Benedict Cumberbatch e il dolore di The Thing With Feathers: “La società ha molta facilità a emarginare chi ha bisogno”.

In occasione della conferenza stampa del film di Dylan Southern, l’attore ha parlato con sincerità di sofferenza e mascolinità tossica

Benedict Cumberbatch è stato molto sincero riguardo al dolore, alla mascolinità tossica e alla difesa dei più fragili, in occasione della prima del suo ultimo film, The Thing With Feathers.

La star britannica ha parlato da Berlino, alla conferenza stampa del film. Scritto e diretto da Dylan Southern e adattato dal libro Il dolore è quella cosa con le piume di Max Porter, la pellicola segue un padre (Cumberbatch) e i suoi due figli (Richard e Henry Boxall) che stanno lottando per affrontare la perdita improvvisa della moglie e madre.

“Penso che parte del mio lavoro, quando affronto personaggi difficili, sia esplorare ciò che è la loro umanità, se ne è rimasta – ha affermato – “tutti iniziano piuttosto innocenti, a mio parere, ma sento che noi, come società, abbiamo una responsabilità nei confronti di coloro che hanno più bisogno del nostro aiuto, e quelli che cadono nelle crepe, come vittime o come autori di azioni sbagliate, sono quelli che abbiamo più bisogno di aiutare, e non lo facciamo. Abbiamo invece molta facilità a emarginarli o a dimenticarli”.

L’attore di Sherlock e Dr. Strange ha anche parlato di come ha lavorato sul dolore maschile e sulla forza dell’essere debole e vulnerabile.

“Essere aperti e in grado di imparare dalla tragedia, piuttosto che cercare di affrontarla con più forza e sempre più forza e più forza, penso che sia una cosa piuttosto diffusa – ha aggiunto Cumberbatch – l’incertezza e la vulnerabilità emotiva non sono in cima all’agenda del machismo da maschio alfa: sono stato molto felice di far parte di una narrazione che andava nella direzione opposta”.

Cumberbatch, dopo aver lodato la performance dei due giovani fratelli Boxall che hanno recitato al suo fianco, ha anche parlato del suo rapporto con il dolore e sembrava emozionato nel parlare di quali parti del debutto alla regia di Southern riflettessero il suo modo di essere: “è solo un piccolo momento del film, ma c’è stata una scena in cui ho piegato i vestiti della moglie per l’ultima volta, lasciando un appendiabiti vuoto che mi ha colpito molto e non me lo aspettavo”.

Nel decidere di esordire con l’opera di Porter, Southern ha detto alla sala: “penso che il libro di Max mi abbia trasmesso molte cose: mi ha dato un linguaggio per alcune emozioni o per dei comportamenti che non riuscivo a decifrare”.

Ha continuato: “non è stato facile immaginarsi il film, all’inizio, perché il libro è così inventivo, da un punto di vista formale, nella sua struttura. È in tre diverse prospettive. È in tempi diversi. Copre più anni. Ma più mi ci addentravo, più emergeva la forma di un film. E nel realizzarlo, volevo che le persone attraversassero questo periodo nella vita della famiglia e sentissero le cose che loro sentono”.