
“Se io fossi Kubrick, lo metterei tra i dieci film migliori della storia del cinema, ma siccome non sono Kubrick lo metto molto in alto, uno dei film che mi piace di più, soprattutto perché sento la presenza di un grande sceneggiatore-scrittore: Flaiano. Ho rivisto il film da poco e mi ha colpito molto tutto il tessuto di parole, tutti i dialoghi”: ha detto in una intervista per il Centro Sperimentale Enrica Fico Antonioni che a Custodi di sogni ha presentato il film restaurato dalla Cineteca Nazionale insieme al maestro della direzione della fotografia, Beppe Lanci che ha collaborato al restauro guidato da Sergio Bruno: insieme hanno lavoorato diversi mesi per portare al massimo lo scintillante set visivo un film “in cui fondamentale è il rapporto tra i personaggi e lo spazio circostante. Antonioni si era avvalso della collaborazione di uno dei maggiori direttori della fotografia italiani, Gianni Di Venanzo. Il film dal punto di vista fotografico si basa su una ricerca di profondità di campo, in cui il bianco e nero si concretizza attraverso un ricercato dosaggio dei chiaroscuri” ha scritto Bruno sul dossier del restauro dedicato a questo film.
Al film ha lavorato il padre dei grandi direttori della fotografia del dopoguerra, Di Venanzo, ma al copione c’era uno degli scrittori più importanti nel crocevia tra cinema e letteratura della cultura italiana, ovvero Ennio Flaiano.
“Flaiano, secondo me – è Enrica Fico a parlare – dà un supporto straordinario. Michelangelo forse non era abituato ad avere al fianco uno scrittore così importante, così solido come Flaiano. In La notte si sente molto ed è un arricchimento, oltre alla fotografia, agli attori e al modo di muoverli e inserirli nei paesaggi tipici di Michelangelo. Quello che mi ha colpito quando l’ho rivisto qualche giorno fa è la profondità della parola”.

Enrica Fico Antonioni e Beppe Lanci. Foto per gentile concessione Custodi di sogni
Tra i più appassionati fan del cinema di Antonioni e di quel film c’è Marco Bellocchio. Ecco una sua intervista realizzata quando il film restaurato è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.
“Era l’inizio degli anni 60: esattamente, subito dopo L’ Avventura. Da una parte, in Italia, c’erano giovani cineasti che erano molto presi dalla nouvelle vague francese. Godard, Truffaut, Resnais. Dall’altra c’erano i grandi maestri del dopoguerra: Visconti e Fellini. Non è che li sottovalutassimo (Fellini, per me, è stata una scoperta straordinaria, anni dopo), però il referente italiano di quella ricerca che vedevamo in atto nel cinema francese era Antonioni: soprattutto per il rigore straordinario del suo stile. Quando si è giovani, molto giovani, quello conta molto. Non che adesso non conti. Conta. Ma per me allora Antonioni era il rappresentante di quella purezza che ammiravo profondamente in autori come Bresson e Godard”:
Infatti, prima di diventare un autore di punta della nouvelle vague italiana, Marco Bellocchio ha amato e anche studiato Antonioni. Non solo come spettatore appassionato e aspirante autore di cinema, ma anche come studente. “Alla fine dei corsi che seguii a Londra alla Slade School of Fine Arts, nel 1963-64, scelsi proprio una tesi su Bresson e Antonioni. Ed ebbi anche modo di intervistarlo, per questa ragione. Mi ricordo che ci incontrammo a Piazza del Popolo e seduti sul bordo della fontana al centro della piazza gli feci qualche domanda. Antonioni, come probabilmente sai, non parlava molto ma dopo questo incontro mi invitò sul set di Deserto rosso, dove ho avuto la possibilità di vederlo girare. Avevo 23 anni”
Scavando in ciò che dici, quando parli di stile, possiamo intendere proprio quella sensazione che abbiamo quando vediamo una sua inquadratura che tutto, dalla composizione delle immagini, allo stile dell’illuminazione, alla scelta dei costumi, a quella delle acconciature, dalla moda all’architettura, sia dominato da un occhio ed una intenzionalità assoluta..
