabilmente è una vendetta per interposta persona, che voleva colpire proprio lo storico allenatore da sempre in prima fila nella lotta al doping.