Viene al mondo sui marciapiedi della banlieue parigina all’inizio del Novecento. Una mamma distratta e un papà contorsionista circense quasi sempre ubriaco, tanto che lei cresce dalla nonna, proprietaria di un bordello in Normandia, tra le affettuose cure delle prostitute e le violente attenzioni di alcuni clienti. Ça suffit? Poco tempo e la piccola, già gracile, diventa cieca. Se non che santa Teresa intercede, restituendole lo sguardo e quegli scampoli di fortuna che le permettono di farsi scoprire come cantante. E allora, rampa di lancio, nasce il mito dell’usignolo e via verso la ribalta internazionale. Sempre tra le luci dei palcoscenici e le ombre di amori perduti, artrosi, malanni, incidenti. E una morte prematura a soli 48 anni. E dopo tutto? Il celeberrimo Non, je ne regrette rien, che solo pronunciato dalla sua voce non sembra lo scontato riassunto di ogni vita.
E forse solo lei ha la facoltà di insegnare a non rimpiangere nulla, col suo spirito gioioso e il desiderio di cantare l’amore, la voglia di vedere il mondo e la vita in rosa. A portarla in scena oggi, in uno spettacolo che si chiama, appunto, Love, Edith, è un’italiana di 25 anni. Si chiama Giulia Asquino e ha messo insieme una troupe di sole donne, italiane under 35, in Inghilterra, dove calcherà il palco del Golden Goose Theatre di Londra, dal 30 aprile al 4 maggio.
“Il sottotitolo è la corrispondenza segreta”, spiega a THR Roma Giulia Asquino. “Perché sul palco Edith viene in soccorso di Giulia, che in realtà è ognuno di noi quando si trova in difficoltà, con una lettera. Ce la farò? Boh. Ce lo chiediamo tutti. Così arriva lei e con la sua storia e la sua vita ci dice che si affronteranno tante difficoltà ma se abbiamo un obiettivo dobbiamo seguirlo”.
Lo spettacolo su Edith Piaf
Tutto inizia quando Giulia Asquino da Roma decide di andare a studiare a New York. “Vado lì per continuare a studiare danza classica. In realtà scopro che non volevo proprio fare la ballerina, almeno non solo quello. Allora inizio a studiare recitazione”.
Va da Susan Batson, attrice, regista, produttrice cinematografica statunitense e soprattutto insegnante, nel prestigioso Studio che porta il suo nome. Ha 81 anni ed è definita, fra l’altro, The Oscar coach. “Alla fine di un percorso lei, in base alla personalità degli studenti, assegna a ognuno un personaggio su cui lavorare. A me Edith Piaf”.
Era il 2019 e Asquino inizia a fare le prime ricerche. “Conoscevo molto poco Edith Piaf. Certo, avevo già ascoltato le canzoni più famose ma non sapevo della sua vita e della sua carriera in modo approfondito. E poi non vengo da una famiglia di artisti, quindi la cultura musicale me la sono un po’ creata da sola”, racconta. “Più leggevo, più guardavo documentari, più la sua vita mi incuriosiva. Ho anche trovato delle somiglianze con me. Per fortuna non nelle disgrazie che l’hanno colpita. Ma nel suo modo di affrontare le cose, nella sua gioia nonostante i drammi, nella voglia di raccontare l’amore. Dall’amore per la sua terra, per Parigi, a quello per Marcel Cerdan, l’unico che abbia mai amato veramente. Mi sono ritrovata anche in molte delle sue insicurezze”.
Il corso di recitazione finisce, Asquino nel frattempo era rientrata in Italia, dove resta bloccata per alcuni mesi a causa della pandemia di Covid. “Aspetto”, racconta, “ma Edith Piaf resta con me”. Tanto che quando parte di nuovo da Roma, dopo un passaggio per Londra sempre per motivi di studio, e arriva a Los Angeles per frequentare la Stella Adler Studio of Acting non smette di pensare alla cantautrice francese. “Una volta rientrata a Londra, un anno fa, inizio a scrivere le immagini che mi ricordano di lei”.
Italiane under 35 in UK
Manca qualcosa. “Chiamo la mia amica Delia Morea, scrittrice, che ho conosciuto quando studiavo a New York. Mi dà una mano nello sviluppo della storia, fondamentale. Io ho delle idee ma lei ha gli strumenti per scriverle bene, nel modo giusto. E poi c’era dall’inizio. Già quando provavo le prime interpretazioni di Edith Piaf durante il corso di recitazione di New York”. Così da una giovane italiana nel Regno Unito, il progetto diventa a firma di due donne italiane in UK. Under 35. Delia Morea con questo spettacolo debutta alla regia.
Alla produzione, un altro debutto e un’altra italiana under 35 in UK. Chiara Spampinato, fotografa e filmmaker, laureata alla Ravensbourne University di Londra in Fotografia Digitale. “L’ho conosciuta a Londra e ci siamo subito trovate allineate”, racconta Asquino, “con l’impegno di tutte e tre abbiamo messo in piedi lo spettacolo”. Ad Asquino serviva anche qualcun altro nel team. Arriva Elena Cantangiu, italiana anche lei, scenografa e costumista, laureata alla UAL di Londra.
La consapevolezza di aver messo insieme una squadra tutta al femminile è arriva dopo. “Alla fine, ho trovato questo processo naturale, non ci ho dovuto pensare molto, ho chiamato, e trovato, le persone che hanno una sensibilità e una passione simile alla mia”, racconta Asquino. “L’emozione è arrivata col risultato, quando ci siamo viste e ritrovate, ora possiamo dire con orgoglio che siamo tutte donne giovani e stiamo portando in scena uno spettacolo”.
Vita da expat, nessun rimpianto
Asquino porterà lo spettacolo anche a Roma, a dicembre. “Non credo di tornare in Italia”, racconta. “Anche se non si può mai dire, mi piacerebbe. In questo momento stiamo lavorando su un film insieme a Delia Morea. Ed è una coproduzione Italia-UK, quindi in realtà la connessione con casa c’è sempre”.
Asquino ha 25 anni, ma sono già cinque anni che non solo vive fuori di casa ma anche lontano. Se questa età per uscire di casa è comune in altri paesi europei, non lo è per l’Italia. “Mi ricordo benissimo che a dodici anni dissi: ‘Mamma, guarda che io me ne andrò di casa molto giovane, me ne vado con qualche compagnia di danza”, ricorda lei scherzando. “Anche perché purtroppo in Italia non c’erano molte possibilità”, dice. “Quando entrai nel balletto di Roma, a 14 anni, nello stesso momento stava chiudendo il corpo di ballo dell’opera di Napoli. Un colpo al cuore, era il corpo di ballo più antico del Paese”.
Ma ogni scelta è stata libera per lei, e proprio come Edith Piaf non rinnega nulla. “A New York il primo atterraggio è stato traumatico. Ero senza casa perché la proprietaria era fuori città al momento del mio arrivo. È stato il mio battesimo. Poi però me la sono cavata. Ci sono stati momenti in cui ho pensato di tornare indietro ma ho resistito. Il momento più bello è di sicuro ritrovarsi con i propri coetanei, sia da tutto il mondo sia dall’Italia. C’è questa voglia di appartenere a un luogo per non sentirsi estranei. Quando vieni da un altro paese questo ti porta a tante scoperte positive ma a volte ti precedono anche i pregiudizi. È un percorso lungo, ci sto ancora lavorando”.
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