“Time Bandits” su Apple TV+: La versione seriale di Taika Waititi del Classico ‘Cult’ di Terry Gilliam Premia Chi Ha Pazienza

Waititi, Jemaine Clement e Iain Morris hanno adattato il film del 1981 in una family comedy di 10 episodi per Apple TV+. Nel cast anche la beniamina di ‘Friends’ Lisa Kudrow.

Grazie a Steven Spielberg e ai suoi collaboratori, il cinema anni ’80 ha sempre offerto un’ ampia gamma di prodotti creati specificamente per un pubblico di ragazzi. Ogni tanto capitavano film come Gremlins, Indiana Jones e il Tempio Maledetto, o nel caso di mio fratello minore, The ‘Burbs, che potevano mostrare elementi a volte traumatici per gli spettatori più piccoli. Nessuno, però, era specializzato in film apparentemente per bambini ma in realtà assolutamente non adatti a loro come Terry Gilliam. Uno dei miei primi ricordi al cinema è stato dover abbandonare la proiezione di Jabberwocky perché non era il film che i miei genitori pensavano fosse. Il pubblico provò un disagio simile con Le Avventure del Barone Munchausen e, prima ancora, con Time Bandits del 1981, un giocoso girotondo infantile pieno di immagini oscure e svolte narrative imprevedibili e spigolose. Il film replica la caotica stranezza dei sogni d’infanzia, ma resiste quei moralismi scontati che spesso contraddistinguono i racconti per bambini.

Nella nuova versione di Time Bandits uscita su Apple TV+, la maggior parte degli spigoli è stata levigata, concentrando l’attenzione sugli aspetti più “giocosi” dell’originale e tralasciandone quasi del tutto le stranezze. Un atteggiamento tipico del co-creatore e regista di alcuni episodi della serie, Taika Waititi, la cui sensibilità potrebbe spesso essere definita proprio come un “Terry Gilliam con i paraurti”. La definizione non deve essere presa necessariamente come un insulto. Spesso Gilliam potrebbe trarre beneficio dall’uso di paraurti. I primi quattro o cinque episodi ― su dieci totali della durata compresa tra i 30 e i 46 minuti ― della nuova serie Time Bandits sono piacevoli, ma piatti. Ho perso interesse per i blandi tentativi dello show di replicare il film proprio nel momento in cui la serie inizia finalmente a trovare una propria storia, un proprio approccio al concetto di viaggio nel tempo, e una propria voce. Tra il sesto e il nono episodio, la storia mette una marcia tutta sua, diventando divertente, intelligente e persino emozionante.

La serie, creata da Jemaine Clement e Iain Morris insieme a Waititi, inizia in modo efficace. Veniamo rapidamente introdotti a Kevin (Kal-El Tuck), un undicenne patito di storia e completamente disinteressato a tenerselo per sé. A causa della sua logorroica nerdaggine, Kevin è sempre l’ultimo a essere scelto mentre i genitori lo spingono a fare cose più normali. Anche sua sorella minore Saffron (Kiera Thompson) non fa che prenderlo in giro. Al di fuori dei libri e dei suoi elaborati modellini, la vita di Kevin è piuttosto noiosa, fino a quando non scopre che l’armadio della sua camera da letto è in realtà un portale, da cui fuoriescono cinque viaggiatori del tempo: Penelope (Lisa Kudrow) leader sempre a disagio, l’empatica Judy (Charlyne Yi), l’aspirante attore Alto (Tadhg Murphy), il grande Bittelig (Rune Temte) e Widgit (Roger Jean Nsengiyumva), il loro navigatore capo.

