Arturo Brachetti: “Gli italiani scoprirono il cinema grazie a Fregoli”.

Un omaggio al maestro del trasformismo del comico suo erede e un thriller da cineteca a Custodi di sogni: possibile che Hitchcock abbia copiato da Camillo Mastrocinque?

Nella sua autobiografia del 1936 il maestro nell’arte della trasformazione, Leopoldo Fregoli, sostiene di aver partecipato, nel 1897, alla tournée al teatro Les Célestins di Lione. Sostiene anche di aver ricevuto in dono dai fratelli Lumière il cinématographe, oltre a della pellicola. La seconda giornata del festival della Cineteca Nazionale, Custodi di sogni, si è aperta con l’affascinante e sconvolgente rivelazione che Fregoli aveva mentito. Bugiardo come Fellini, l’artista si è approfittato dei suoi tempi, quando ancora le “fake news” non facevano parte dell’orizzonte del sapere sociale condiviso. 

È anche vero, però, che “gli italiani scoprirono l’invenzione del cinema grazie a Fregoli”, come ha ricordato Arturo Brachetti, ospite oggi dell’evento Omaggio a Fregoli e non solo. L’incontro è stato curato da Maria Assunta Pimpinelli ed è iniziato con un’analisi dei materiali d’archivio da parte di Valentina Rossetto. 

È stata proprio Rossetto a svelare le finzioni narrative, una licenza poetica particolare di Fregoli, smascherata grazie alla minuziosa ricerca che ha svolto negli Archivi della Fondazione Lumière, dove il trasformista non risulta in quel periodo. 

D’altronde, “Perché avrebbero dato il cinématographe a Fregoli, quando lo avevano negato a Méliès pochi mesi prima?”, ha ironizzato Rossetto. 

Ci sono altri misteri che pervadono lo schermo. In particolare, il colore giallino della pellicola. Si era sempre pensato che si trattasse di una colorazione a mano. Alcuni sostengono, però, che quel giallino non sia altro che il decadimento di nitrato di cellulosa. Al momento, gli esperti non hanno un’opinione unanime e, per saperne di più, bisognerà aspettare la Conferenza del colore che, quest’anno, si terrà a Napoli. 

I film realizzati da Fregoli, con gli operatori Lumière, sono tutti girati in Italia. Non si sa bene come ma entrò in possesso di un esemplare del cinématographe (il dispositivo messo a punto dai fratelli di Lumière) e della pellicola dei due imprenditori di Lione. La data è certa: 1897. 

Il Fondo Filmico Fregoli Lumière conta 28 film del trasformista italiano e 27 dei fratelli francesi. Sono tra i tesori più antichi della settima arte. 

All’incontro sono stati mostrati buona parte dei lavori di Fregoli, nel montaggio curato da Adriano Aprà e con laccompagnamento musicale di Michele Catania. Si tratta dei film che riprendono le sue esibizioni teatrali o che ne svelano i trucchi. 

Venivano anche proiettati durante i suoi spettacoli. 

Era la sua invenzione, da lui ribattezzata Fregoligraph: i film venivano retroproiettati, il cinématographe era dietro lo schermo. La visione è stata anche un’opportunità per un confronto generazionale sul mestiere. 

“I sistemi di Fregoli per cambiarsi non li ho mai conosciuti”, ha commentato Brachetti, “Ho visto Fregoli negli anni ’90 quando già facevo spettacoli con trenta, quaranta personaggi. Guardando i film ho scoperto dei fili, dei gancetti. Non aveva velcro né bottoni automatici, poverino! Aveva tanti assistenti. Io ne ho solo due.” 

Brachetti ha poi improvvisato uno spettacolo per i presenti, servendosi soltanto di un fazzoletto per dar vita a un insieme di accadimenti e personaggi esilaranti. 

Fregoli, a suo tempo ha talmente sbalordito l’immaginario collettivo da entrare nel tessuto linguistico del nostro vocabolario. “Fregolismo” è infatti sinonimo di “mutamento rapido, in senso proprio o figurato”. 

Come ha fatto notare Brachetti, non è stato solo entertaining, come dicono gli americani, “È cambiato il senso della velocità. Il nostro mezzo di misura non è quello del cinema delle origini, ossia il teatro. Il nostro mezzo di misura è il taglio del montaggio. Fregoli era un fulmine. Ma era un fulmine del 1902.” 

