
“Che cos’è il montatore? E vallo a sape’” ha esordito Roberto Perpignani, storico professionista del cinema italiano. All’incontro Remake/Remodel, della quarta giornata del festival Custodi di sogni, Francesca Calvelli e Annalisa Forgione hanno parlato del laboratorio ideato da pochi anni del Centro Sperimentale che permette agli studenti di conoscere e riutilizzare il materiale d’archivio.
“Noi siamo dei “complementari”?” ha chiesto Perpignani alla platea. “Il taglio cambia tutto: non cambia il senso, cambia che cosa noi stiamo guardando e se quella cosa ci raggiunge e se ha il tempo di raggiungerci. Nel momento in cui un’immagine ha un tempo più dilatato, esteso, allusivo, come nella pittura orientale, c’è un’evoluzione nell’immagine significante. Montare un temporale ha avuto come effetto di dilungare l’immagine di quattro volte. Il tempo di un temporale non è il tempo della percezione, è il tempo di un’evoluzione costante.”
Calvelli ha fatto notare come i materiali d’archivio vadano oltre la settima arte. Non si tratta solo di storia del cinema ma della storia d’Italia: dei costumi, della società, delle usanze.
“I materiali d’archivio – ha continuato Perpignani – vanno sempre analizzati. E isolati da tutto ciò che c’è di equivoco intorno. La domanda non dev’essere come sfrutto questi materiali? Ma, come valorizzo, come comprendo, attraverso questo materiale, dei processi che sono autorappresentativi per una società che qualche volta è un po’ pigra, e che si lascia raccontare storie, anziché comprenderle?”
Nel corso dell’incontro sono stati proiettati sei cortometraggi realizzati dagli allievi, che hanno utilizzato esclusivamente i materiali dell’Archivio Nazionale di Cinema Impresa.
Tutti, eccetto uno: Samattelio. Il regista Elio Gambino si è servito degli archivi familiari: “Mio padre ha sempre ripreso con una handycam. Inquadrava la sua vita, la sua casa, i suoi affetti. Ho lavorato sul punto di vista di chi riprende, e quando rimane solo, senza una famiglia da riprendere.” Indubbiamente, il più intimo dei lavori mostrati.
Ma anche gli altri cortometraggi sono riusciti a far emergere uno sguardo particolare sul mondo. Gli insetti di Carlo Onnis, stupisce per la bellezza delle immagini anni ’60. Lavoro sospeso di Davide Demasi mostra lo sviluppo industriale italiano nel contesto torinese della Fiat, rendendo chiara, attraverso musica e montaggio, la prigionia dei ritmi macchinosi. Livorno, 42 di Marco Balzano, realizzato con materiali della Seconda guerra mondiale, ha il pregio di aver attinto anche all’Archivio Diaristico Nazionale, per ricreare una voce narrante che è una vera testimonianza. Però son simpatiche, di Gianpaolo Pupillo, esalta la natura esplicita delle pubblicità al femminile anno ’50: quando le ragazze venivano definite “con capelli accarezzabili”. Railway Memorie, un corto che il regista-montatore Alessandro La Marca ha definito “un viaggio in soggettiva, un lavoro impulsivo”, dove le dinamiche sono più di percezione che di senso; tra i materiali d’archivio utilizzati spiccano le immagini di Ermanno Olmi.
Sono stati mostrati anche due corti degli ex allievi del Centro Sperimentale che hanno ricevuto diversi riconoscimenti importanti. We Should All Be Futurists di Angela Norelli e Terra dei padri di Francesco Di Gioia.
L’incontro pomeridiano, Un film perduto e ritrovato, ha mostrato un’altra faccia del reperimento di materiali. Si è trattato di The Story of William Tell, di Jack Cardiff.
Una prima regia mancata per il grande direttore della fotografia inglese, un maestro del colore, che lavorò con Hitchcock e John Ford.
Si tratta di un film mai nato, che avrebbe dovuto essere il primo film indipendente in CinemaScope.
Gabriele Angelo Perrone e Maddalena Bernardini hanno raccontato le vicende che hanno impedito il completamento della pellicola nel 1953. Bernardini è proprio la nipote del conte Adolfo Fossataro, produttore italiano del film italoamericano, che l’anno successivo avrebbe prodotto Viaggio in Italia di Rossellini.
Errol Flynn ne era il protagonista; un divo di cui oggi si sta perdendo la memoria. E da quanto ricostruito, pare che sia stato proprio Flynn il vero disastro produttivo.
L’attore hollywoodiano usciva da un decennio con la Warner Bros. e aveva dei seri problemi di alcolismo.
Bernardini ha disegnato il personaggio servendosi di aneddoti familiari: “Mia nonna non lo amava. Quando veniva a casa nostra per fare colazione si addormentava con la testa nel piatto.” Perso in uno stato di ebrezza costante, la sua latitanza costò cara agli aspetti produttivi di William Tell.
Durante le sue assenze, il set costruito in Val d’Aosta fu distrutto da una slavina di ghiaccio. “Mio nonno dovette abbandonare, se pur era abituato a complicazioni”, ha concluso Bernardini.
I 60 minuti frammentari e frammentati sono provini, prove di preproduzione, test colore. È un montaggio che ricostruisce le fasi.
C’è anche Sophia Loren: capelli rossi e mise in nero. L’attrice fu esclusa per i suoi lineamenti troppo mediterranei, come sappiamo grazie alla biografia di Cardiff dove il direttore della fotografia spiega che non la ritenesse adatta.
Nel montaggio che vede questi spezzoni uniti insieme, lo spettatore è capace di sognare e immaginare il film.
Un disincontro: vediamo delle tessere di un mosaico la cui immagine non verrà mai rielaborata completamente. Perrone ha raccontato quale sfida sia stata dare forma a dei materiali che “non rappresentano uno stato chiaro ma fanno riferimento a un film mai terminato”.
Dietro questo fallimento si sente l’aria della tragedia.
Flynn, che non si presentava sul set, andò poi in giro per l’Europa in cerca di fondi per ultimare il progetto: prima a Venezia, poi in Inghilterra. Gesti disperati, che hanno però permesso di ritrovare delle tracce del film in giro per il continente. E, proprio ieri, sono riapparsi dei documenti che certificano che il divo arrivò anche in Germania, nel ’54, per mostrare agli esercenti il lavoro svolto e ciò che mancava alla realizzazione definitiva: nascondendo problemi e limiti personali, l’attore dette la colpa dell’interruzione agli italiani.
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