Picasso lo straniero: un genio senza patria

Al Museo del Corso, l’esilio artistico di Picasso tra rifiuti, rivoluzioni e sperimentazioni senza confini.

Un Picasso irrequieto, errante, straniero in Francia e forse ovunque, ma non nell’arte. Questo è il filo rosso della grande mostra Picasso lo straniero, che dal 27 febbraio al 29 giugno 2025 approda al Museo del Corso – Polo Museale di Roma, seconda tappa italiana dopo le sedi di Milano e Mantova. Più di cento opere tra dipinti, sculture, ceramiche e documenti per raccontare il cammino accidentato dell’artista in un paese che lo accolse, ma mai fino in fondo.

Si sarebbe detto che la Francia, patria dell’avanguardia e della cultura cosmopolita, avrebbe aperto le braccia al genio di Málaga, eppure Picasso rimase sempre un corpo estraneo, un artista senza passaporto, osservato con diffidenza dalle istituzioni che, paradossalmente, oggi ne celebrano la gloria. Tra il 1900 e il 1940, Picasso affrontò sospetti, confische e persino il rifiuto alla cittadinanza francese, quasi un’eresia per chi, come lui, aveva già rivoluzionato la pittura con il cubismo e lasciato segni profondissimi nella storia dell’arte. Un eretico dell’estetica, sì, ma anche un esule nel senso più profondo del termine.

Questa mostra, organizzata dalla Fondazione Roma con Marsilio Arte e in collaborazione con il Musée national Picasso-Paris e altre importanti istituzioni internazionali, è una lettura politica e poetica della sua vicenda artistica e personale. Non è la celebrazione di un’icona cristallizzata, ma il ritratto di un uomo in fuga perenne dalla gabbia dell’identità fissa, che con il pennello ribaltava convenzioni e appartenenze.

Picasso Lo Straniero, Allestimento della Mostra. Photocredit @Museo Del Corso Roma

Roma, primavera del 1917. Picasso passeggia per le strade della città eterna, ma la sua mente è già altrove, verso la scena teatrale, verso quel gioco alchemico tra pittura e movimento. Con Cocteau e Satie, lavora a Parade, il balletto che porterà la sua firma scenografica, eppure Roma non lo trattiene. Quella primavera è un lampo, un’ombra fugace nella sua biografia, ma è proprio qui che si genera una delle sue prime grandi metamorfosi: il passaggio dal cubismo più radicale a una sperimentazione che flirta con il classicismo, con l’antico che diventa avanguardia.

La mostra si distingue non solo per l’accurata selezione di opere e documenti, ma anche per la curatela che intende esaltare la dimensione narrativa ed emotiva del percorso espositivo. Le scelte allestitive permettono di immergersi nella traiettoria artistica e personale di Picasso, mettendo in evidenza la sua condizione di straniero e la continua ridefinizione della sua identità. Gli spazi del Museo del Corso – Polo Museale sono stati studiati per garantire un dialogo serrato tra le opere e l’architettura, creando una continuità tra le sale e favorendo un’esperienza visiva fluida e coinvolgente.

Un elemento distintivo è l’illuminazione, calibrata per esaltare la matericità delle opere e il loro rapporto con lo spazio. La luce è utilizzata come strumento di lettura, mettendo in risalto dettagli significativi nei dipinti, nelle sculture e nelle ceramiche. Questo approccio esalta in particolare le superfici complesse delle opere più materiche, restituendo la forza del segno picassiano e la sua capacità di trasformare qualsiasi supporto in un campo di sperimentazione.

Un’intera sezione è dedicata alla ceramica, una delle pratiche più audaci e politiche dell’artista. Nulla di decorativo o aneddotico: la ceramica di Picasso è una rivoluzione silenziosa, una scultura che nasce dalle mani e non dallo scalpello, una materia che si piega alle sue visioni e alla sua indocilità. Il Picasso ceramista è quello che sfida le gerarchie artistiche, che prende un’arte minore e la eleva a dichiarazione di poetica. Nella mostra, opere inedite svelano questa dimensione meno conosciuta ma imprescindibile della sua produzione.

Sguardi neri che sfidano l’osservatore, mani e piedi sproporzionati, nasi deformi e colori esplosi: L’Adolescente, una delle opere chiave della mostra, ci restituisce un Picasso che assorbe la lezione di Velázquez e la decompone nel linguaggio del cubismo. È il ritratto di un’identità spezzata, errante, di un uomo che, fino alla fine dei suoi giorni, portò sulle spalle il peso dell’essere sempre altro.

Con questa mostra, Roma accoglie non solo un Picasso genio, ma un Picasso umano, vulnerabile, capace di trasformare il proprio esilio in una lingua universale. Un artista che non cercò mai cittadinanza in un luogo preciso, perché l’unica patria che riconosceva era l’arte stessa.