
Il padre, affermato penalista, anche dopo che raggiunse notorietà è successo continuò a dire, forse con la stessa ironia del figlio: “Che disgrazia un figlio attore”. Ma Antonello Fassari, scomparso da qualche ora, di cui il grande pubblico conosceva bene la falcata da caratterista brillante, l’ovale da senatore romano e il trascolorare veloce sul volto mobile dallo smarrimento all’invettiva, dalla supplica alla minaccia, era, secondo tutti coloro con i quali ha lavorato una personalità colta, versatile, intelligente, capace di indossare i panni del proletario, del borghese arricchito, del criminale incallito, con la destrezza naturale del grande attore al quale immedesimarsi nell’altro da sé una misura, allo stesso tempo, di abilità e piacere.
Sul Web i personaggi che vengono identificati come più popolari sono i ruoli di Puccio in “I ragazzi della III C”, e soprattutto dell’ oste Cesare in I Cesaroni, ma si tratta di punte di incandescenza di un carriera che ha più di 80 titoli di film alle spalle, dove si vede che oltre che da professionisti della commedia come Carlo Vanzina, Steno, Christian De Sica, Ezio Greggio Fassari è stato diretto da autori come Monicelli (Il male oscuro), Marco Risi (Il muro di gomma), Marco Tullio Giordana (Pasolini, un delitto italiano), Carlo Mazzacurati (Un’altra vita), Ettore Scola (Gente di Roma), Carlo Lizzani (Celluloide), tra molti.
La televisione l’aveva fatto conoscere al più pubblico più vasto (tra diverse serie, oltre ai Cesaroni, ricordiamo Luisa Spagnoli), sia nella fiction che nei programmi di satira (come Avanzi), ma Fassari aveva anche portato a teatro una interessante versione per il palco di La ricotta di Pasolini e nel 2000 aveva esordito come regista in Il segreto del giaguaro (con protagonista il Piotta).
Ma nell’immaginario collettivo, che lo ha molto amato, rimarrà probabilmente l’immagine di quel comprimario, erede di una comicità romanesca capace di alternare il bonario stoicismo di Aldo Fabrizi alla pittoresca sbruffonaggine di Mario Brega, l’autoironia e la malinconia: è proprio una battuta del suo oste Cesare, dei Cesaroni, che ha reso famosa e che ci ha regalato, quella più congeniale a esprimere il sentimento generato dalla sua morte. “Che amarezza”.
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