L’insostenibile leggerezza dell’essere attori italiani a New York

Diana Salina è arrivata a New York con un visto studentesco e una borsa per l'Actors Studio. Ci racconta come si vive da aspiranti attori a New York, tra Off Broadway e One on One. Ha appena finito di girare il suo primo film da protagonista, Berenice

Sono giovani, pieni di sogni, alcuni hanno talento, altri forse solo speranze. Sono intraprendenti, svegli, ambiziosi. Alcuni sono benestanti di famiglia, altri fanno sacrifici inenarrabili. Arrivano a New York con il sogno del successo, del teatro, delle serie tv e magari del cinema indipendente. Scelgono Manhattan consapevolmente, anche se l’industria del cinema è storicamente a Los Angeles. Ma laggiù si fabbricano star a volte posticce, qui si lavora sul talento vero perché se bazzichi il teatro, quello devi avere. E poi qui c’è l’Actors Studio che negli Anni 50 fu diretto da Lee Strasberg: sotto di lui sono passati tutti, da Marlon Brando a Al Pacino, da Marilyn Monroe a Robert De Niro, da Jane Fonda, James Dean, Anne Bancroft, Paul Newman.

La vita degli aspiranti attori newyorkesi è un miraggio sempre acceso e a tenerlo vivo ci sono anche degli italiani. Diana Salina è una di loro. Se non avete mai sentito il suo nome è perché non è famosa, ma ci sta provando. E rispetto ad altri è avvantaggiata: 26 anni, cresciuta tra Londra e Milano, parla perfettamente inglese, senza accento (e anche francese e spagnolo). Non è poco, e infatti il primo consiglio che lei dà ai suoi colleghi è di investire in corsi di lingue anche al di fuori della recitazione, soprattutto se non si vuole rimanere intrappolati nei ruoli da italo-americana se non addirittura da straniera che parla un inglese approssimativo.

“Ho origini irlandesi, i capelli rossi e la carnagione bianca: fortunatamente parlo anche perfettamente inglese quindi non temo di venire stereotipata come “l’italiana”, ma il rischio c’è ed è quindi importante investire nella lingua se si vuole allargare le proprie possibilità”, mi racconta. Lei a New York ci è arrivata per frequentare appunto la scuola di Lee Strasberg, grazie a una borsa di studio. È quindi arrivata con un visto studentesco che adesso sta cercando di trasformare in un visto 01, quello riservato agli artisti e che le permetterebbe di lavorare con serenità.

Emma Stone wannabe

“Il mio avvocato è ottimista. In effetti ho tante cose in curriculum, speriamo”. La vita che racconta a pensarci è già cinematografica. Ci sono i provini ad esempio: ricordate la povera Emma Stone in La La Land? Ecco, qualcosa di simile anche se oggi tanti si fanno via self tape, ovvero ci si registra in video e lo si manda al direttore casting che sta selezionando per un determinato ruolo. Oppure ci sono i siti dove vengono postati tutti gli annunci per i ruoli che stanno cercando: si compila la richiesta, si manda una foto e si spera. Poi, certo, ci sono anche le audizioni di persona. “Qui a New York c’è veramente di tutto – continua Diana Salina -: a parte Broadway, c’è l’off Broadway, c’è il teatro sperimentale, ci sono gli spettacoli delle scuole, ci sono le piccole produzioni, ci sono le auto produzioni. Io in questi due anni ho fatto di tutto, un sacco di esperienze e incontri, alcuni buoni, altri meno buoni, ma comunque bene averli fatti”.

One on one, la salvezza degli aspiranti attori

Un servizio molto usato è quello di One on One, una specie di agenzia sulla 27esima strada che fa da ponte tra gli attori e le altre figure professionali come agenti o direttori casting. One on One organizza provini, aiuta gli attori a prepararsi e facilita le connessioni, perché va bene i video, ma questo è pur sempre ancora un mestiere che si basa sulle relazioni personali. Ed è qui che vivere a New York fa la differenza. L’incontro casuale, la persona giusta, l’amico dell’amico, il tizio o la tizia incrociati a un party: l’evento che ti cambia la vita può essere dietro l’angolo. Anche nel ristorante dove il 90% degli attori lavora come cameriere per potersi mantenere. Anche a Diana è capitato più o meno così.

Diana Salina, Berenice e l’american dream

“Grazie a un vicino di casa ho conosciuto due nuovi produttori che stavano cercando da un anno la protagonista del loro film. Mi sono registrata l’audizione e ho spedito il video a uno di loro. Gli è piaciuto e l’ha condiviso con i registi del film. Due giorni dopo ero nello stato di Washington, pronta a girare il mio primo lungometraggio con un ruolo da protagonista”. Il film si chiama Berenice, ed è un adattamento di un breve racconto horror di Edgar Allan Poe. Diana dice che i produttori sono molto contenti e che le hanno già detto che questo film le cambierà la vita. Lei ci spera, ma è anche molto realista. Se non altro, le permetterà di arrivare meglio ad altri provini, di avere una qualità migliore del reel di presentazione, insomma di avanzare di un piccolo passettino nella realizzazione del sogno.

“Ho sempre fatto tutto da sola, ho viaggiato tanto, ora mi sono data altri due anni per vedere come va. Se non dovesse funzionare allora mi rimetto in discussione”.
Ha due agenti, uno italiano e uno americano, ma del secondo non è contenta, quindi vorrebbe cambiarlo. Mi viene in mente che io un attore affermato a New York lo conosco eccome, Kelly AuCoin, quello che nella serie Billions fa Dollar Bill.

Mi riprometto di metterli in contatto, di fare networking, una di quelle cose che a NYC vengono così naturali. Lo faccio perché a qui si fa così e perché i sogni vanno sempre sostenuti, e farne parte, anche solo per una minimissima parte, può essere bellissimo.