
“Mi somiglia come un figlio”. Così ha parlato di Lascia perdere Johnny Fabrizio Bentivoglio. Lo ha fatto ad Attorstudio – Milazzo Film Festival, organizzato e ideato da Mario Sesti e Caterina Taricano, parlando di fronte ad una platea di studenti e appassionati.
“Il film è del 2006 e fare la regia di un film è un’assunzione di paternità in tutti i sensi. Per questo, quando mi chiedono perché non ho fatto più regie dopo, rispondo che nel 2007 è nato il mio primo figlio, che poi è una figlia, e poi ne ho avuti altri due. Tre in tutto. Diciamo che ho completato così la mia filmografia”. Dopo la proiezione omaggio del film a Bentivoglio è stato assegnato il primo Exellence Acting Award di questo festival che mette al centro lo studio, la passione e la conoscenza approfondita dell’attore e della sua arte.
Fabrizio Bentivoglio, primo Excellence Acting Award del Milazzo Film Festival
Potrà sembrare strano, ma non esistono, nella nutrita galassia italiana, festival con qusta vocazione tematica se non La valigia dell’attore, diretto da Giovanna Gravina Volonté, a La Maddalena.
Prima della premiazione, Bentivoglio, ha presentato, in anteprima assoluta, al teatro Trifiletti, un bel teatro all’italiana con tre livelli di palchi, fondato nel 1912, una sua lettura/monologo, Piccolo almanacco dell’attore con la quale, solo in scena, su un sedile da pianoforte e con un leggio di fronte, ha incantato la platea con la sua voce impastata di frequenze basse, calde, felpate.
“Vi è mai capitato di essere seduti sulla panchina di un parco, al tavolino di un bar o in treno e di sentirvi invisibili? Come se tutti gli altri intorno non facessero caso a voi, non vi avessero visto, come se voi non ci foste. Ecco, a me è capitato diverse volte e considero questa la condizione ideale per poter godere indisturbati di uno dei piccoli piaceri che ci offre la vita: l’osservazione degli altri”, recita il testo letto da Bentivoglio. “A proposito di verità: Clarke Gable dichiarò in un’intervista che fare l’attore è difficile solo nei primi trent’anni. Ecco: qui, sotto l’aspetto di una battuta molto spiritosa, si nasconde invece una profonda verità. Pensate solo che alla Civica Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano il nostro insegnante di Dizione, l’ineffabile Aino Piodi, una delle prime voci della nostra Radio, ci diceva che, una volta finiti i corsi del triennio, ci sarebbero voluti dieci anni per capire di che pasta eravamo fatti”, ha raccontato.
Il Piccolo almanacco dell’attore di Fabrizio Bentivoglio
Insomma, una sorta di ricche, rivelatrici e anche spassose “istruzioni per l’uso” per chiunque volesse intraprendere la carriera dell’attore. Ma anche una compilation irresistibile di storie, come quella che vede Mastroianni, sornione, dire a Bentivoglio, che gli parla con trasporto di De Niro che ha messo su 40 chili per fare Jacke La Motta in Toro scatenato: “Noi usiamo il cuscino”.
Dalla passione per il dialetto napoletano all’incontro con Gabriele Salvatores e Carlo Mazzacurati, dalla passione per il palcoscenico alla scoperta della concentrazione “stop and go” dei set cinematografici, dal mix di dramma e risate che deve celarsi in ogni buona ricetta drammaturgica all’ambizione di diventare invisibili, “scomparendo nel personaggio”, questo Piccolo Almanacco, ci dà la sorprendente possibilità di osservare Bentivoglio scrutare se stesso come se fosse atterrato in un pianeta sconosciuto, dopo aver fatto di tutto per arrivarci, scoprendo che quell’approdo è solo l’inizio del viaggio e non la meta, come se ogni attore dovesse imparare se stesso d’accapo, ad ogni nuovo film, ad ogni nuovo passo su un proscenio, affrontando il mistero insolubile della recitazione: “Recitare non è mai, soltanto, recitare” ha detto ricevendo il premio, lo Scarabeo d’Argento dell’artista orafo Antonello Piccione.
Il premio, insieme agli auguri in video inviatigli da uno dei suoi migliori amici, Diego Abatantuono, gli è stato consegnato da Matteo Caccia, che insieme a Pablo Trincia è, probabilmente, il più noto autore di podcast oggi in Italia.

Fabrizio Bentivoglio
Matteo Caccia, la vera storia di uno dei maestri italiani del podcast
”La mia generazione – ha detto Caccia che ha iniziato anche lui come attore – è cresciuta con Fabrizio Bentivoglio, un autentico mito. Ci sono battute di Marrakech Express che io e i miei amici ci scambiamo ancora oggi. Per me è un onore assoluto essere sul palco con lui e potergli consegnare questo premio”
Lo stesso Caccia è stato protagonista del finale della serata. “Nel primo festival davvero dedicato agli attori, abbiamo pensato che fosse un’innovazione interessante istituire un premio anche per gli autori di podcast, intitolato “Il racconto della voce”, che segnalasse talento, originalità e popolarità di questo genere che, nipote del radio dramma, declina voce e racconto, informazione e romanzo, reportage e scrittura, secondo forme innovative e di vasto appeal”, dicono i due curatori, Caterina Taricano e Mario Sesti.
Caccia è diventato molto popolare a metà degli anni 2000 con un radio dramma, Amnèsia, con il quale raccontava di se stesso che aveva perso improvvisamente la memoria per una misteriosa patologia e che doveva ricostruire se stesso giorno dopo giorno: “Ha avuto così successo che Rai 2 ci ha chiesto di passare dalle iniziali 90 puntate a più di 200. Ma quando la gente ha scoperto che era una finzione, un vero prodotto di creatività di scrittura, drammaturgia e radiofonia, una parte ha detto ‘che l’aveva capito sin dall’inizio’, qualcun altro invece non l’ha presa benissimo”.
Il segreto del successo di un podcast
Caccia è anche noto per un recente podcast con una lunga intervista a Baricco in cui lo scrittore si mette a nudo come mai prima e di cui si è molti parlato (Wild Baricco), per una rubrica radiofonica in cui racconta storie che gli arrivano in radio da utenti di ogni tipo (Voi siete qui, su Radio24), e per una serie podcast, La piena, di grande successo in cui raccontava la storia, vera, di un meccanico di motonautiche che diventa infiltrato in una rete di narcotrafficanti e finisce a fare l’infiltrato per la polizia italiana tra i narcotrafficanti spagnoli, argentini e venezuelani.
Una storia ricca di colpi di scena avventurosi e incredibili, ma Caccia sostiene che il segreto del racconto del podcast sta soprattutto nel mantenere la giusta distanza da storie e personaggi che racconti. Ma mai troppa, come ha saputo fare raccontando il naufragio della Costa Concordia e come abbia impattato sull’Isola del Giglio e i suoi abitanti ne Il mondo addosso.
“Ho sviluppato una teoria sullo stare un passo indietro rispetto alla storia, stare un passo indietro rispetto ad esempio all’interpretazione di una storia. Credo di avere sviluppato un modo di leggere e di raccontare che è quasi ‘anti interpretativo’, cioè: cerca di non sottolineare o ingigantire alcuni passaggi della storia, ma la lascia davanti. Come dicono gli attori: a sottrarre”.
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