“Il mio sogno americano, in 8 film”: Pupi Avati a Los Angeles Italia, ha presentato il suo ultimo film, L’orto americano [ESCLUSIVA THRR]

E’ l’unico regista italiano che abbia piazzato la macchina da presa nello Iowa, tra film girati e prodotti, per ben 8 volte. L’ultimo, quasi un omaggio a Hitchcock, sarà nelle sale dal 6 marzo

“La prima, vera, volta che ho piazzato la macchina da presa in America è stato per Bix: quel film è stato il primo viaggio con il quale noi abbiamo fatto praticamente la prima esperienza, il primo sopralluogo, la prima America vera. In realtà ero già stato in America a girare delle piccole cose a New York, con Aiutami a sognare, nel 1980, ma ero stato solo a New York e con un senso anche, un po’, di frustrazione e di delusione perché l’America che piace a me è l’America dei film degli anni 30 e quella l’America lì, a New York, è difficilissimo ritrovarla. Quando invece andammo in America per girare Bix, andammo in un’altra America, che è l’America del Midwest, l’America a ridosso di Chicago, dell’ Illinois, nell’Iowa: un’America rurale, fatta di casette di legno con un piccolo portico. Quell’America lì è quella del jazz tradizionale, dei battelli sul Missisipi che arrivavano proprio a Davenport. E’ un’ America che, a livello iconografico, rispecchiava esattamente quella che era l’America che avevo sempre sognato e immaginato.

Per me girare lì, voleva dire girare in quella che era stata la vera casa dove era nato e cresciuto Bix Bederbecke, uno dei più grandi talenti del jazz, dove aveva vissuto la gran parte dei suoi 28 anni di vita – perché lui visse soltanto 28 anni e poi morì alcolizzato. Quella casa era ridotta in uno stato assolutamente penoso, perché era ricoperta di amianto, era stata abitato da una comunità di hippies, di figli dei fiori e versava in uno stato di abbandono totale. Insieme a  Carlo Simi, lo scenografo di Sergio Leone, quello di C’era una volta in America e di tutti  suoi film, che era venuto con noi per i sopraluoghi, decidemmo di acquistarla – anche perché costava 28 milioni. Niente. La ricostruimmo tutta seguendo le planimetrie originali, spendendo 150 milioni”

“Rifacemmo la casa di Bix, facendola diventare, per lo stato dell’Iowa, un monumento nazionale: ovvero un ‘historical place’, come è scritto ora su una targa. Quella casa ora non può essere abbattuta perché è un ‘historical place’, perché lì c’è nato e vissuto Bix. E’ una storia fantastica questa. E’ una storia pazzesca. Ma la storia del film è anche questa. Nella nostra ingenuità, dopo essere stati a Chicago, che è la città dove ha sede il SAG (Screen Actors Guild), il sindacato americano degli attori, e averlo consultato, abbiamo capito che se avessimo fatto un film seguendo le regole sindacali del SAG dell’Illinois avremmo dovuto spendere il doppio di quello che avevamo e quindi non ce lo potevamo permettere. Allora abbiamo fatto un film a loro insaputa, perché lo Stato dell’Iowa permetteva anche di girare senza la necessità di essere controllati dai sindacati. Abbiamo fatto una cosa che credo che nessuno abbia mai fatto, tra le tante cose che abbiamo fatto che nessuno ha mai fatto. Abbiamo fatto venire dall’Italia, da Roma, tre grandi camion con tutto il materiale: costumi, cineprese, parco elettricisti, parco macchinisti. E’ tutto arrivato su una nave dove hanno viaggiato tre camion partiti dalla Francia dove erano arrivati da Roma. Sono arrivati in America via mare, che è la cosa più bella che ti possa capitare. Sono arrivati giù a St.Louis e sono risaliti, verso l’Iowa, si sono fatti mezz’America in camion e sono arrivati a Davenport e hanno portato il cinema in America. Pazzesco. Hanno portato i proiettori di Cinecittà. Noi abbiamo girato con le macchine da presa italian italiane, seduti, sul set, in Iowa, su sedie che avevano la scritta ‘Cinecittà’, e mentre giravamo insegnavamo a dei locali aspiranti lavoratori del cinema, il nostro mestiere: dall’Italia, abbiamo colonizzato con il nostro cinema, il paese del cinema. In quel posto, non era mai stato girato praticamente nesun film”

