
Sissi non è solo la principessa dolce e sognante dei film in costume. È una ribelle, una rivoluzionaria ante litteram, un’anima inquieta che si ribella a un mondo che vuole ingabbiarla. Sissi l’Imperatrice porta in scena il lato più oscuro e affascinante della sovrana d’Austria, con una narrazione che fonde teatro, musica e poesia in una produzione audace e innovativa. Dopo il debutto a Città di Castello e Firenze, lo spettacolo approda a Milano al Teatro Franco Parenti per due settimane, per poi proseguire la tournée fino al 6 aprile, confermando il suo respiro nazionale. Ma cosa significa dare voce a un’icona così sfaccettata?
Federica, Sissi l’Imperatrice mostra una versione inedita e anticonvenzionale della sovrana, lontana dai cliché romantici. Quanto è stato sfidante portare in scena un personaggio così complesso e come hai lavorato per renderlo autentico?
Troppe volte la sua figura è stata cristallizzata nell’idea della principessa romantica, fragile e convenzionale. In realtà, era una donna sorprendentemente moderna, inquieta, ribelle, determinata a sfuggire alle gabbie della corte e della società. Ho studiato le sue lettere, i suoi diari, e ho scavato nelle testimonianze del suo tempo. Ho cercato la sua voce, la sua malinconia, la sua voglia di libertà, ma anche il tormento che la divorava per la perdita prematura dei suoi due figli. Non volevo solo rappresentarla, ma farla vivere, darle una nuova esistenza, più vicina al nostro tempo.

Federica Luna Vincenti in “Sissi, l’imperatrice”. Photocredit: Gianmarco Chieregato
Oltre a interpretarla, sei anche produttrice e autrice musicale dello spettacolo. Come hai vissuto questa duplice sfida e quanto il tuo ruolo creativo ha influito sulla definizione della sua identità musicale?
Essere contemporaneamente interprete, produttrice e autrice delle musiche (insieme ad Umberto Iervolino) mi ha dato una libertà straordinaria, ma anche una grande responsabilità. Abbiamo potuto costruire ogni dettaglio della messa in scena con la consapevolezza di chi la vive dall’interno. Questo grazie al regista e autore Roberto Cavosi con cui ho lavorato. La musica è stata un elemento essenziale per raccontare Sissi: non poteva essere solo un accompagnamento, doveva essere la sua voce interiore, il suono delle sue emozioni più profonde. Abbiamo pensato ad una colonna sonora che alternasse momenti lirici con armonie e walzer dell’ Ottocento che poi diventassero improvvisamente distorti e dissonanti. Tutto questo per sottolineare i contrasti di una donna che considerava l’Impero non una grande corte dorata, ma un vero e proprio incubo. Lei era regina e al tempo stesso prigioniera, ribelle e malinconica.
Sissi era circondata da figure altrettanto tormentate e fuori dagli schemi per l’epoca, come suo cognato Ludovico Vittorio d’Asburgo-Lorena, apertamente omosessuale ed esiliato a causa della sua identità, e suo figlio Rodolfo, morto suicida. Quanto questi personaggi sono presenti nello spettacolo e quale impatto ebbero sulla sua vita e sul suo senso di ribellione? Lei stessa diceva: “Nessuno mi capisce, e io meno di tutti. Non appartengo a nessun luogo, a nessun tempo.”
Questi personaggi sono fondamentali perché incarnano l’emarginazione, la solitudine, il dolore di chi non trova il proprio posto nel mondo. Diventano specchi della sua stessa disperazione. Nello spettacolo si parla del suicidio di Rodolfo che fu per lei una ferita insanabile. Insieme alla perdita della primogenita, queste due morti la precipitano in un collasso del sistema neurologico portandola a una perdita di lucidità: una condanna ad una vita in solitudine.
Nella tua carriera hai sempre interpretato personaggi intensi e anticonformisti. C’è qualcosa di Sissi che senti particolarmente vicino a te? “Sono nata libera e libera voglio morire”, scrisse nei suoi diari. Ti ritrovi in questa sua visione della vita?
È una lotta che conosco bene, quel bisogno di autenticità che spesso si scontra con le aspettative degli altri. La sua frase “Sono nata libera e libera voglio morire” è un manifesto di indipendenza che risuona profondamente in me. La recitazione, la musica e la produzione sono il mezzo attraverso cui cerco questa libertà, così come la poesia e la scrittura lo erano per lei. Non è un caso che le sue poesie – rimaste segrete per decenni su sua esplicita volontà – rivelino lucidità politica e grande capacità di analisi che diventano oggi testamento contro ogni ingiustizia.
Sissi era una donna ossessionata dal controllo del proprio corpo, dalla bellezza e dalla disciplina, e al tempo stesso un’anima poetica e ribelle. Come lo spettacolo racconta questo contrasto tra rigore esteriore e caos interiore? “I miei capelli sono la mia prigione, il mio corpo il mio tormento.”
Il suo corpo era stato inizialmente sfruttato dall’ Impero come un trofeo da esibire, come uno strumento che doveva obbedire ad un sistema oppressivo. Ben presto lei trasforma il suo corpo in un campo di battaglia e così il disagio personale diventa atto politico. Rifiuta il cibo e diventa anoressica e si fa stringere il busto fino a schiacciare le costole. L’autore e regista, Roberto Cavosi, ha tracciato questo percorso di tensione che nasconde un’anima in tumulto. Nella messa in scena ci sono momenti di estrema rigidità alternati a esplosioni di energia, come se il corpo stesso lottasse tra costrizione e libertà. Una battaglia che lei ha combattuto fino alla fine.
Se potessi far arrivare un solo messaggio al pubblico con Sissi l’Imperatrice, quale sarebbe? Cosa vuoi che rimanga nel cuore degli spettatori?
La libertà ha un prezzo, ma è l’unica via possibile per essere davvero autentici. Sissi ha cercato disperatamente di vivere secondo le proprie regole, ma ha pagato il costo della solitudine. Vorrei che lo spettatore uscisse con questa consapevolezza: che non bisogna avere paura di essere diversi, inquieti, in cerca di qualcosa di più grande.
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