
Il Sud, la Lucania e Luigi Di Gianni, difficili tenerli separati, benché Luigi, inquieto regista-documentarista e non solo, nonché mio docente al Csc, biennio 1988-90, godesse in qualche modo di una cultura mitteleuropea, fatta di letture (portate poi in un caso anche al cinema) e anche di frequentazioni, che lo avevano condotto dai Paesi dell’Est fino in Urss; ma questa è un’altra storia.
Carlo Lizzani, altro mio insegnante al Csc, quando gli dissi, non senza spocchia giovanile, che Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato, suo doc del dopoguerra, aveva una parte riguardante Matera e in particolare i “Sassi”, ma anche terre e paesi della provincia potentina, che arriva nel film desolante oltre che terribilmente misera e sola, insisteva che quello era il Sud che nel 1948-49 si era trovato di fronte.
E aveva per buona parte ragione. Ma non del tutto, a mio parere, perché quel documentario, prodotto dal Pci nell’imminenza delle elezioni amministrative, doveva restituire la miseria dei contadini e dei pastori a tutto vantaggio dei più evoluti operai.
Di miseria, ignoranza e superstizione al Sud ce ne erano allora, beninteso, e questo lo sapeva bene anche Di Gianni, cresciuto a Napoli ma originario della Lucania. Però c’erano anche i canti di festa, una devozione religiosa non sempre prona al potere e la sapienza profonda dei “cafoni”, i quali sapevano bene dove costruire e dove no: quel Sud sapeva essere solare, come è nelle belle poesie del pur politico Rocco Scotellaro, il Sindaco socialista, alla faccia dei padroni che umiliavano e offendevano.
Al Csc, all’interno del bel Festival “Custodi dei sogni“, abbiamo parlato con Giacomo Martino, curatore del libro a più voci “Lambda – il mondo libero di Luigi Di Gianni”, del nostro amico e maestro, direi portatore di un punto di vista ancora diverso, certo meno distaccato di altri sulla Lucania e il Sud in genere,
Sono stato allievo e amico di Luigi, tuttavia, rimanendo intatta la mia stima per l’uomo e per l’artista, già anni fa gli contestavo con affetto la sua Lucania (figlia anche del grande Ernesto De Martino), troppo mesta e chiaroscurale a parer mio; una terra che, sebbene influenzata dal suo amato Kafka (“hai portato il golem in Lucania”, dicevo scherzando a Luigi), nel fondo era comunque condizionata da un’idea scura del Mezzogiorno d’Italia, in particolare quello delle zone interne, fatto di prefiche, fattucchiere, donne e uomini in nero.
Allora pesava, una vulgata marxista, che, opponendosi a certa pur mal riposta rassegnazione della galassia cattolica rispetto alle cose della vita, puntava a cambiare il mondo, talvolta dimenticandosi di talune pietre preziose della cultura contadina e pastorale, che era fatta, bene ribadirlo, di segni, consuetudini, riti.
Di Gianni era molto attratto dai riti religiosi. (fin dal suo primo documentario, Viaggio in Lucania, per non dire di Magia lucana o di Festa della Madonna di Pierno e molti altri…), che leggeva con grande attenzione il magico e l’occulto, con un notevole gusto della messa in scena, ma sempre con un certo laico distacco (Di Gianni era un socialista agnostico).
Ben peggio facevano tanti artisti e intellettuali laici e di sinistra d’allora (fermi sulle loro posizioni proiettate su un nuovo ordine sociale ed estetico sovente di cartapesta), che di fronte al “selvaggio Sud” smettevano di ragionare.
Nel mondo del cinema, insieme a Di Gianni, solo Pasolini capì veramente la Lucania, girandovi buona parte del suo “Vangelo secondo Matteo”. Laggiù dopo una prima delusione in Israele/Palestina/Terrasanta, cercava i presepi viventi e le sacre rappresentazioni tipiche del nostro Paese, che via via andavano contaminandosi con l’imporsi della società dei consumi (ed è la parabola lucano-milanese del viscontiano Rocco e i suoi fratelli che avrebbe poi detto tutto o quasi su quella tragedia antropologica).
PPP avrebbe così colto, attraverso la sua partitura di volti e paesaggi in b/n, quella ierofania, quel senso del sacro, che oggi persino in Lucania/Basilicata pochi sanno leggere nel profondo, sebbene visibile tra un numero incredibile di monasteri, chiese, tabernacoli, per non dire delle altrettanto numerose feste dei santi.
Ora io, seguendo sommessamente le tracce preziose di Di Gianni e Pasolini, questo senso del sacro fatto di fede e ritualità sto cercando di coglierlo con un nuovo film documentario. Si intitola Devozioni e ha l’ambizione/presunzione di mettersi alla ricerca del nostro Dio perduto, concentrandosi in particolare tra il Vulture e la Val d’Agri e passando per monti e per valli della provincia di Potenza, in cui si incontrano tanti luoghi sacri e soprattutto paesi che hanno ancora molto da narrare.
Ci riuscirò? L’impresa non è facile, ma la “mia” Lucania, vista con l’occhio del credente laico (perdonatemi l’ossimoro) sarà fuori da qualunque impeto romantico (Cristo NON si è fermato a Eboli!), prediligendo piuttosto l’immersione in un mondo dove realtà e immaginario si compenetrano; proprio come in un film di Di Gianni.
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