Le star e le storie, il glamour e il cinema d’autore. I tappeti rossi e le file di studenti universitari in sneakers. Sharon Stone, Alec Baldwin, Angelina Jolie, Ron Howard, Rosario Dawson, Matthew Broderick, Emmanuelle Béart. Ma anche film accuratamente selezionati che vengono da Ucraina, Bulgaria, Brasile, Iran, Kazakistan.
Il Torino Film Festival è in pieno svolgimento – si è aperto il 22, per concludersi domenica – ma già si può trarre un bilancio. È riuscito a trovare, per il momento, le dosi, le proporzioni giusti per una festival che non può competere con Venezia ma che si distingue lo stesso.
È riuscito a trovare un equilibrio fra la festa scintillante, la celebrazione del fascino, del carisma, della bellezza dei grandi attori, e la celebrazione del cinema come sguardo coraggioso, onesto verso la realtà.
È importante, per un festival nato per rispondere alla domanda culturale di una grande città come Torino, un festival che vuole un fortissimo legame con il proprio pubblico, la gioventù metropolitana. Ma che adesso diventa, in qualche modo, visibile anche “da lontano”.
Questo doppio binario del festival si incarna nel suo nuovo direttore, Giulio Base. Torinese, 60 anni da compiere il prossimo 6 dicembre, Base è un regista cinematografico – come lo sono stati, in precedenti edizioni, Nanni Moretti, Gianni Amelio e Paolo Virzì – ma è anche, forse prima di tutto, uno di quei ragazzi che sedevano nelle poltrone del cinema, quando il festival si chiamava “Cinema Giovani”.
Anni di passione per il cinema, una laurea in Storia del cinema presso la facoltà di Lettere di Torino, Base ha portato il suo amore cinéphile nella scelta dei film, operata insieme a un gruppo nel quale ha dato fiducia ai giovani – uno di loro, Davide Stanzione, ha appena 31 anni, Martina Barone ne ha 28, e sulla trentina sono tutti i componenti del comitato di selezione.
Da una parte, dunque, i film in concorso, con storie che spaziano dalle case popolari del Belgio alle favelas di Rio de Janeiro, che raccontano maternità problematiche o anche tragiche, ma anche la vita di un sex worker transgender del New Jersey. O documentari di registi iraniani controllati e perseguitati dal regime della Repubblica islamica. O lavori sperimentali, come l’ultimo documentario di Mark Cousins, l’autore di The Story of Film.
Poi i film di ricerca e i divi, che in alcuni casi sono arrivati per ritirare un premio alla carriera, e senza un film da promuovere, o presentando film che non hanno una data di uscita. Bisogna capire se una delle due anime non rischierà di divorare l’altra a Torino. Per il momento, però, funziona.
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