Gene Hackman, l’attore premio Oscar del Braccio violento della legge, è morto, in circostanze misteriose, a 95 anni

La sua filmografia, inimitabile, include Gangster Story, Bersaglio di notte, Non ho mai cantato per mio padre, La conversazione, Colpo vincente e Gli spietati.

Il noto attore, uno dei volti più carismatici e significativi del cinema americano dagli anni ’70 in poi, è stato trovato morto insieme a e sua moglie Betsy Arakawa, nella loro casa a Santa Fe, nel New Mexico. In una dichiarazione al giornale “Santa Fe New Mexican”, Adan Mendoza, lo sceriffo della contea di Santa Fe nel New Mexico, ha dichiarato: “Possiamo confermare che sia Gene Hackman che sua moglie sono stati trovati deceduti mercoledì pomeriggio nella loro residenza su Sunset Trail. Benchè al momento siano in corso delle indagini, riteniamo che si possa escludere si tratti di un omicidio”

Hackman ha vinto l’Oscar come miglior attore per il suo lavoro in Il braccio violento della legge (1971) di William Friedkin: in un incontro a Roma, nel 2011, il regista aveva ricordato che per alimentare la sua interpretazione, collerica ed energica, l’aveva pesantemente insultato accusandolo di non saper guidare in maniera decente. Il risultato era stato una delle più belle, e famose, scene di inseguimento in auto. Nel suo discorso di accettazione dell’Oscar, Hackman lo aveva però ringraziato “Ringrazio Mr. Billy Friedkin, che ha già ricevuto il suo premio questa sera, ma devo ringraziarlo perché mi ha davvero supportato quando volevo mollare”.

Altrettanto celebre era la sua interpretazione del sadico sceriffo Little Bill Daggett in Gli spietati (1992) di Clint Eastwood: Hackman aveva una sua personale capacità di concentrazione e spietatezza in cui lo spettatore coglieva il riverbero di una disperazione perennemente in colluttazione con una tenace determinazione. Eastwood, in realtà, ha dovuto convincere Hackman a unirsi a lui in Gli spietati.

“Non voglio fare un altro film violento, sono stanco. Sono stato coinvolto in troppi film del genere”, ha ricordato il regista in un’intervista del 2009, raccontando cosa gli disse Hackman. “Gli ho detto: ‘So esattamente da dove vieni. Rileggi la sceneggiatura, perché penso che possiamo costruire in un film una obiezione davvero forte contro la violenza e l’omicidio, se lo facciamo bene”.

Ha ricevuto altre tre nomination dall’ Academy Award: per aver interpretato il fratello maggiore di Clyde Barrow, Buck, in Gangster Story (1967) di Arthur Penn; per la sua emozionante interpretazione di un figlio il cui padre anziano diventa dipendente da lui in Non ho mai cantato per mio padre (1970) di Gilbert Cates; e per la sua interpretazione di un bravo agente dell’FBI nel dramma anti-segregazione Mississippi Burning – Le radici dell’odio (1988) di Alan Parker.

Hackman è stato anche eccezionale nei panni di un caparbio allenatore olimpico in Gli spericolati (1969), diretto da Michael Ritchie; nei panni di un ex detenuto rissoso in viaggio con Al Pacino in Lo spaventapasseri (1973) di Jerry Schatzberg, un’interpretazione che considerava la migliore della sua carriera; nei panni di Harry Caul, l’esperto di sorveglianza paranoico coinvolto in un complotto di omicidio, nel magistrale La conversazione (1974) di Francis Ford Coppola. Per molti è questa la sua interpretazione più memorabile. 

Dilaniato dal sospetto di essere responsabile, attraverso il suo lavoro di intercettazioni, della morte di qualcuno, scopre nel finale che è invece finito lui vittima di un gioco perverso di manipolazione. 

È anche l’interpretazione che mette a fuoco più di qualsiasi altra il suo stile: l’angoscia etica della responsabilità come la faccia nascosta della grinta, la solitudine come rovescio della medaglia dell’integrità

All’epoca – il film si apre con il protagonista che compie 40 anni – Hackman aveva fatto pure una quarantina di film. Negli anni successivi divenne per molte stagioni l’attore più prolifico di Hollywood: ex marine, si esercitò ad Hollywood con una disciplina ed una continuità militare. Per poi interrompere improvvisamente la sua carriera dopo aver raggiunto la cifra non ordinaria di piùdi 100 film interpretati. 

