Squid Game 2: delusione o conferma?

Tra i grandi successi della scorsa stagione, flagrante conferma della innovazione della serialità (e del cinema) coreano, alla seconda stagione genera un chiaroscuro di opinioni. THR Roma ha sondato degli esperti

Forse era evidente, o forse no, ma che la seconda stagione di Squid Game non avrebbe concluso molto si sentiva nell’aria.  Quando, prima dello streaming, si parlava già di una terza stagione, quella finale, che sarà disponibile entro il 2025, apparve chiaro che la seconda fosse stata girata in contemporanea alla prima e successivamente smezzata. Questa notizia ha avuto la conferma ufficiale dello stesso regista e del cast. Nonostante tutto, però, questi sette episodi hanno fatto breccia nei cuori di coloro che dopo la prima stagione non aspettavano altro che rivedere i giochi da bambini trasformarsi in sfide all’ultimo sangue (come dimostra il fatto che anche la seconda stagione sia stata tra le più viste su Netflix)

C’è il giocatore 456, che dopo la vittoria, torna con l’intento di fermare tutto.  Accanto a lui un vecchio amico, e altri nuovi personaggi. Una ragazza incinta, una coppia formata da madre e figlio, un rapper e influencer, ormai sull’orlo del baratro. Tutti sono lì a mostrare la propria fragilità. Perché ciò che accomuna i concorrenti di questi macabri giochi è la disperazione.  Nonostante all’inizio non si sappia che si rischia la propria vita, molti, una volta scoperto, decidono di continuare a giocare. Tanto per chi è pieno di debiti e senza speranza, la fine sarebbe probabilmente la stessa.

Come ha detto Marianna Baroli di Panorama a The Hollywood Reporter Roma “Con una trama ancor più stratificata e una regia che si mantiene audace e visionaria, la serie riesce a esplorare con profondità i temi della disuguaglianza sociale e della natura umana”.

In effetti, a riprova della ampia attenzione che la serie ha ricevuto, sono molteplici i giudizi che circolano in rete. Opinioni discordanti ma quasi tutte accomunate dalla caratteristica più importante.  Chi inizia a vederlo non se ne stacca: quei “motivetti “restano nella mente per molto tempo. Si ascoltano ovunque, per strada, al supermercato.  

Gabriele Niola ha scritto sul  Post.

“Le prime puntate sono molto interlocutorie e non particolarmente brillanti e questo evidenzia come ciò che realmente conquista di Squid Game sia il suo meccanismo ludico. Infatti, quando la serie torna al cuore delle dinamiche di eliminazione, si riattiva anche quel meccanismo per cui un episodio chiama l’altro, rendendo difficile interrompere la visione”.

Ma, come ha detto Gabriele Prosperi di My Movies a The Hollywood Reporter Roma, con una riflessione legata alla cultura asiatica in cui la serie affonda le radici, Squid Game, anche se in una forma “diluita e meno audace” conferma la presa sulle nostre emozioni.

“La seconda stagione ha un incedere visivamente più contenuto ma che rimane valido concettualmente: Hwang Dong-hyuk trasforma la frenesia dei giochi mortali in un ritratto di ossessione e vendetta, facendo eco alla tradizione narrativa sudcoreana. Scenari più introspettivi, una maggiore politicizzazione del background e uno spostamento dell’attenzione dalle disuguaglianze sociali alla lotta personale per la giustizia, che rendono questa seconda stagione tanto efficace e funzionale a una continuazione, confermando il suo impatto emotivo, quanto però dichiaratamente più diluita e meno audace”.