“Ora che Eleonora non c’è più, mi sento più solo: e immensamente triste”

Carlo Verdone ricorda Eleonora Giorgi, l’attrice scomparsa che insieme a lui interpretò uno dei suoi film più amati: Borotalco

“Con Eleonora, anche negli ultimi giorni, ci scambiavamo messaggi su Whatsapp. Poche parole, molti abbracci, molte emoticon. Mi chiamava ‘grande bro’. Sorrisi, cuori, l’immagine di lei, bionda, con i riccioli. Sono triste, sono immensamente triste. Mi sento più solo. Davvero”. 

Carlo Verdone ci racconta, al telefono, la “sua” Eleonora Giorgi. Quella che aveva conosciuto da ragazzo, ai tempi del liceo. E quella che aveva condiviso con lui uno dei film più fortunati, felici, epocali di Carlo: Borotalco, il film della leggerezza, toccato dalla grazia della commedia brillante. Il film che vinse cinque David di Donatello. E che, dopo i film con i personaggi, rappresentò la svolta nella carriera di Carlo. 

Carlo, come conobbe Eleonora Giorgi?

Ai tempi del liceo. Io avevo sedici anni, lei forse quattordici. Il mio migliore amico si chiamava Francesco Anfuso: era un ragazzo bellissimo di sedici anni. Eleonora era la sua fidanzatina. Francesco poi morì tragicamente, in un incidente d’auto, quando eravamo al liceo. La prima tragedia che Eleonora dovette affrontare. 

Poi, anni dopo, vi ritrovaste. A costruire insieme un personaggio memorabile, Nadia Vandelli di Borotalco. Minigonna, calze colorate, gomma da masticare, ingenuità e ironia. 

Eleonora, nel frattempo, era diventata un’attrice di grande successo, molto richiesta. Vide Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone, e ne rimase colpita. Voleva lavorare con me. E così ci incontrammo, nell’ufficio di Angelo Rizzoli. Ricordo che c’era anche Maurizio Costanzo, quel giorno. Rizzoli mi disse: ‘Carlo, riesci a scrivere una storia per voi due?’. Due settimane dopo gli portai un soggetto. E poi, insieme a Enrico Oldoini, creammo quel personaggio che era ritagliato su Eleonora. 

Fu un film importante per tutti e due.

Molto. Per me, che mi allontanavo per la prima volta dai film ‘con i personaggi’. Per lei, che vinse il David di Donatello e il Nastro d’argento con quella interpretazione. Creammo quei costumi, la minigonna, l’aria sbarazzina, insieme al costumista, Luca Sabatelli. Funzionò tutto: l’alchimia fra noi sul set, gli scambi di battute, gli sguardi, il ritmo, la chimica, l’ironia. 

Che cosa rappresentava quel film, in quel momento?

La voglia di leggerezza, dopo gli anni di piombo cupi, dolorosi, pesanti. Fu un film liberatorio. 

Ma è vero che lo vide anche Jack Nicholson?

Sì: e fu proprio Eleonora a farglielo vedere. A lui, e a Warren Beatty, a Los Angeles. Si innamorarono del film: e quando Eleonora tornò a Roma, mi parlò di loro, mi disse che avrei dovuto incontrarli. Ma io non ebbi coraggio, il mio inglese non mi sembrava adeguato, non me la sentivo. Se fossi stato più audace, forse ne avremmo fatto un remake americano. 

Molti, di quel film, non ci sono più. 

Ogni volta che ci penso, mi sento più solo. Angelo Infanti, Mario Brega, Lucio Dalla! Enrico Oldoini. Compagni di viaggio, di un’avventura che mi ha cambiato la vita. E sento, ogni volta, il tempo che accelera la sua corsa, la sua ferocia. Ogni volta mi sento immensamente più solo. 

Con Eleonora Giorgi girò anche Compagni di scuola, nel 1988

Sì: c’è la sua presenza, nei due film che amo di più. 

Aveva pensato a lei anche per un ruolo in Vita da Carlo 4…

Sì. Era un suo desiderio, me lo fece sapere attraverso la sua agente. Pensai a una scena breve, in modo da non affaticarla. Ma il set era troppo affollato, lei non aveva più difese immunitarie, i medici non glielo permisero. In quei giorni, io avevo anche una polmonite, di cui ancora non mi ero accorto. Sarebbe stato pericolosissimo per lei. L’altro giorno, chiudendo le riprese della quarta stagione, le ho dedicato una scena. ‘Se mi viene bene’, ho pensato, ‘è merito suo’. Gliel’ho detto, lei era molto felice”.

Eleonora aveva fiducia nel dopo?

Aveva una sua filosofia, verso la vita e verso la non vita: un giorno, diceva, ci incontreremo tutti. L’ho ammirata anche in questo. Così come ho ammirato il suo coraggio nel raccontarsi, nel raccontare la sua malattia al pubblico, nell’affrontare il suo cammino con serenità. 

Quando vi siete visti l’ultima volta?

In treno, in un treno Milano/Roma. Eleonora tossiva molto, io non sapevo ancora che fosse malata. Parlammo un po’, poi quella tosse feroce si mise in mezzo. Ci rimasero i sorrisi, con i quali riuscivamo a comunicare. Poi lei si è messa a guardare fuori dal finestrino.