
Ha lavorato alle serie Ripley e a The White Lotus, per citare le più famose, e si è guadagnato un Emmy. Ha vinto il suo primo Nastro d’Argento per Meraviglioso Boccaccio. Francesco Vedovati è l’occhio che inquadra prima della macchina da presa: è lui a proporre il volto, e l’anima, che abiterà il personaggio scritto sulla carta.
Hollywood Reporter lo ha incontrato per un’intervista esclusiva dove ci ha raccontato il mestiere del casting director. Come sei diventato un casting director?
Quando sono entrato nel mondo del cinema, un po’ fortuitamente, ero molto giovane e non sapevo bene che cosa fare della mia vita. Ho iniziato come assistente alla regia; lo step precedente per diventare aiuto regista. All’epoca i casting director erano pochi, e spesso era l’aiuto regista a occuparsi del casting del film. In molti progetti ho ricoperto entrambi i ruoli. Crescendo, mi sono reso conto che il lavoro di casting mi appassionava sempre di più, mentre il set mi interessava sempre meno. Il grande successo commerciale Ultimo bacio di Gabriele Muccino mi ha dato l’opportunità di dedicarmi esclusivamente al casting.
Hai lavorato con i fratelli Taviani, con Garrone, con Salvatores, con registi internazionali e premi Oscar. C’è un lavoro di casting a cui sei particolarmente legato?
Il primo film di Gabriele Mainetti, Lo chiamavano Jeeg Robot. Nessuno si aspettava il successo che il film ha ottenuto. In fase di casting, abbiamo incontrato diverse difficoltà, poiché alcuni degli attori che avevamo in mente non hanno accettato di partecipare. Sulla carta, il progetto sembrava una vera follia: come si può realizzare un film così complesso con un budget così limitato? Tuttavia, quei rifiuti iniziali ci hanno spinto a esplorare alternative che, alla fine, sono diventate una delle carte vincenti del film. Credo che, a un certo punto della carriera, sia fondamentale investire nei giovani e nei progetti innovativi, cercando di mettere la nostra esperienza al servizio della scoperta di nuovi talenti e aiutarli a crescere. Mi piace ancora impegnarmi in progetti dove, pur non essendoci un grande budget, c’è qualcosa che mi entusiasma davvero. In queste circostanze, il lavoro di casting diventa ancora più cruciale e stimolante.
Che rapporto si instaura con i registi in questo mestiere?
Una cosa che amo del mio lavoro è che ogni regista è un mondo diverso. E ogni film di ogni regista è un mondo diverso. Ci sono registi che hanno bisogno di vedere molti attori prima di fare una scelta, mentre altri sono molto più rapidi. Alcuni fanno provini lunghi, mentre altri necessitano di pochi minuti. E ci sono situazioni particolari, come Io Capitano di Matteo Garrone, dove devi trovare ragazzi in Senegal senza poterci andare (per via del Covid) e gestire provini in una lingua che non comprendi, come il Wolof. Per ogni progetto, non direi che bisogna “resettarsi”, ma certamente adattarsi. Sono processi creativi unici, che vanno rispettati. Non spetta a me imporre ai registi il modo in cui si deve lavorare, ma è importante creare insieme un “metodo” che funzioni per il progetto specifico. E, in tutto questo, dobbiamo essere anche un po’ psicologi.
Com’è cambiato il tuo mestiere negli ultimi anni?
In Italia, il Covid ha accelerato la diffusione dei cosiddetti self-tape (auto-provini). Oggi, la selezione iniziale avviene molto spesso tramite questo metodo. Naturalmente, ci sono vantaggi e svantaggi. Da un lato, i self-tape non ci permettono, non essendo fisicamente nella stessa stanza con l’attore, di dargli indicazioni, osservare le sue reazioni o cogliere aspetti della sua personalità. Dall’altro, però, offrono l’opportunità di coinvolgere un numero molto più ampio di attori. Un tempo, i registi dovevano decidere se convocare un attore dopo aver visionato il suo curriculum e alcune foto; ora, spesso, si affidano a un self-tape. Purtroppo, in America, noto una crescente tendenza a evitare i provini in presenza o i call-back. In Italia, per ora, non è ancora così, e spero che non seguiamo questo esempio, perché, a mio parere, è fondamentale – soprattutto per i ruoli più rilevanti – poter vedere gli attori di persona, valutare come interagiscono tra loro (il “chemistry reading”) e capire se riescono a entrare davvero in sintonia con il regista.
Il mondo dei provini sta cambiando anche in relazione ad altri aspetti, se non erro…
La UICD (Unione Italiana Casting Directors), di cui faccio parte, ha sviluppato una serie di linee guida. Tra queste, in collaborazione con varie associazioni legate al lavoro dell’attore, UNITA, AMLETA, ASA e LARA, abbiamo redatto le “Linee guida contro gli abusi durante la fase di casting”, un insieme di raccomandazioni pensate per aiutare gli attori a riconoscere situazioni poco professionali e potenzialmente pericolose. Alcuni esempi: i provini devono svolgersi durante il giorno, in uffici o sale attrezzate, e non in hotel o in orari serali; non è consentito richiedere nudità integrale o parziale durante il provino; se il ruolo prevede scene di nudo, l’interprete deve essere informato in anticipo, prima del provino. Questo vale anche per altre scene “sensibili”, come quelle che riproducono un parto, un aborto, una violenza fisica, da quella sessuale ad una scena di omicidio. Fortunatamente, anche in Italia la figura dell’Intimacy Coordinator si sta affermando, permettendo agli attori, in particolare sul set, di affrontare con maggiore serenità le scene più delicate.
Si presta più attenzione a tante cose negli ultimi anni
Anche in tema di inclusività, come casting director stiamo cercando di accelerare, per quanto possibile, la rappresentazione della realtà che ci circonda. Non molto tempo fa, una brava attrice afrodiscendente mi disse: ‘Francesco, mi sono stufata di fare sempre e solo o la suora o la prostituta‘. Aveva assolutamente ragione, e per questo è fondamentale che anche noi facciamo la nostra parte nel rappresentare la società per quella che è oggi. Le seconde generazioni sono ormai adulte anche in Italia, quindi è bello poter coinvolgere attori italiani di origini multietniche in ruoli che superano i cliché in cui sono stati spesso confinati. Lo stesso discorso vale per la parità di genere: perché cinque medici devono essere tutti uomini caucasici? È ora di cambiare! Detto ciò, va sottolineato che in Italia, rispetto ad altri paesi come Francia, Germania e Inghilterra, ci sono ancora pochi attori multietnici, non binari o con disabilità, quindi, anche volendo, talvolta non è possibile essere inclusivi come vorremmo e dovremmo.
In ogni caso, il ruolo del casting director, come dicevi prima, è cresciuto molto
Siamo molto felici che quest’anno per la prima volta il David di Donatello ha riconosciuto un premio al casting director. È un traguardo molto bello ed importante. E sono felice che in Italia sia stato istituito il premio prima che agli Oscar: li abbiamo fregati di qualche mese.
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