Con il primo film pensai di essere un genio, con il secondo un idiota. A salvarmi furono Hemingway e Zurlini

Marco Tullio Giordana, al festival custodi di sogni per presentare Maledetti vi amerò, racconta i suoi esordi e l’inizio di quella storia d’amore mai finita con i suoi attori

Tra i tanti tesori nascosti che il festival della Cineteca Nazionale, Custodi di sogni, si è impegnata a far risplendere sul grande schermo in questa sua prima edizione, c’è anche Maledetti vi amerò, di Marco Tullio Giordana. Il regista, già presente in sala per l’incontro dedicato al produttore Mario Gallo, lo ha ricordato proprio in relazione a questo suo primo film, sottolineando quanto importante sia stata la sua presenza per la realizzazione della pellicola: “Maledetti vi amerò uscì grazie a Gallo che lo rilevò. Inizialmente però mi disse che non era nelle condizioni di produrlo e  mi rivolsi così a Elda Ferri e Roberto Faenza che si impegnarono con la loro società.

Il film fu in parte sovvenzionato con i soldi dell’articolo 28, ma feci anche delle ‘rapine a fin di bene’ presso  amici e parenti, i quali ci prestarono le loro case per girare. Il costo totale del film fu di 98 milioni delle vecchie lire. Tornai da Gallo a fine riprese e anche grazie all’aiuto di Flavio Bucci, Stefano Satta Flores e Michele Placido, si convinse a prenderlo. Il film fu selezionato a Cannes, cosa che mi servì a trovare velocemente anche un distributore”.

Dopo il ritratto lucido e amaro di un’Italia postsessantottina, nel pieno della sua dissoluzione, Giordana firmerà, sempre prodotto da Gallo, anche il suo secondo lungometraggio, La caduta degli angeli ribelli, un’altra riflessione sull’impossibilità di tradurre in realtà le grandi utopie politiche.

“Quel film fu un insuccesso clamoroso – ha dichiarato Giordana – perché dopo Maledetti vi amerò mi ero convinto di essere un genio, e invece Venezia, dove La caduta degli angeli ribelli venne presentato in anteprima mi diede la certificazione che ero un vero idiota. Mi salvai pensando Hemingway, il quale diceva che non bisogna credere alla critica quando ti danno del cretino, ma per lo stesso principio nemmeno se ti esaltano come un Dio. E poi ricordo una lunga passeggiata con Valerio Zurlini, che mi disse tutto quello che avevo sbagliato, ma poi aggiunse: tu sei un vero regista e se superi questo momento riuscirai a fare delle belle cose”.

Giordana ha speso parole d’affetto anche per quei primi attori con cui ebbe la “fortuna” di lavorare, Flavio Bucci e Vittorio Mezzogiorno:

“Sono arrivato al primo film senza alcuna esperienza. Non avevo fatto né l’aiuto né una scuola. Fui letteralmente catapultato sul set per quattro settimane, e lì trovai Flavio Bucci che amavo moltissimo ma che, proprio per questo motivo, mi incuteva un certo timore. Mi vergognavo anche a parlargli e mi sentivo sempre goffo e impacciato. Per anni sono stato convinto che mi ritenesse un cretino, invece, quando un giorno l’ho rincontrato mi ha dimostrato che non era affatto così…

Vittorio Mezzogiorno mi insegnò moltissimo. Lo fece contestandomi. Mi disse che aveva bisogno di essere libero, perché gli avevo creato intorno una gabbia in cui recitare in modo naturale era impossibile. In effetti mi resi conto che quel mio primo modo di concepire gli attori all’interno del film non poteva funzionare e da quel momento in poi ho visto e trattato gli attori in maniera completamente diversa”.

Ma la politica? Quei primi film si interrogavano profondamente sul suo valore.

In maledetti vi amerò ci sono proprio delle sequenze dedicate all’ omicidio Moro e Pasolini. Il ’75 e il ’78 sono date spartiacque, dove l’Italia ha perso da un lato la sua intelligenza e dall’altro un progetto politico di ampio respiro. In quel periodo per me c’è stato un divorzio dalla politica mai più sanato. Ancora oggi preferisco leggere un poeta del Quattrocento che occuparmene. Inoltre il film che mi ossessionava da sempre, ovvero quello su Moro lo ha fatto, in maniera egregia, Marco Bellocchio e io ho ringraziato il cielo, perché così mi ha liberato da questa idea di doverlo fare”.

Evasione è stata la parola chiave per un altro appuntamento che ha visto la sala gremita, “Cavalcarono ancora”, dedicato ad un genere che tra gli anni ’60 e ’70 ha furoreggiato al botteghino: lo spaghetti western, influenzando anche il genere western americano originario. “È incredibile – ha detto Marco Giusti che ha guidato la reunion di veterani di questo cinema, dove spiccavano volti caratteristici del genere come Luc Merenda e Gianni Garko – come film girati nel Lazio o in Almeria, dove si metteva in scena un western del tutto fittizio, abbiano avuto un successo incredibile in Italia ma anche all’estero, in paesi lontanissimi come in alcune aree dell’Asia”. Si trattava di film che portavano lo scontro fisico e il confronto virile della matrice western americana ad una radicalizzazione della violenza che divenne, ad esempio, la cifra dei film di Sergio Leone. “La violenza è ovunque – disse una volta Sergio Leone a Gianni Garko, divenuto celebre nel ruolo di Sartana, un’icona dello spaghetti western – le favole sono piene di violenza”, ha raccontato ieri l’attore rievocando un incontro con il regista di Per un pugno di dollari.

Si ringraziano Céline Gailleurd, visiting professor presso l’Università di Tor Vergata (2025), e gli studenti dell’ateneo di Tor Vergata per lo spazio concesso durante il Podcast “Le voci del cinema italiano”.