Debutta su Paramount+ la terza stagione di Vita da Carlo. Ovvero, Carlo Verdone – che compie questa fine settimana 74 anni – racconta se stesso, le sue ossessioni, il suo dolceamaro rapporto con la popolarità, nella forma di una serie televisiva. Sulla piattaforma sono disponibili subito i primi cinque episodi della nuova stagione: dal 23 novembre gli altri cinque.
Raccontare la propria vita, in una versione leggermente distopica, in una sorta di auto fiction cinematografica. A pensarci bene, pochi altri attori in Italia sono così popolari, così entrati nella coscienza di tutti, da potersi permettere di raccontarsi come un personaggio fittizio. È quello che fa Verdone, mescolando vita vera e romanzata: un meccanismo narrativo nel quale si muove perfettamente a suo agio.
“Non devo preoccuparmi di interpretare un personaggio, di creare dei gesti, delle espressioni: mi sento libero, nell’essere me stesso”, dice Verdone, che THR Roma ha raggiunto sabato al telefono.
La gabbia, la prigione è quella che costruiscono gli altri, attorno a lui. Ad esempio, un vicino di casa attore, con disturbi della personalità, interpretato da Maccio Capatonda, new entry della terza stagione. Ma a costruirgli la gabbia più grande è il meccanismo narrativo che muove tutti gli episodi di questa stagione, scritta da Verdone insieme a Nicola Guaglianone e a Menotti. A Carlo viene offerta la direzione artistica del festival di Sanremo.
“È una cosa che non farei mai, nella vita”, dice Verdone. “Ma, per ottenere un effetto comico, dovevo mettere in difficoltà il mio personaggio. E una proposta come quella mi metterebbe in enorme difficoltà”. Una volta, ricorda, gli accadde qualcosa di simile. “Mi proposero di essere una sorta di co-conduttore, un personaggio che ogni tanto tira fuori battute comiche. Ma risposi di no: non è quello il mio mestiere, non sono un improvvisatore. E poi, il palco di Sanremo è delicatissimo, difficilissimo da calcare. No, proprio non lo farei”.
Ma nella serie, ecco Verdone – che sta meditando di lasciare il cinema, e che vede come un incubo la proposta di interpretare una improbabile serie dal titolo Detective in ospizio – convocato da una dirigente Rai. Nell’ufficio campeggiano manifesti di fiction il cui solo titolo gela il sangue: Nonna Summer e Bidelli. E la dirigente Rai, fra mille complimenti, che gli propone la direzione artistica del festival di Sanremo.
Da lì, partono molti rivoli narrativi. Gianna Nannini – nel ruolo di se stessa – chiama Carlo per raccomandargli un brano che ha scritto, interpretato da un suo protégé. E mentre appaiono copertine di giornali e riviste che sparano in prima pagina la notizia – “Sanremo, tu mi adori?” titola un rotocalco: niente male come titolo – Verdone si affida a Roberto D’Agostino, come scout di nuovi talenti. Parte un viaggio fra locali off off e cantine. Fra i gruppi che appaiono nella serie, intrigante il grossetano Lucio Corsi, nella cui musicalità si mescolano anni ’70 “alternativi” e accenti contemporanei.
Denso, come nelle altre stagioni, il cast. Tornano Monica Guerritore nel ruolo della ex moglie ancora protettiva e quasi materna, Antonio Bannò fidanzato della figlia, interpretata con stile da Caterina De Angelis, nella realtà figlia di Margherita Buy, e Pietro Ragusa nel ruolo dello sceneggiatore innamorato del cinema d’autore. New entry, la conduttrice radiofonica Ema Stockholma, che Carlo chiama accanto a sé per l’avventura sanremese. Nel ruolo di se stessi Serena Dandini, Gianni Morandi e Zucchero Fornaciari.
Alla regia, Carlo Verdone sceglie, per la seconda volta, di farsi affiancare da Valerio Vestoso, 37 anni, già fra gli autori di Una pezza di Lundini e sceneggiatore di Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso. La fotografia è di Roberto Forza, collaboratore abituale di Marco Tullio Giordana, di Ficarra & Picone e di molti altri protagonisti del cinema italiano. La produzione è di FilmAuro, Aurelio e Luigi De Laurentiis, per Paramount. Intanto, Carlo Verdone è già al lavoro: sono iniziate giovedì 14 le riprese della quarta stagione di Vita da Carlo.
Al produttore, Luigi De Laurentiis, chiediamo di raccontarci quando è maturata la scelta di portare Carlo Verdone – legato a un lungo rapporto di fiducia e collaborazione con FilmAuro – sulla piattaforma. “È un processo che non è nato all’improvviso”, dice Luigi De Laurentiis.
“E’ nato tutto sette anni fa: all’estero c’erano molte serie che parlavano della vita di tutti i giorni di un personaggio. E allora ci siamo chiesti: perché non fare lo stesso con Carlo? È nato un dialogo fra Verdone, Nicola Guaglianone, me e mio padre Aurelio che ha portato alla nascita di Vita da Carlo”.
“Vita da Carlo era l’occasione di ‘poppizzare’, cioè di rendere pop, un personaggio già assolutamente popolare come Verdone. Era l’occasione di parlare un linguaggio diverso, mettendo dentro anche quello che nei film di Verdone non c’è: momenti di commozione, attimi più profondi”.
“Era un momento in cui il mondo delle piattaforme era molto intrigante, in grande ascesa, e noi non volevamo rimanere indietro: volevamo affacciarci nella vita delle serie televisive. Il Covid, poi, ha accelerato questo processo: con le sale cinematografiche chiuse, ci siamo accorti di quanto le piattaforme potessero essere importanti”. La prima stagione è stata distribuita da Prime Video nel novembre 2021; la seconda da Paramount+ nel settembre 2023.
“Produttivamente, per noi non è cambiato molto. È cambiato invece, ovviamente, quello che accade dopo. Andavamo in tutta Italia a promuovere il film nelle sale, da Trieste a Lecce, da Palermo a Ventimiglia. Ora si fa una promozione intessuta di ospitate televisive, di pubblicità sui social, mista ai trailer nelle sale e alla cartellonistica tradizionale. Ma certo, si fanno meno chilometri”.
Il futuro vedrà Verdone tornare a un film per le sale o no? “Al momento è meglio produrre per la piattaforma, ma non c’è dubbio che vorremo tornare in sala. Il rapporto diretto con il pubblico non ha paragoni, anche per un produttore, che può capire meglio che cosa arriva al pubblico. È stato prezioso vedere Vita da Carlo proiettato all’Auditorium, in chiusura della Festa del cinema di Roma. Questo rapporto con il pubblico manca. Per ora, rimaniamo sulla piattaforma, nell’attesa di tornare in sala”.
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