Tootsie al Teatro Sistina: il travestimento come ultima risorsa teatrale?

Una commedia musicale che si regge su un cast solido, qualche risata e una regia che gioca sul sicuro.

Tootsie, nell’adattamento di Massimo Romeo Piparo, arriva a Roma dopo la consueta tournée nazionale, proponendo la classica storia dell’attore disperato che, travestendosi da donna, scopre qualcosa su sé stesso e sulla società. Un’idea rivoluzionaria, almeno nel 1982. La domanda è: ha ancora senso nel 2025? Piparo sembra credere di sì e lo fa con un allestimento che punta sulla brillantezza della commedia e su un cast di volti noti.

Paolo Conticini si destreggia tra tacchi e parrucche nel doppio ruolo di Michael Dorsey e Dorothy Michaels, riuscendo a evitare il rischio della macchietta e portando avanti lo spettacolo con solida professionalità. Certo, non si tratta di una trasformazione alla Mrs. Doubtfire o di un’esplosione di carisma alla Victor Victoria, ma il risultato è dignitoso. Il canto è adeguato, la recitazione calibrata, e la presenza scenica fa il resto. Alla fine, Conticini convince, anche se probabilmente nessuno uscirà dal teatro gridando al miracolo. Il suo Michael è goffo e testardo, la sua Dorothy affascinante quanto basta: nulla di memorabile, ma tutto perfettamente in linea con il tono della produzione.

Beatrice Baldaccini interpreta Julie con una buona tecnica vocale e un’espressività che rende il personaggio meno scontato di quanto si potrebbe temere. La sua Julie è solida, carismatica e dotata di una voce che regge bene le sfide musicali dello spettacolo. Enzo Iacchetti, nei panni del coinquilino Jeff, assicura i momenti comici con la sua inconfondibile verve, riciclando battute che sembrano scritte apposta per lui (o forse lo erano davvero). Il suo personaggio, pur essendo un classico spalla comica, risulta uno dei più riusciti della messinscena. Ilaria Fioravanti si lancia senza paura nel ruolo di Sandy, portando all’estremo il personaggio nevrotico e creando situazioni che, a seconda dello spettatore, possono risultare esilaranti o eccessivamente sopra le righe. Matteo Guma, nei panni di Max, interpreta con sicurezza un personaggio volutamente sopra le righe, incarnando lo stereotipo dell’attore più mediatico che talentuoso senza mai risultare forzato.

Dal punto di vista scenico, la produzione si muove senza particolari guizzi. Le scenografie di Teresa Caruso ricreano gli ambienti newyorkesi con efficienza, senza aggiungere nulla di memorabile. Gli spazi sono ben organizzati, le transizioni fluide, ma manca quel guizzo di creatività che avrebbe potuto rendere tutto più dinamico. I costumi di Cecilia Betona, perfettamente anni ’80, ricordano a tutti perché certi abbinamenti cromatici dovrebbero rimanere confinati a quell’epoca e le coreografie di Roberto Croce funzionano senza strafare, inserendosi nel racconto senza risultare invasive. Nulla di straordinario, ma il tutto è curato e al servizio della narrazione.

L’adattamento di Piparo cerca di attualizzare la storia sottolineando le tematiche di genere, anche se il tutto rimane ancorato a una comicità classica che non spinge mai troppo sul pedale della critica sociale. Il messaggio finale – “Sono stato un uomo migliore con te, da donna, di quanto non lo sia stato con le altre donne… da uomo. Devo solo imparare a farlo… senza la gonna!” – cerca di chiudere il cerchio con un tocco di saggezza che suona tanto familiare quanto prevedibile. Il pubblico ride, riflette il giusto e applaude con convinzione.

Nel complesso, Tootsie è un musical che fa il suo lavoro: intrattiene senza rischiare troppo, diverte senza essere irresistibile, racconta qualcosa senza stravolgere nulla. In scena sino al 09 marzo.