
“Lavoro per una Rai ambiziosa nei contenuti”. Risponde al telefono con una voce stanca ma determinata Stefano Buttafuoco, giornalista e autore Rai, al termine di una giornata trascorsa tra le campagne di Sessa Aurunca, al confine tra Lazio e Campania, dove sta girando una nuova puntata del programma Il cacciatore di sogni, in onda tutte le domeniche su Rai Tre e disponibile su Rai Play. “Il nostro format vuole raccontare l’unicità di tante persone che hanno saputo ripartire da una condizione di debolezza, trasformando le loro fragilità in opportunità. Sono storie di donne e uomini che non si arrendono alla loro condizione e che nel tempo hanno imparato ad accettarle con orgoglio e a conviverci”.
Stefano Buttafuoco, sette puntate in onda su Rai Tre tra settembre e dicembre, altre sette in questo inizio di 2025. Un viaggio per scoprire l’Italia che non si arrende alle difficoltà.
“Crederci sempre, mollare mai. È questo il filo che unisce i protagonisti del nostro programma. Ed è anche il messaggio che vorremmo arrivasse agli spettatori: non esiste situazione, per quanto complicata e dolorosa, che non possa diventare un’occasione di rilancio, di riscatto”.
Sei alla quarta stagione de Il cacciatore di sogni, programma in cui dai voce al mondo dell’inclusione, il mondo di chi non abbassa la testa davanti agli ostacoli.
“Questo è stato il nostro obiettivo fin dall’inizio: eliminare la retorica che spesso accompagna il racconto della disabilità, incontrando direttamente le persone che la vivono, esplorando luoghi e realtà in cui ogni giorno si lavora duro per trasformare le debolezze – fisiche o psicologiche che siano – in punti di forza. Torno sul concetto di unicità: il mio programma vuole scoprire quella che c’è in ognuno di noi”.
Il cacciatore di sogni sta avendo un grande successo di pubblico, in una fascia oraria storicamente difficile come quella del primo pomeriggio, in un giorno festivo (va in onda su Rai Tre la domenica alle ore 13).
“Lo schema del nostro format prevede il coinvolgimento di un personaggio della tv o dello spettacolo che ci accompagna nel racconto delle storie che approfondiamo. Solo per citare gli ospiti di questa stagione, abbiamo fatto un pezzo di strada con Flavio Insinna, Renzo Arbore, Neri Marcorè, Claudia Gerini, Luca Barbareschi, Giorgio Pasotti, Raul Bova e Vinicio Marchioni. Con loro abbiamo parlato di alcune realtà inclusive molto importanti, come il Teatro Patologico che si prende cura dei malati mentali, la Cooperativa ‘Al di la dei Sogni’ che tratta la cosiddetta disabilità sociale, o ancora il laboratorio Tortellante, dove ragazzi autistici imparano a produrre pasta fresca a mano e vengono accompagnati nel mondo del lavoro”.
I dati auditel stanno premiando il vostro lavoro. Qual è il segreto per raccontare storie di dolore e disagio ad un pubblico generalista?
“Siamo partiti con l’idea di creare uno spazio di riflessione e approfondimento ‘gentile’ ma autentico, in cui le storie possano essere analizzate in tutte le sfaccettature, parlando chiaro, senza nascondere la disabilità dietro a frasi di rito. In questo ci ha aiutato la possibilità di realizzare puntate più lunghe rispetto al passato, una scelta che abbiamo condiviso con Paolo Corsini e Marco Caputo (direttore e vicedirettore di Rai Approfondimento), che ringrazio per il sostegno mostrato fin dall’inizio”.
Stefano, tu hai una storia personale e familiare molto forte. Quanto c’è di te nel lavoro che fai?
“Brando, mio figlio, ha una malattia genetica rara. Sulla sua storia ho scritto un libro ( Il bambino 23, edito da Rai Libri, nda), è stato lui a ispirarmi nella realizzazione di questo programma. Brando è un dono che ha dato un senso alla mia professione di giornalista. Parlare di certi temi per me è una missione”.
La televisione di oggi è pronta per fare questo?
“La televisione di oggi è divisiva, si cerca lo scontro fino all’esasperazione. Io invece lavoro ogni giorno per una tv che ritorni ad essere educativa, sensibile, una tv che ambisca a radunare le famiglie sul divano non solo per guardare, ma anche per discutere e confrontarsi. Una tv che parli di vita vissuta e reale, anche quando le situazioni sono drammatiche. Lavoro per una Rai ambiziosa sul piano culturale. I tempi sono maturi per una nuova Tv che possa impegnarsi per innalzare il livello di sensibilità sui temi dell’inclusione. Bisogna crederci e lotto per avere delle collocazioni in palinsesto che possano valorizzare un certo tipo di narrazione”.
Qual è il prossimo step di questa tua battaglia?
“La vera rivoluzione sarebbe portare programmi come i miei in prima serata, ma ci vuole coraggio nelle scelte. Io non mollerò, me l’hanno insegnato i protagonisti delle mie storie”.
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