Non è che noi non lo facciamo più questo lavoro, però lo si fa ormai in una forma molto più sbrigativa: è una sbrigatività che è un po’ obbligatoria di questi tempi, come, ad esempio, il fatto di adottare dei montaggi ‘lampeggianti’. Invece allora c’era questa lentezza, c’era una idea di regia che era totalizzante. Antonioni usava gli attori, come si diceva allora, come dei pupazzi, era proprio l’anti-Stanislavski, ovvero era autore di un cinema totalmente opposto all’idea di spingere la recitazione nelle forme dell’immedesimazione di un attore in un personaggio. Il che, per quanto mi riguarda, potrebbe apparire anche come una contraddizione: a me piacciono gli attori. Però lui, gli attori, li muoveva in modo estremamente geometrico, preciso e rigido, con dei dialoghi che furono anche oggetto di battute canzonatorie, ma che erano anche un misto rivelatore di verità sorprendenti. Soprattutto, il suo, era un cinema la cui ricerca espressiva si rivelava ad ogni inquadratura, ad ogni scena, con soluzioni originali e senza precedenti. In La notte c’è un’inquadratura che mi piace tuttora moltissimo, un carrello sull’auto durante un temporale improvviso ed estivo con l’acqua che gronda e i due personaggi in macchina, la Moreau ed un uomo che tenta di flirtare con lei, si muovono come sagome oscure nell’abitacolo: vediamo le loro labbra muoversi ma sentiamo solo lo scrosciare della pioggia. Anche la scena iniziale durante la quale Mastroianni, all’inizio, va a trovare un amico scrittore come lui e viene quasi aggredito sessualmente da una ricoverata. Erano momenti espressivi perfetti, le inquadrature erano perfette, sembravano frutto di una ricerca espressiva assoluta. Anche molto bella è la scena della piscina, che precede quella dell’auto di cui parlavo prima, durante la quale tutti si buttano in acqua, in cui le immagini si caricano anche di registri grotteschi, rompendo quel senso di glacialità, freddezza, bellezza astratta tipico del suo cinema. Ricordiamoci che Antonioni era un grande amante di Mark Rothko e della pittura informale
A proposito di nouvelle vague, nel film c’è Jeanne Moreau che era diventata famosa con Ascensore per il patibolo di Malle per le sue camminate notturne. Antonioni ne ripropone l’erramento metropolitano e per certi versi il film appare anche come una sorta di confronto di due attrici feticcio, lei e la Vitti, che erano esemplari entrambi della modernità del cinema che si sviluppava al di qua e al di là delle Alpi
In realtà so che la Moreau non era affatto contenta del suo lavoro nel film: non amava l’ approccio di Antonioni agli attori, mentre Mastroianni era quel genio che si adattava a tutto. In ogni caso, c’era una relazione molto forte tra ciò che succedeva da noi e ciò che accadeva in Francia. L’avventura ebbe un successo clamoroso da loro. Ricordi?
Godard in Il disprezzo fa dire ad un personaggio che bisogna “girare un buon film di Antonioni, come se lo girasse Hawks”. Truffaut invece trovava Antonioni “importante” ma “noioso”.
“Io l’ho scoperto e amato grazie a L’avventura, L’eclissi, La notte. Ricordo anche dei confronti piuttosto accesi con Grazia Cherchi e mio fratello Piergiorgio che allora erano in prima linea nel dibattito culturale con una rivista che ebbe grande importanza, “I quaderni piacentini”. A loro non convinceva la mancanza di impegno sociale dei suoi film, il suo distacco da tutto e credo fosse una posizione politica condivisa da tutta la vasta area di radicalismo di sinistra. Io invece pensavo che la bellezza dovesse avere una sua simbologia, e lo penso tuttora. Penso che al di sotto di quella freddezza, in tutto Antonioni , si avverta una costante pulsazione passionale, anche se trattenuta”.
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