In principio era Skam Italia. Ma poi, subito dopo, fu Prisma. La seconda stagione della serie Original Prime Video è uscita sulla piattaforma di streaming il 6 giugno, firmata da Ludovico Bessegato e Francesca Scialanca. Bessegato è regista, showrunner e sceneggiatore di Prisma. Ma anche il padre putativo di Skam Italia, in quanto creatore (e non solo) dell’adattamento dall’originale norvegese.
Fare un paragone vero e proprio tra le due serie, ovviamente, sarebbe ingeneroso. Skam Italia poneva diversi limiti creativi, per la sua natura di adattamento da un’idea altrui. Tutto il contrario di Prisma, soggetto originale ideato da Alice Urciuolo e Bessegato stesso. La maggiore libertà creativa si vede soprattutto dai temi e da come vengono affrontati: disabilità, fluidità di genere, identità sessuale, revenge porn e omofobia sono solo alcuni. Insomma, per più di una ragione Prisma è una gemella di Skam Italia libera di affrontare tematiche diverse come e quando vuole, senza limitazioni.
La trama di Prisma 2
I protagonisti di Prisma sono Andrea e Marco (entrambi interpretati da Mattia Carrano), gemelli attorno ai quali ruotano le vite e le vicissitudini di amici e compagni di scuola di Latina. Marco, il più schivo, vuole diventare un campione di nuoto e ha un debole per Carola (Chiara Bordi). E di lui, in fin dei conti, resta poco altro da dire. Diverso è il discorso per Andrea, il cui personaggio si ritrova a esplorare i confini della propria fluidità di genere e cercare per tentativi ed errori un modo sano e aperto di autorappresentarsi. Ed è commovente davvero assistere all’evoluzione che lo vede passare dal provarsi vestiti femminili di nascosto in camera sua ad andare a scuola con codino, matita, smalto e abiti più femminili.
Comunque, dopo una prima stagione in cui Andrea ha “catfishato” Daniele (Lorenzo Zurzolo) fingendo di essere una ragazza cis, i due si trovano in fase di stallo. Andrea procede spedito nel suo percorso di scoperta e accettazione di sé; lo fa senza darsi troppe etichette, anche grazie all’aiuto di amici che fanno parte della comunità Lgbtq+. Daniele è al contrario decisamente più confuso dalla rivelazione di avere una cotta per un ragazzo, dopo vent’anni passati ad avere solo relazioni eterosessuali. In questa situazione non lo aiutano, poi, né l’ambiente né l’estrazione sociale. Il ragazzo ha infatti abbandonato la scuola per lavorare, ha una famiglia disastrata e fa musica in un trio trap che ha attirato l’attenzione di Achille Lauro (oramai punto fermo e unica certezza di ogni singolo prodotto Prime Video).
Tra gli amici Lgbtq+ di cui sopra spiccano infine Micol (Elena Falvella Capodaglio) e Nina (Caterina Forza). Tra le due c’è un forte interesse reciproco, minato però da qualche incomprensione.
Prisma 2, tra possibilità colte e mancate
Le vicissitudini dei ragazzi procedono in modo talmente parallelo e intrecciato da rendere impossibile l’impresa di riassumerle. Addio, quindi, alle stagioni di Skam Italia dedicate a un solo personaggio e a un tema principale. Prisma cerca di dare lo stesso spazio a tutti i suoi protagonisti, cercando di approfondire i problemi di ognuno di loro a 360 gradi. Nel corso della stagione, per esempio, si parla degli effetti del revenge porn su Carola, ma anche del suo conseguente attivismo performativo. Grazie a Nina, poi, Prisma parla anche di quanto solitaria sia la scelta di essere out and proud in provincia. E ancora, con Andrea e Daniele, esplora quanto sia inutile cercare delle etichette se stanno strette, ma anche di quanto invece sia importante difendere quelle per cui si ha combattuto.
Degno di nota è poi il tentativo di mettere in campo un approccio diverso del mondo adulto di fronte alla complessità adolescenziale. Certo, ciononostante la madre di Andrea è una cattolica convinta che riduce la fluidità del figlio a una fase conformista. E certo lo zio di Andrea, un prete, non spende due parole per motivare la sua accettazione della diversità del nipote: tutto ciò che fa è tirare fuori dal cilindro un articolo di Vanity Fair in cui papa Francesco scrive a una donna trans che “siamo tutti figli di Dio”.
La scena, oltre ad essere involontariamente amara ed esilarante alla luce delle recenti dichiarazioni del pontefice contro l’omosessualità, rappresenta un’occasione mancata. Perché delega il tema spinoso dell’inclusività nella religione a fumose linee guida dettate dall’alto, perdendo così la possibilità di approfondire e rafforzare quella che sembra essere la tesi di fondo di Prisma. E cioè che, indipendentemente da dove vieni, da chi sei e in cosa credi, alla fine ciò che conta è stare bene, e dovresti accettare che gli altri facciano lo stesso nel modo migliore che trovano.
La complessità del femminile in Prisma 2
In una stagione che prova a cogliere al meglio quante più occasioni possibili, però, ce n’è un’altra quasi mancata: la rappresentazione dei rapporti femminili. Perché le dinamiche maschili, in Prisma, sono molto più interessanti, probabilmente perché più curate attraverso tante piccole sfumature. È facile rendersene conto confrontando le due coppie queer della serie: il rapporto tra Nina e Micol non resta mai a decantare, e gli spazi che si guadagna finiscono per essere più che altro delle parentesi nella trama principale. Il conflitto, quando c’è, si dilata in modo dispersivo e capita di dimenticarsene.
La sottotrama, per esempio, del rapporto ambiguo tra Nina e Akem, la sorella tredicenne di un’amica, promette all’inizio spunti di riflessione interessanti su identità lesbica, doppi standard e dinamiche di potere tra chi ha già esperienza e chi è alle prime armi. Nina è out da tempo, ed è vista da tanti suoi amici – Andrea per primo – come una guida, una persona risolta. Ma Nina, come loro, ha sedici anni; come loro si sente sola, e come loro vorrebbe essere cercata e desiderata. La vita di questi spunti, però, è breve, e la serie s’interrompe prima che il conflitto con Micol esploda davvero. Stroncando così di fatto la riflessione sul nascere: chissà, se ne parlerà al massimo tra uno o due anni, con la terza stagione.
Scarsa è quindi l’indagine, in confronto ad Andrea e Daniele, su cosa significhi essere una ragazza queer di sedici anni a Latina. E l’intimità, per quanto sia importante per Nina (“Mi hai fatta aspettare”, dice a Micol dopo la loro prima volta), viene scarsamente mostrata. Non che metterla in scena sia necessario di per sé, naturalmente; ma il contrasto con la profondità dello sguardo nel rapporto tra i due ragazzi – sguardo che si sofferma con gentilezza su ogni loro passo avanti o indietro, anche il più intimo – è ancora una volta sintomatico.
I rapporti femminili in Prisma, insomma, sembrano qualcosa che “accade”, spesso in secondo piano, secondo meccanismi che la narrazione stessa fatica a capire. E sarebbe bello se avessero, come Andrea, Daniele e Prisma stesso, la libertà di prendersi anche loro il loro tempo. Un tempo per raccontarsi, capirsi ed esplorare meglio le proprie colorate sfaccettature.
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