Neil LaBute: “Il mio Out of the Blue, tra Alfred Hitchcock e La fiamma del peccato. Lasciando il dubbio nello spettatore”

Il film apre la sezione Fuori Concorso della trentatreesima edizione del Noir in Festival, in programma a Milano dal 1 al 7 dicembre. Dopo l’anteprima italiana, il film con Diane Kruger sarà disponibile prossimamente su Sky e NOW

Noir classico con colpo di scena, la trama ricalca quella di tanti film simili, con piccoli dettagli che fanno percepire lo sguardo contemporaneo. È così Out of the Blue. Connor (Ray Nicholson, figlio di Jack) è un ragazzo poco più che ventenne, è stato in carcere anni per una zuffa di poca importanza e ora lavora nella biblioteca di un villaggio degli Stati Uniti affacciato sull’oceano. Un giorno vede uscire dall’acqua una donna bellissima in costume rosso, Marylin (Diane Kruger).

Marylin, di diversi anni più grande di Connor, ha un marito ricco e violento da cui non può separarsi per non lasciare sola Astrid, la figlia di lui, che altrimenti resterebbe in balia del padre aggressivo. Fra un riferimento e l’altro al Postino suona sempre due volte o a film come La fiamma del peccato, i due si lanciano in una relazione intensa e passionale, e prende presto forma l’idea di ammazzare il marito. Ma le cose non vanno come ci si aspetterebbe e Connor si rivela essere solo una pedina. Ne abbiamo parlato con il regista Neil LaBute.

Partiamo dalla fine: Out of the blue è un film molto classico, con un finale che ribalta le carte in tavola. È arrivata prima l’idea della fine? O viceversa?

A volte mi capita di avere il finale prima ancora di tutto il resto. In questo caso invece l’idea era proprio quella di creare una trama molto classica con degli elementi “fuori posto”. Per esempio il fatto che lei fosse significativamente più grande di lui è qualcosa che non si vede tanto nei noir. Mi interessava l’idea che la femme fatale fosse una donna più vecchia del protagonista. O il fatto che la vera relazione fosse un’altra. E alla fine l’unico momento in cui Diane guarda in camera è quando sta finalmente baciando l’amante e quello sguardo ci fa pensare che forse abbia in mente qualcos’altro, che stia mentendo ancora. Ecco, questi elementi sono venuti fuori durante le riprese, non erano già in pagina.

Sono piccoli elementi che sovvertono man mano la trama.

Esatto. Abbiamo lavorato duramente per fare in modo che il personaggio di Diane non si esponesse mai, che non capissimo mai cosa aveva in mente. Man mano, anche per i riferimenti ad altri film, si sospetta che le cose non andranno come dovrebbero. Però allo stesso tempo è solo nel finale che vediamo Marylin nel presente, felice di quello che sta accadendo e di come sono andate le cose. Nel resto del film non vediamo mai se è triste, arrabbiata, preoccupata: non ci mostra mai quello che prova. Dice sempre le cose giuste al momento giusto. In certi film è come se il regista facesse l’occhiolino allo spettatore come a indicare la strada, a dire “è lei la vera cattiva”. In questo caso volevo invece che le si credesse.

Come è stato lavorare con Diane Kruger?

Era perfettamente adatta per la parte: è enigmatica, sembra che non abbia bisogno di parlare per essere creduta. Avevo bisogno che nel momento in cui lei esce dall’acqua, Connor non capisce più niente. Doveva essere abbastanza bella perché noi capissimo come mai Connor fosse disposto a tutto per stare con lei.

In questo momento, il tema della violenza sulle donne è molto caldo in Italia. Marylin fa pensare a Connor di aver subito violenze da parte del marito. Ma è nell’oscurità della biblioteca e ha gli occhiali da sole addosso, non possiamo sapere se è vero oppure no. È una scelta di trama rischiosa, politicamente.

In realtà, anche se è buio, sotto gli occhiali si intravede una ferita. Ma non possiamo comunque sapere se effettivamente gliel’abbia inflitta il marito o se sia stata lei stessa. E questa era una delle sfide del film: di solito lo spettatore vede l’altro lato del triangolo, vediamo il marito, che tipo è, se la storia combacia. Qui invece né lo spettatore né Connor vedono il marito fino al momento stesso in cui Connor entra in casa per ucciderlo. Avevo girato una scena in cui c’erano marito e moglie soli, ma poi l’ho tolta altrimenti vedendolo avresti potuto decidere se credere a Marylin oppure no, invece doveva esserci soltanto la sua versione. Mi sembrava un rischio interessante, non mostrare la vittima fino all’ultimo.

Ma tornando alla domanda, molte delle cose che Marylin dice sul marito si rivelano vere. Il fatto che lei voglia sbarazzarsi di lui non implica che tutto il resto sia falso, anzi. Quello che volevo, però, era lasciare un’ambiguità. È comunque rischioso perché ad alcuni questo non piace. Ma io volevo che fosse lo spettatore a decidere se crederle o no. Potrebbe essersi trovata in questo matrimonio in cui il marito abusava di lei e della figlia e aver deciso di farlo uccidere.

Di sicuro gli uomini di questo film non escono bene. I suoi film hanno spesso al centro un conflitto di genere.

Mi interessano soprattutto i rapporti di potere all’interno delle coppie, spesso uomini e donne ma non solo. Ho fatto film anche su coppie di amici, o fratello e sorella. Mi interessa capire che cosa, in una relazione intima, fa rivoltare due persone una contro l’altra: come accade che due fratelli o un marito e una moglie dopo anni improvvisamente si rompano. Il tema che mi interessa indagare è che cosa fa scattare qualcosa nelle persone, cosa le rende felici o tristi. E il conflitto è sempre più interessante della pace.

Quali sono stati i riferimenti cinematografici per il film? Immagino soprattutto Alfred Hitchcock.

Hickcock sicuramente. Poi Il postino suona sempre due volte, Detour, La fiamma del peccato. Sono film che ho guardato in continuazione, vecchi classici che hanno una sorta di “suono” particolare. È un suono diverso dai film di oggi, che riconosceremmo anche se li vedessimo in una lingua che non conosciamo. Volevo che Connor li vedesse, che entrassero a far parte dell’atmosfera del film. Anche le location servono a dare quell’impressione. Soprattutto la biblioteca: nella sceneggiatura, lui lavorava in una libreria, ma quando l’ho vista ho capito che dovevo girare lì.

A proposito di suono e atmosfera, cosa può dirci della colonna sonora di Adam Bosarge?

Ho avuto la fortuna di lavorare con lui, era la sua prima colonna sonora. Ci siamo scambiati film di cui ci piaceva il suono, molti di Hitchcock, soprattutto Vertigo, ma anche altri come Mississippi Burning. O anche La donna della porta accanto che è uno dei miei preferiti e c’è una scena in cui la musica lo richiama esplicitamente. Mi sembra che sia venuta fuori un’ottima colonna sonora, molto vicina a quella dei film noir classici.