I banditi, che lavoravano per l’Essere Supremo (Waititi), hanno rubato una preziosa mappa – “una carta celeste delle anomalie e dei portali delle intime e intrecciate complessità del tempo, dello spazio, del bene e del male e di tutte le dimensioni, inclusa la prima, la seconda, la terza e la quarta, che ci permette di viaggiare attraverso l’universo”, spiega Penelope – mappa che sperano di usare per saltare nel tempo e rubare tesori. L’Essere Supremo non è certo contento della perdita della mappa, al contrario del suo avversario Puro Male (Clement) entusiasta del fatto che il potente artefatto sia improvvisamente entrato in gioco. Puro Male invia così Fianna (Rachel House), una cacciatrice che spara laser infuocati dagli occhi, per cercare di accaparrarsi la mappa a tutti i costi.

Parlando di mappe, il film ha dato ai creatori un compito piuttosto facile. Per quanto strano possa sembrare, il film di Gilliam era molto episodico. Kevin e i banditi saltavano da un’epoca storica all’altra senza capire bene come funzionasse la mappa, mentre incarnazioni comiche del bene e del male tramavano la loro rovina. Il film era pieno di risate, ma nonostante la presenza di John Cleese e Michael Palin in ruoli secondari, non era apertamente Monty-Pythoniana – forse perché i co-sceneggiatori Palin e Gilliam volevano fare qualcosa di diverso da un sequel di Holy Grail o Life of Brian.

I creatori della serie non provano però la stessa necessità di evitare le ripetizioni, e la prima metà della stagione sembra quasi una specie di karaoke dei Monty Python. Nel tentativo di levigare gli aspetti più ruvidi adottano influenze alla Mel Brooks, così come nella composizione del gruppo di banditi, che finisce per assomigliare sia alla versione britannica che a quella americana di Ghost. Si ride, ma in modo derivativo, soprattutto in un episodio sul cavallo di Troia e un altro ambientato nel Medioevo. Lo show è molto parlato e, nonostante la consapevolezza della sua struttura, tutto diventa presto troppo familiare e noioso. La storia – a differenza del film, la serie vuole offrire delle pillole educative – e lo slancio narrativo e il progresso generale della trasposizione visiva sono piuttosto insignificanti. Gran parte del motivo per cui il film è diventato un tale cult derivava dallo stile fai-da-te degli effetti speciali,  dei set e delle location, mentre gran parte della serie, girata in Nuova Zelanda, si accontenta semplicemente di essere “bella” da vedere.

La prima metà della stagione è un’occasione per Tuck di mostrare le proprie capacità sullo schermo e per lo show di affinare le pungenti battute di Kudrow, le isterie teatrali di Murphy e la confusa bonarietà di Nsengiyumva. Dopo un paio di battute iniziali incentrate sulla difficoltà di Judy nell’utilizzare le sue capacità empatiche, il personaggio di Yi svanisce in modo troppo sgarbato. Il passaggio della serie da qualcosa di dimenticabile a qualcosa che funziona coincide con la messa a fuoco di Saffron, interpretata da Thompson, la cui energia è completamente diversa e la cui presenza in una avventura storica a sé stante permette a Time Bandits di stabilire un approccio più personale ai paradossi del viaggio nel tempo. Il settimo e l’ottavo episodio, scritti da Clement, mettono Thompson e Saffron al centro della scena e ne derivano situazioni esilaranti, sia per come la serie offre a Saffron un arco narrativo più chiaro rispetto a Kevin, sia per come il suo sarcasmo riesce a donare allo show un tono ironico e al contempo drammatico.

Non sono del tutto convinto che lo show abbia capito come trasformare i personaggi di Clement e Waititi in avversari pienamente integrati. Tuttavia gli episodi finali preparano la serie in modo interessante per le future stagioni. In particolare, Kudrow ha diverse battute che rendono Penelope un personaggio più umano. E la serie trova un modo intelligente per iniziare ad affrontare la cancellazione dei nani avvenuta nel passaggio dal grande al piccolo schermo. La nuova marcia che Time Bandits trova nella sua seconda metà non è necessariamente ambiziosa o ispirata, e sicuramente non traumatizzerà i giovani spettatori – decidete voi stessi se un Time Bandits meno inquietante e meno bizzarro sia una cosa buona o meno – ma almeno è divertente ed è qualcosa che si guarda volentieri.

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