E bisogna sempre tenere a mente lo sguardo degli spettatori che il cinema lo hanno visto nascere. È unoccasione per riflettere su come sia cambiato il senso del tempo, anche grazie al motore-cinema. 

Più misteri hanno abitato oggi il tempio della Cineteca. Ricordate La donna che visse due volte? Nell’appuntamento pomeridiano, Il doppio e il perturbante: un restauro della Cineteca del Friuli, Elena Beltrami e Sergio G. Germani hanno presentato “una delle migliori riscoperte dell’anno”, come ha commentato Steve Della Casa, presente a moderare l’incontro. Si tratta di un film del 1943, considerato perduto fino a pochi anni fa: La statua vivente, di Camillo Mastrocinque. La storia del ritrovamento è già un film in sé. 

Nel 2020 Sergio G. Germani scopre che c’è una versione video del film su YouTube. Ha i sottotitoli in spagnolo ma i dialoghi sono in italiano. Resta quattro giorni sulla piattaforma video e poi ri-svanisce nel nulla. Un unico indizio: i sottotitoli in spagnolo. “Abbiamo pensato che potesse essere una copia destinata al mercato latino-americano. Visto che in Argentina conosciamo Fernando Martin Pena, frequentatore delle giornate del cinema muto che organizziamo come Cineteca, lo abbiamo contattato chiedendogli del film”, ha raccontato Beltrami.  

Si tratta di un film importante per la Cineteca del Friuli. Tratto da un’opera teatrale dell’autore Teobaldo Ciconi, friulano, da cui sono stati tratti altri film dell’epoca del mito. Triestina è la protagonista, Laura Solari e triestina è l’ambientazione: il porto. Uno dei pochi porti non bombardati nel 1942, quando fu girato il film. 

Fernando conferma che ha mostrato questo film all’interno di una trasmissione televisiva e che è in possesso di una copia 16 mm, con dialoghi in italiano e sottotitoli in spagnolo. Fernando è anche colui che ha ritrovato una copia in 16 mm di Metropolis, permettendo così di restituirci la versione integrale del film. 

Viene stretto un accordo. Fernando invierà la copia in 16 mm se la Cineteca del Friuli si occuperà del restauro e potrà riceverne una copia. E così è stato. 

“Questo film ha una complessità particolare. Risultava che gli interni fossero stati girati negli studi della Titanus, mentre gli esterni a Trieste. In realtà, molti sono interni reali girati a Trieste: si vede l’esterno del lungomare. Al contempo, c’è anche un esterno nel quale non abbiamo riconosciuto il paesaggio triestino e potrebbe essere stato girato proprio negli studi Titanus.” 

Germani si è scusato per aver fatto questo discorso senza concentrarsi troppo sulla bellezza così diretta del film. Viene da dirgli: Germani, lei non può scusarsi! Nei suoi occhi, che hanno ridato vita all’opera, brillava la pellicola, ammaliando i presenti. 

Li ha poi commossi: “Questa è una storia d’amore sofferta, riscoperta e riperduta del protagonista”, parallela all’operazione compiuta per recuperare l’opera. 

“Mastrocinque ha il record di remake di film muti: La maschera e il volto, tutt’ora perduto; e Sperduti nel buio. Un regista estremamente complesso. Ha girato in Brasile e Germania, ha fatto lo scenografo in Francia, è stato un attore nel cinema italiano”, ha concluso Germani. 

Ma cosa c’entra Hitchcock? La storia di questo gioiellino impolverato la conoscete già… la trama è vertiginosamente familiare. Il marinaio Paolo (Fosco Giachetti) incontra Luisa (Laura Solari). I due si innamorano e decidono di sposarsi ma non appena celebrato il rito, lei muore. 

Lui cade in una profonda depressione, finché non incontra Rita, la sosia di Luisa. Questa però, è tutto l’opposto: alla dolce e composta innocenza della prima sostituisce un atteggiamento sensuale e sbarazzino, indipendente, tra risate fragorose e sigarette. 

Per Paolo Rita non potrà mai sostituire Luisa e, così, quando lei si beffa di lui indossando la vestaglia di seta che lui aveva regalato all’adorata sposa, le toglie la vita. Il maestro inglese di cose ne ha cambiate ma nell’entusiasmo della scoperta viene da chiedersi se quei fiori, tanto presenti nella Donna che visse due volte non siano proprio figli di quei fiori sulla vestaglia di seta di Luisa.