Timida, fragile eppur amata come non mai: ecco il racconto dell’ultima Magnani (vista da vicino)

Gli amici accorsi al capezzale (tra cui Rossellini, Castellani e De Filippo), la folla che assalta la clinica, la disperazione di Claudio Villa. E negli anni precedenti la timidezza nei confronti di Mastroianni, il truccatore che fungeva anche da psicologo e gli altri retroscena dei quattro film per la tv realizzati nel 1971: la produttrice Silvia D'Amico ci porta per mano nell'ultimo scorcio di vita e di cinema dell'attrice più grande di sempre

Il giorno in cui Anna Magnani morì, il 26 settembre del 1973, per un caso il secondo canale Rai aveva in programma la prima tv di Correva l’anno di grazia 1870…, l’ultima sua apparizione al cinema. La produttrice del film, Silvia D’Amico, figlia della grande sceneggiatrice Suso, aveva in realtà cercato di impedire la messa in onda. Anna era ricoverata alla clinica Mater Dei, la diagnosi le dava qualche giorno di vita, ma non lo sapeva nessuno (nemmeno lei): “In clinica c’eravamo il figlio Luca, io, Roberto Rossellini, Renato Castellani ed Eduardo De Filippo. Gli unici a conoscere la gravità della situazione. Sapevamo che era spacciata, e facemmo cordone intorno a lei”.

Così racconta D’Amico. E i suoi ricordi dell’ultima esperienza di Anna Magnani sul set sono una testimonianza preziosa. Quando, nel 1969, Anna Magnani accetta la proposta di interpretare quattro film per la televisione diretti da Alfredo Giannetti, la sua carriera cinematografica sembra ormai alla fine. Dopo Mamma Roma ha interpretato due ambiziosi progetti teatrali ed è comparsa in un paio di produzioni straniere. Capì di essere fuori posto, raccontava lei stessa, quando le proposero un improbabile spaghetti western, per fortuna mai realizzato, dal titolo Arriva Nannarella, ehi Gringo, va a mori’ ammazzato.

Eppure, in extremis, Magnani ebbe questo monumento in vita: un progetto di sei film televisivi di Giannetti, che poi diventarono quattro, infine tre per la tv e uno per il cinema. La storia di quattro donne che attraversano l’Italia dal Risorgimento a oggi. Le prime tre puntate andarono in onda con grande pubblicità la domenica sera, fra settembre e ottobre del 1971. L’ultimo invece uscì al cinema, e in tv arrivò solo due anni dopo, proprio quel 26 settembre.

 “Per produrlo mi ero associata a Giovanni Bertolucci”, è sempre D’Amico a parlare. “Anna era un’amica di famiglia e mi trovavo in forte imbarazzo. Mi serviva una figura di mediatore, qualcuno che facesse da cuscinetto, uno che insomma potesse dire dei ‘no’ ad Anna senza che questo creasse problemi personali. Il finanziatore invece era un tale Pino Signorelli, uno che non c’entrava niente col cinema, si occupava di import-export, in maniera anche abbastanza fantasiosa. Morì poco dopo la lavorazione dei film, in un incidente aereo, in seguito a un atterraggio di fortuna che gli spezzò l’osso del collo”.

Come avevi conosciuto questo strano personaggio?

E’ una storia curiosa. Lui era molto legato a un ferroviere che era amico di Giannetti. Il progetto era già stato approvato dalla Rai, ma la società non c’era ancora. Coi soldi di Signorelli chiudemmo il progetto e mettemmo su la società, che ha fatto solo quello. La chiamammo Excelsior 121/2, che era l’appartamento del leggendario produttore Peppino Amato all’Excelsior: era un omaggio a lui, con cui avevo lavorato spesso.

Anna Magnani in un momento di Correva l’anno di grazia 1870… di Alfredo Giannetti (1972)

Anna Magnani in un momento di Correva l’anno di grazia 1870… di Alfredo Giannetti (1972)

Ricordiamo la trama degli episodi. In Correva l’anno di grazia 1870…, Magnani è la moglie di un patriota in carcere (Marcello Mastroianni) alla vigilia della presa di Roma. Nel secondo, La sciantosa, è una cantante di varietà che si esibisce per i soldati al fronte nella I guerra mondiale. Nel terzo, 1943: un incontro, un’infermiera che ospita un disertore dopo l’8 settembre. Nell’ultimo, L’automobile di ambientazione contemporanea, una ex prostituta arricchita che prova le gioie e i dolori di possedere un’auto di lusso. Il primo in realtà uscì prima al cinema.

Sì, anche perché c’era Mastroianni co-protagonista e questo lo rendeva di maggior richiamo. Inizialmente il progetto prevedeva sei episodi, ma subito ne abbiamo eliminati due: uno sull’emigrazione italiana nelle Americhe, e uno intitolato Fuga a Lipari, ambientato tra i confinati sotto il fascismo, con la Magnani madre di un giovane arrestato che entrava in contatto con i fratelli Rosselli.

