E’ un thriller canonico, con abbondanza di colpi di scena, immagini levigate, piogge notturne e sconfinamenti nell’horror, Il corpo di Vincenzo Alfieri, presentato in anteprima al Torino Film Festival e da giovedì nelle sale italiane. C’è una morte sospetta, c’è un cadavere che scompare da un obitorio, c’è un giovane vedovo belloccio dal comportamento ambiguo, ci sono musiche hitchcockiane spalmate su tutta la superficie del film. E c’è un’ottima prova di Giuseppe Battiston, nel ruolo di un investigatore dall’anima sgualcita.
Si inizia con due primissimi piani, e la frase canonica dei matrimoni: “Io prometto di amarti…” ecc ecc. A pronunciarla è il giovane sposo Andrea Di Luigi, bellezza da tronista, o da modello di Armani, faccia imbronciata. E stupefatta, quando la sposa, con le lacrime agli occhi, dice “no, non posso sposarti, dopo quello che mi hai fatto…”. Sgomento fra gli astanti, nel sacerdote e nello sposo. Ma no, la sposa stava scherzando.
La sposa è Claudia Gerini, ricchissima cinquantenne che ama giocare con il suo toy boy, trascinandolo per la cravatta giù in piscina, vestito di tutto punto, in un continuo teasing game con lui. Al bel giovane, la sposa ha affidato la gestione della sua azienda farmaceutica, un colosso industriale da milioni di euro. Così che il bel ragazzo si ritrova padrone di un impero, con la spider di lusso regalata dalla moglie e i mille optional di una vita di lusso.
Ma la moglie muore, e le indagini sembrano puntare il dito verso il bel giovanotto. Il quale non fa niente per rendersi simpatico agli occhi dello spettatore – la sera del decesso della moglie è già in un altro letto – e a quelli dell’investigatore, un Giuseppe Battiston sempre più bravo, più sottile, più disincantato. Sempre più lieve, e quindi credibile, nel porgere le sue battute.
Il film di Alfieri sta tutto dentro le convenzioni del genere: se c’è un’auto che va, lo fa in una strada piovosa, di notte: e se c’è qualcuno che fugge, sarà investito dall’auto, con sangue sul parabrezza. Se c’è un ascensore, con ogni probabilità si fermerà nel bel mezzo del suo tragitto. Se c’è un interrogatorio, avverrà di notte. Se c’è una casa della vittima, sarà bellissima. Se c’è una scena di sesso, sarà una scena di sesso torrido.
In mezzo a tanti momenti canonici, emerge l’investigatore Battiston. Tutto chiuso in un suo dolore passato, la morte tragica della moglie, malinconico, senza speranza, con gli occhiali fuori moda. E capace di staccare, in un film dai dialoghi piuttosto prevedibili, un monologo sorprendente, contro l’obbligo che tutti hanno verso la felicità. “Che cosa vi ha fatto la gente triste?”.
Claudia Gerini interpreta in modo credibile, e in qualche modo commovente, il personaggio di una donna che sente avvicinarsi la fine della propria “luccicanza”, del proprio potere erotico, e in mezzo a tanti giochi erotici sembra patire il confronto con un amante troppo giovane. Una interpretazione che, dietro la sicurezza della dark lady, suggerisce la sofferenza. Lui tratteggia – volontà del regista, immaginiamo – uno degli uomini meno amabili del cinema degli ultimi anni. La barba perfettamente scolpita, il broncio perenne, l’aria dell’uomo che non deve chiedere mai.
Nella messa in scena del film, che è un remake dello spagnolo El cuerpo, pellicola del 20112 di Oriol Paulo – con due remake già all’attivo, in India e Corea – c’è anche un po’ di Kubrick, con una festa in maschera elegantissima e sul filo di una tensione erotica, come quella a cui partecipa Tom Cruise in Eyes Wide Shut, e ci sono soluzioni cinematograficamente un po’ easy, come il giovane vedovo che vomita ogni qual volta si sente a disagio, come in una grammatica cinematografica un po’ standardizzata. Le musiche di Francesco Cerasi sono una sorta di evidenziatore sonoro di ogni situazione. Ma i momenti musicali che colpiscono di più sono affidati alle note di Piccolo uomo di Mia Martini che assurge allo stato di “canzone maledetta”, e all’uso, nel finale, di Epitaph dei King Crimson.
A firmare la sceneggiatura, lo stesso regista insieme a Giuseppe G. Stasi, sceneggiatore della serie The Bad Guy per Prime. Ed è lo stesso Stasi a rivelare un interessante particolare: “Abbiamo scritto la sceneggiatura proprio sulla falsariga di Epitaph, e in particolare sulla frase ‘La confusione sarà il mio epitaffio’ cantata dal frontman”.
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