“Ogni istante me lo godo pienamente: recitando, cerco di farlo vivere agli altri”: Sonia Bergamasco ad Attorstudio – Milazzo Film Festival

Premiata con l’Acting Award, sarà Elettra in teatro ed è ora Giuliana Sgrena nel film Il nibbio

È una delle attrici italiane più duttili e intelligenti, più colte e  consapevoli: quando ti parla del suo lavoro, sorride come una bambina che abbia appena mangiato un buon gelato o un cestino di fragole. Sonia Bergamasco sembra diversa da ogni altra attrice italiana. Ha i tratti del volto nordici, con occhi come laghi azzurri, e l’eleganza dei gesti che sembrano venire da un altro mondo. E d è di un’allegria esplosiva, quasi adolescenziale. La incontriamo a Milazzo, all’Attorstudio film festival in corso nella cittadina siciliana, dove è stata premiata con l’Acting award. 

Per Einaudi ha scritto un libro in cui ha raccolto le sue riflessioni sul proprio mestiere e nel quale ha disseminato le tracce di una sua autobiografia. Si chiama Un corpo per tutti. Biografia del mestiere di attrice. Ma è anche nelle sale cinematografiche con Il nibbio, il film nel quale interpreta Giuliana Sgrena, rapita da un gruppo di fondamentalisti islamici. E fra due mesi esatti sarà al Teatro greco di Siracusa, in una Elettra con la regia di Roberto Andò. 

È in sala Il nibbio, il film di Alessandro Tonda che racconta la vicenda di Giuliana Sgrena che nel 2005 fu sequestrata in Iraq, e della sua drammatica liberazione, nella quale perse la vita colui che ne rese possibile il rilascio, Nicola Calipari. Come ha affrontato l’impegno di raccontare un personaggio reale?

Ho incontrato Giuliana prima del film. Ho sentito l’assoluta necessità di sentirla, di vederla, di ascoltare il suo racconto. Giuliana ha ripercorso con me quei giorni, quella storia, con grandissima generosità, nel dettaglio. Per lei, quei giorni sono un eterno presente. Ho sentito la responsabilità ulteriore di interpretare una persona che esiste realmente, e l’ho fatto con tutta la dedizione e, spero, la delicatezza possibili. 

Giuliana Sgrena aveva molta attenzione verso il mondo medio orientale, soprattutto per la condizione della donna. Eppure fu rapita da estremisti islamici. 

Sentì profondamente l’ingiustizia della situazione in cui cadde vittima: ma come, pensava, proprio io che sono sempre stata dalla vostra parte? È una storia terribilmente drammatica e paradossale.

Dal passato recente facciamo un salto indietro di duemila anni. A teatro interpreterà Elettra, la protagonista della tragedia omonima di Sofocle, al Teatro greco di Taormina. Quando debutterete?

Il 9 maggio, cioè fra pochissimo! E se penso che saremo in una culla della storia del teatro, dove io salivo con riverenza anche solo da spettatrice, mi vengono i brividi. 

Chi è per lei Elettra? 

È una donna contro. Una donna che sceglie di stare contro, perché non le sta bene lo status quo, non le sta bene l’ingiustizia, la prevaricazione, la dittatura del potere pervasivo. E affronta questo suo essere contro, e ne subisce tutte le conseguenze. Mi sembra un personaggio fondamentale per raccontare il nostro presente, un personaggio assolutamente contemporaneo.

Quali spazi ci sono nella vita sociale e in quella artistica per essere “contro”?

Mi sembra che quella del potere sia una trappola nella quale siamo caduti tutti. Oggi se sei contro vieni azzerato, vieni messo all’angolo. È un momento storico cruciale.

Cinema e televisione riescono a proporre modelli nuovi, “contro”, o la novità dei personaggi femminili è solo una facciata?

Non c’è tanto bisogno di personaggi nuovi, quanto di personaggi veri. Personaggi femminili che non siano funzionali ai desideri, agli obiettivi maschili, ma che siano indipendenti. E poi, possiamo dirlo: non è che essere donna significhi, di per sé, essere migliore. Dobbiamo conquistarci il proprio essere donna, e la propria diversità. Noi donne dobbiamo accettare anche la nostra fragilità, che esiste, così come esiste quella maschile, e farne un punto di forza 

Come si sta preparando?

La sto già vivendo, come se avessi la psiche scoperta. È una donna che vive gli estremi. È anche una figura anche tragicomica, nel suo essere sempre eccessiva, e anche imprevedibile. 

Fra i suoi punti di forza come attrice, anche due grandissimi ruoli comici: con Checco Zalone in “Quo vado?” e in “Come un gatto in tangenziale” di Riccardo Milani. Non era banale. 

Forse il successo che hanno riscosso è dovuto anche a una sorta di effetto sorpresa: non si aspettavano che li facessi io. Non mi immaginavano come attrice capace di sfumature comiche: ma io le ho sempre sentite. Credo che in fondo sia tutta una questione di musicalità.

Quanto conta la musicalità, nell’interpretazione di un personaggio?

È tutto. È tutta questione di ritmi, di armonie. Recitare è una questione principalmente musicale.

Per un attore, per un’attrice, quanto è importante il filo che si instaura con il pubblico? 

Anche in questo caso, è tutto. Alla base del lavoro dell’attore c’è il desiderio di essere amati, di stare con il pubblico, di trovare quell’equilibrio fra consapevolezza e incoscienza che ti spinge a stare sul filo, con l’abisso giù di sotto, e farti vedere dal mondo.

Un capitolo del suo libro si chiama “Del pudore e del tempo”. Come si supera il pudore nel recitare, e quanto conta il tempo nel lavoro che fa?

C’è un pudore che si vive nella vita, e una spudoratezza necessaria nella creazione artistica. Quando sei con gli altri, devi liberarti, devi liberare delle energie nascoste. E il tempo, se c’è un tempo che passa, un tempo dell’invecchiamento, della riflessione, del pensiero che entra dentro di te, è un fattore importante. Sono profondamente pessimista, credo sempre che ogni istante possa essere l’ultimo, e per questo ogni istante me lo godo pienamente. E recitando, cerco di farlo vivere agli altri.