Mai scritti?

Il primo nemmeno scritto, del secondo abbiamo fatto un soggetto.

Dalle carte del ministero risulta che si trattava di una lavorazione unica di 16 settimane: si finiva un episodio e se ne cominciava un altro, in varie location, e la Magnani era prevista quasi sempre sul set.

Dovevamo girarli in ordine cronologico, ma poi abbiamo cambiato per praticità. Il primo episodio a essere girato è stato La sciantosa, poi 1943, poi quello con Mastroianni (che era disponibile solo in estate) e alla fine L’automobile.

Quindi avete girato gli episodi di fila uno dietro l’altro come un unico film.

Funzionava così: si girava tre settimane, poi in una settimana di pausa si cambiavano le scenografie, sempre nello stesso teatro di posa, dove poi si tornava a girare l’episodio successivo. Lo scenografo Luigi Scaccianoce con Francesco Bronzi fece questo appartamento che diventava sempre diverso. Giravamo tre settimane, interrompevamo per cambiare le scene e poi facevamo l’altro. Tre settimane a episodio sono pochissime: in più giravamo in “orario francese”, da mezzogiorno, per non far svegliare presto Anna, ma lavorando il sabato.

Magnani aveva un po’ paura della televisione, a giudicare dalle interviste dell’epoca. Com’era sul set?

Anna era veramente intimidita dagli altri attori. Non solo da Mastroianni, che lei in pratica non conosceva (non avevano mai lavorato insieme), e che fu gentile e disponibile, si trovarono benissimo insieme. Ma soprattutto, ti sembrerà strano, da Enrico Maria Salerno, perché faceva teatro. Comunque tutti gli attori accettarono di lavorare per dei compensi bassi, anche perché avevano molte meno pose di Anna. Massimo Ranieri, che era il co-protagonista della Sciantosa, prese meno di quanto prendeva per una serata (aveva appena vinto Canzonissima), solo per l’onore di lavorare con lei.

Durante la lavorazione per giunta morì il direttore della fotografia: anche quello un problema non da poco per un’attrice.

Anna aveva preteso che la fotografia dei film fosse affidata a Leonida Barboni, col quale si era trovata benissimo in Nella città l’inferno di Castellani. Ma il mio medico di famiglia, che era anche quello di Leonida, mi rivelò che lui stava molto male: non me lo avrebbero nemmeno assicurato, mi disse. Invece poi riuscimmo a prenderlo, e Leonida ebbe il garbo squisito di portare a termine le riprese dei primi tre episodi. L’ultima inquadratura che ha girato è lei che raccatta i fogli allo scalo San Lorenzo.

E come si presero col nuovo direttore della fotografia?

Per L’automobile Anna pretese di fare addirittura dei provini ai direttori della fotografia, per vedere come la facevano apparire sullo schermo. Pasqualino de Santis, che avevo contattato per primo, mi disse: “Ah, va bene. Ma io il provino glielo faccio tutto verde”. Comunque alla fine prendemmo lui, e fu bravissimo. Il fatto è che Anna era veramente insicura, non lavorava da tanto tempo, aveva una certa età, e per esempio ogni mattina ci voleva un po’ di tempo a rassicurarla: a farlo ovviamente era Alberto De Rossi, il truccatore che era anche una specie di suo psicologo personale”.

I quattro film, a rivederli oggi, rappresentano un omaggio, una specie di antologia di tutte le Magnani più amate. Lei sempre in scena, spesso in primo piano, coi colori che ne esaltano gli occhi (anche se all’epoca li si vide in bianco e nero). C’è la “Magnani con bambino”, “la Magnani sul letto”, la Magnani sciantosa”, “la Magnani proletaria arricchita”, ovviamente la Magnani trattenuta dalla folla, e addirittura, trionfale, Magnani avvolta nel tricolore, con la corona in testa, definitiva immagine dell’Italia. Un monumento, un po’ malinconico, all’attrice.

Silvia D’Amico ha tanti ricordi vividissimi della sera del 26: La folla a un certo punto buttò giù i cancelli della clinica. Entrarono a forza. Mi ricordo la disperazione di Claudio Villa, e le migliaia di persone al funerale. Non puoi immaginare, era veramente la città a lutto. Era impossibile pensare di entrare nella chiesa. Ma anche uscire: noi uscimmo da una porticina laterale, e la gente vide Eduardo, che aveva quella faccia lì, no?, insomma, la sua solita: emaciato, smunto… Ma la gente intorno lo vide e pensò che stesse per svenire. Si gettarono su di lui per soccorrerlo, facendolo sedere su una sedia. Eduardo si guardava intorno stupito. Noi ci immaginavamo la risata avrebbe fatto Anna a vederlo”.