“Avevamo la nostra base a Davenport, in questa villetta: dove sono ritornato per fare alcune scene dell’ Orto americano. Perchè Bix è stato il primo. Ma io ho fatto otto film in America. Sì, otto. Non è finita qui. Avevo scritto il copione di un thriller per un film che si sarebbe chiamato Dove comincia la notte di cui affidai la regia a Maurizio Zaccaro, finanziato da Aurelio De Laurentiis. Mandai mio fratello Antonio, con Zaccaro, a girare questo film sempre a Davenport, in 5 settimane, con la stessa troupe di Bix: mentre Zaccaro girava il thriller, c’era una troupe di carpentieri che ricostruiva la casa di Bix sempre lì a Davenport. E mentre loro costruivano la casa, noi preparavamo il film. Fu un’impresa che portammo a termine grazie, soprattutto, alla RAI, perché la RAI allora credeva a progetti di questo genere”

“Un’altra impresa altrettanto avventurosa fu la produzione della musica. Facemmo venire i jazzisti da New Orleans a Roma per inciderla con Bob Wilber che era stato l’arrangiatore di Cotton Club di Coppola. Il livello era altissimo. Lui fece venire i jazzisti migliori di quel genere. Il Dixieland, suonato da Bix Beiderbecke, dagli Stati Uniti. Vennero all’RCA di Roma. Pensa a quale opportunità ho avuto io, di suonare i brani di Bix Beiderbecke. Poi facevamo i provini a New York, per i ragazzi, per scegliere i ragazzi che avrebbero interpretato il film, il casting, e poi ci trasferimmo tutti a Davenport e lì facciamo le riprese. Fu una esperienza emozionantissima”

“Poi abbiamo girato una serie per Medusa con Brooke Shields e Carlo Delle Piane che si chiamava American Love. Chissà se l’hai mai vista. E’ in quel periodo che mio fratello Antonio si fidanzò. Ci fu anche un matrimonio e noi dall’Italia, con un charter, facemmo venire tutte le zie, le nonne, fu una cosa fantastica perché un certo numero di zie portate nel Midwest americano per un matrimonio è un film: una cosa del genere è già un film. Che poi il matrimonio di mio fratello durò pochi mesi. Comunque, fu un’esperienza anche quella. Mentre giravano American Love io preparavo Fratelli e Srrelle per il quale a Bologna  feci i provini per scegliere i due ragazzini. Uno dei due ragazzini era Stefano Accorsi che non aveva mai fatto del cinema e lo portammo negli Stati Uniti con Franco Nero, Paolo Quattrini, Anna Bonaiuto. E con questo siamo già a quattro film che abbiamo fatto in America. Io poi ho scritto La stanza accanto, che ha lo stesso titolo del film di Almodovar, che era un thriller, il secondo esperimento, regia di Fabrizio Laurenti, con un cast tutto americano, mentre io preparavo L’amico d’infanzia con Jason Roberts Jr. e così siamo a sei film. Poi abbiamo fatto The Hideout, il nascondiglio con Laura Morante, Rita Tashingen, Burt Young, Treat Williams e siamo stati a girare sempre là,  a Davenport”

“L’ultimo girato in America è proprio  L’orto americano. Quindi, sono otto film. Otto film, pazzesco. Sono tutti fatti in America, sì. Credo che sia un dato da Guinness. Credo che sia un record per un regista italiano, non credo che esistano altri registi italiani che ne abbiano fatto altrettanti negli USA. Non li ho fatti tutti io come regista perché La stanza accanto e Dove comincia la notte e  American Love, non sono diretti da me. Ma se ci metto anche la mia attività di produttore produttore, però, sì: ho fatto 8 film in America”.

“La cosa interessante è che non sono solo viaggi nello spazio, ma sono anche viaggi nel tempo. L’America del Midwest, e anche Chicago, perché ho girato molto anche a Chicago, ti dà delle opportunità di carattere logistico che ti consentono di cambiare ambiente anche nel tempo. E’ evidente che non puoi andare a fare il ‘700, il barocco in America, ma se vai a girare qualcosa ambientato nei primi del ‘900, trovi location di tutti i generi. L’orto americano è un film ambientato nel dopoguerra, negli Stati Uniti quando tornano a casa gli americani dopo aver liberato l’Europa. E’ l’America del rientro dei militari, dei festeggiamenti, della grande gioia. Io, invece, ho raccontato una storia, ambientata in quest’America, che è tutt’altro che gioiosa. E’ l’America anche dell’età d’oro del noir, quando ritornano i reduci americani con le loro nevrosi. Quando vedrai il film ti renderai conto quanto, proprio a livello di sguardo ci sia di prossimità con quel cinema, anche grazie alla fotografia in bianco e nero. Il bianco e nero mi ha dato un aiuto fondamentale nel ricostruire quell’immaginario che era l’immaginario di quando eravamo ragazzi e andavamo a vedere film americani, soprattutto i gialli, soprattutto Hitchcock: ci sono, credo, almeno una decina di inquadrature che ho proprio copiato pari pari”