L’impressione era che si volesse liberare del cinema con la stessa determinazione con la quale aveva frequentato il set per 40 anni.

Sebbene generalmente associato a ruoli di impassibilità, pragmatismo, determinazione, Hackman possedeva anche una apprezzabile sensibilità comica: si vedano Frankenstein Junior (1974), dove ha fatto furore nei panni di un eremita cieco; Superman (1978), nei panni del cattivo Lex Luthor; Get Shorty (1995), interpretando un viscido produttore cinematografico; Piume di struzzo (1996), nei panni di un senatore di destra per il regista Mike Nichols; e I Tenenbaum (2001), nei panni del patriarca di una famiglia disfunzionale di geni creata da Wes Anderson.

Hackman una volta ha spiegato il suo approccio creativo dicendo: “In ogni scena, cerco qualcosa che non è scritto”.

Dopo essere stato premiato con il Cecil B. DeMille Award ai Golden Globe del 2003 e essere apparso nei panni di un ex presidente degli Stati Uniti che torna nel Maine per candidarsi a sindaco in Welcome to Mooseport (2004), 

Hackman si è ritirato dalla recitazione e ha scritto romanzi.

Eugene Alder Hackman era nato il 30 gennaio 1930 a San Bernardino, in California. Cresciuto dalla nonna materna a Danville, nell’Illinois, dopo che suo padre ha abbandonato la famiglia, Hackman si è fatto strada nel Corpo dei Marines degli Stati Uniti all’età di 16 anni. Aveva esperienza come operatore radio e aveva fatto tournée come disc jockey nel Pacifico.

Dopo il congedo, Hackman si era iscritto brevemente all’Università dell’Illinois, studiando giornalismo e produzione televisiva, e alla School of Radio Technique di New York, che lo ha aiutato a ottenere lavori radiofonici nel Midwest. 

Ma all’età di 30 anni, Hackman ha deciso di diventare un attore.

C’è un film molto bello che ha fatto e che pochi ricorderanno ora, Bersaglio di notte di Arthur Penn, l’unico film americano in cui c’è un detective, lui, che va a vedere un film di un regista europeo per cinefili intellettuali, ovvero Eric Rohmer.

Ho sempre pensato che quel personaggio fosse il più vicino al vero Gene Hackman.

Lasciate che ve lo racconti.

Il detective privato Harry Moseby (Hackman), viene incaricato di ritrovare una giovane ereditiera (Melanie Griffith). La scoperta dell’infedeltà della sua compagna e la morte della giovane non gli impediranno di andare fino in fondo. Questo il plot.

I due momenti di maggiore emozione e tensione del film sono completamente muti: quando Moseby rivede le inquadrature che riprendono involontariamente la morte accidentale sul set della giovane Melanie Griffith, e il finale, irreparabile e misterioso, in cui la persona che più lo ha ingannato, precipitando verso l’abisso, invoca disperatamente un aiuto che Moseby non può fornire. 

Come in tutti i grandi gialli, risolvere il “caso” significa anche affrontare l’ambiguità dei rapporti umani, il segreto dell’avidità, il rischio del tradimento e dell’impotenza. 

Vestito dello strafottente anticonformismo di vita e costumi degli anni ‘70 ma impregnato di una disperazione sottile e inguaribile, è la prova che quella di Penn, come sempre accade ai grandi autori, è una regia capace di imprimersi senza alzare la propria voce o esibire in bella forma un messaggio.  

Soprattutto se si ha a disposizione un attore come Hackman che presta a questo private eye senza padri e convenzioni lo stoicismo coriaceo e umbratile del proprio stile. 

Ora che anche la sua morte è diventata fonte di mistero e ambiguità, si potrebbe dire che Gene Hackman è diventato ancor più di prima il personaggio protagonista del film della propria vita, simile a grandi film che ha interpretato.