“Ti garantisco che ogni volta che siamo andati a girare nell’Iowa,  abbiamo dovuto istruire il personale della troupe: l’ultima volta siamo andati in dieci persone, la troupe abbiamo dovuto trovarla e completarla là. Nel frattempo, stavolta, il cinema nell’Iowa era completamente sparito, c’erano rimaste delle persone che, tecnicamente, erano veramente a livello quasi zero. Tuttavia questi miei capireparto sono riusciti, pur non parlando la lingua, a insegnare loro il mestiere di ruoli di cui avevamo bisogno sul set. Noi abbiamo insegnato a fare il cinema in quelle terre e molti di quelli che hanno fatto Bix lavorano adesso a Hollywood. Uno di loro è diventato un produttore anche molto importante”

“Come si costruisce un set in America, quando anche farlo in Italia, gettando le basi di una rete di relazioni umane e professionali con tante persone diverse, è già un avventura? Ti racconto una cosa che ti fa capire tutto e che dà una risposta esaustiva a questa domanda interessante. Il nascondiglio l’abbiamo fatto portandoci dall’Italia solo l’operatore di macchina e lo scenografo. E basta. Tutto il resto dell troupe  veniva dalla Florida, sia i mezzi tecnici che il personale. Il capitale umano veniva tutto dalla Florida, erano persone che non sapevamo neppure come si chiamassero. Allora, io li ho conosciuti la sera prima in un grande ristorante, c’è stata una cena di tutta la troupe, è così che ci siamo conosciuti per la prima volta. La mattina dopo, alle nove, abbiamo girato la prima inquadratura. Eravamo già nelle condizioni di farlo, come un direttore d’orchestra che arriva da Tokyo  all’Opera di Roma, sale sul podio e i musicisti hanno tutti sul leggio la settima di Bruckner. Lui alza la bacchetta e tutti vanno giù a seguire lo spartito della sinfonia. E così è per il cinema. Il cinema è un linguaggio assolutamente universale. Se io dico metti il 25, facciamo un carrello da qui all punto ‘A’,  loro hanno già capito. Non solo hanno capito che io ho messo il 25 e faccio un carrello, ma hanno già capito cosa farò subito dopo. Naturalmente questo vale per il cinema che faccio io, che è un cinema classico, non per quello di Von Trier. Ma in questo cinema, se tu fai una ripresa dall’alto, metti un drone su un tavolo di biliardo e tracci tutte le linee, tu vedi che c’è un incrocio che è quasi obbligatorio: se quella palla va da una parte, di conseguenza l’altra deve andare da quella altra parte là per andare poi in buca, eccetera. Il cinema è la stessa cosa”

“Io giro esattamente nel modo in cui ho visto girare su un set di Clint Eastwood, I ponti di Madison County il film con Meryl Streep. Mi invitò sul set proprio lui, Clint Eastwood e lì l’ho visto girare. Girava esattamente come giriamo noi, come girano le persone che vengono dal cinema classico, cioè, senza far sentire la macchina della presa. Se tu vedi Regalo di Natale non ti chiedi se ci sono 500 posizioni di macchina differenti, tu non le percepisci mai e sembra tutto un continuo. Hai capito quello che voglio dire? Io potrei fare un film in Russia, in Giappone, in India senza parlare la loro lingua. Se io parlo italiano, non mi capiscono, se parlano loro in inglese facciamo un po’ fatica entrambi, ma se invece dico metti  un 25 e fai un carrello da qui a là, loro lo capiscono benissimo e fanno esattamente quello che dobbiamo fare. E’ come nel Jazz. Se noi scendiamo in un club e fanno gli accordi di Stardust , che ha quegli accordi lì, tu cominci a suonare. Non conta la lingua, magari sei in Svezia, parlano tutti svedese, ma Stardust è universalmente quel giro armonico lì, ha quel tipo di giro armonico lì e quindi tu puoi suonare senza parlare la lingua svedese con degli svedesi subito, intendendoti all’istante. Il cinema è così, è come la musica”.

[dichiarazioni raccolte da Mario Sesti]