Quien sabe? Il western di Damiano Damiani con Volontè e Thais, Anton Giulio Bragaglia, a Custodi di sogni

80 metri tagliati dalla censura da un western all’italiana e la riscoperta dell’unico vero film futurista al festival che apre le porte dei tesori della Cineteca Nazionale

Il festival della Cineteca Nazionale, Custodi di sogni, nell’ultima giornata al Centro Sperimentale, ha restituito la versione completa di un film di Damiano Damiani del 1966 con protagonista Gian Maria Volonté: Quien Sabe? Un western all’italiana, anche se “per Damiani Quien Sabe? non è un western. Lui voleva raccontare quel periodo storico: il 1966. 

Il film anticipa le rivolte di fine anni ’60. Ogni inquadratura è una visione morale del mondo. “Non è un cinema che vuole solo raccontare. Vuole creare conflitto e coscienza civile”, ha spiegato Fulvio Baglivi, presente a moderare l’incontro con Francesco Damiani (figlio del regista), Luigi Lupi e Massimo Vigilar. 

Il restauro, a cui ha lavorato prima la Cineteca Nazionale e poi la Cineteca di Bologna, ha restituito 80 metri di tagli, ossia poco più di 2 minuti. Erano infatti state tolte diverse frasi per imposizione della censura. 

La pellicola, ambientata nel Messico della rivoluzione, si occupa proprio di svelare le responsabilità dei servizi segreti americani sul territorio latino-americano. (non a caso, a firmare la sceneggiatura c’è anche Franco Solinas). 

In una delle scene finali, che, tra l’altro, è una delle più belle, un giornalista americano intervista il generale a capo della rivolta commentando, “La gente sa cos’è la guerra ma non sa cos’è la rivoluzione”. Il generale risponde: “È quando il popolo dice basta e inizia a camminare.” Il giornalista domanda, “Per andare dove?”; “Non si sa se non comincia a camminare”. Questa scena era stata tagliata. 

Il vero colpo di scena è stato, però, l’incontro del tardo pomeriggio, L’utopia cinematografica di Bragaglia. Il restauro di Thaïs, pellicola del 1917, diretta da Anton Giulio Bragaglia, con due attrici russe protagoniste, Thaïs Galitzy e Ileana Leonidoff, è “un film fondamentale, leggendario, un sacro Graal della cinematografia muta”, come ha detto Alberto Anile. La prima proiezione romana del restauro, con l’accompagnamento musicale del Guardiano del Faro, si è svolta in un setting ben studiato, perché il film fu proprio girato a Villa Borghese, più precisamente, nella Villa Strohl-Fern (che è oggi sede della scuola francese Chateaubriand).

È un restauro della Cineteca Nazionale realizzato insieme alla Cinémathèque Française. L’unione delle forze è stata necessaria anche perché l’unica copia sopravvissuta era stata ritrovata in Francia, negli anni ’30.

La versione d’oltralpe era intitolata Les Possédées (Le possedute), dettaglio suggestivo; mentre il titolo originale italiano faceva riferimento ad una protagonista, Thaïs, quello francese è al plurale, indicando più protagoniste. (da sottolineare che il titolo francese del romanzo di Dostojevskij I demoni è Les Possédés). Nella storia ci sono infatti due donne: una è bionda, l’altra è mora; una è audace, l’altra è timida. Entrambe attrici russe. Nell’arco della rassegna avevamo già accennato al doppio femminile, del resto.

“Un film mosaico: la scelta è stata quella di salvare il salvabile. La copia originale del ’17 con colorazione per imbibizione era ormai molto rovinata”. Si è potuto recuperare poco di quella versione originale, ma abbastanza da dare un’idea di ciò che si vide all’epoca. “La base è il lavoro fatto negli anni ’70 in bianco e nero. La grande conquista è che si rivede il film, nelle parti recuperate, così come era stato pensato nel ’17”, ha spiegato Maria Assunta Pimpinelli. 

Valerio Jalongo, erede di Bragaglia, ha narrato la storia della sua famiglia, presente nel mondo del cinema dagli inizi della settima arte. 

Nel 1906 il padre di Anton Giulio, Francesco Bragaglia, fonda la Cines. I figli Arturo e Carlo Ludovico (fratelli di Anton Giulio) sono entrambi fotografi che lavorano a Quo Vadis? nel ’12. 

“Ho conosciuto solo Carlo Ludovico”, ha spiegato Jalongo, “raccontava di una forte solidarietà e collaborazione tra fratelli. Nel 1911 hanno fatto i primi esperimenti di fotodinamica e solo l’anno dopo Anton Giulio ha firmato il manifesto del fotodinamismo. Ecco questo è un pattern ricorrente nel loro rapporto. Anton Giulio scrive: ‘I miei fratelli prendono parte alla mia vita come pezzi di me stesso. Io sono me più loro, per questo sembro più di quel che sono’ 

. 

Una giovane studentessa, Chiara Trinchese, che ha scritto la tesi di laurea magistrale su Thaïs, è riuscita, grazie alle sue ricerche, a dare una rilettura del film. 

Il recupero della qualità fotografica ha permesso di scorgere dei nuovi dettagli. In particolare, una rivista, “Cronache d’attualità”, che si vede in più sequenze del film. Fondata nel 1916 dal cavaliere Emilio DeMedio della Novissima Film, il principale illustratore è Enrico Trampolini, scenografo poi di Thaïs, (che Anton Giulio rivendicherà essere il primo esempio di astrattismo scenografico). 

Le ricerche di Trinchese l’hanno portata a trovare, nel terzo numero della rivista, un articolo, intitolato: “Quali donne piacciono agli uomini”.

“Nella campagna pubblicitaria delle riviste del tempo, Thaïs viene pubblicizzato sempre ricollegandolo alla moda. A una moda moderna, caratterizzata da una femminilità nuova. Principale rappresentante è proprio l’attrice Thaïs: Thaïs, l’eleganza ideale. Thaïs come primo film di stile. Un film quasi di moda, dove si usa il simbolismo e il decadentismo per portare sullo schermo una donna nuova”, ha spiegato Trinchese.

La giovane studiosa ha ampliato le sue ricerche, concentrandosi anche sulla distribuzione francese della pellicola, di cui non era stata trovata traccia. E in una rivista francese, dove erano elencate le proiezioni, oltre che a certificare l’effettiva distribuzione locale del film, si è ritrovata la sinossi. 

Thaïs, una donna sposatasi giovane, rimasta vedova precocemente, si trasferisce dalla Russia all’Italia. Frequenta l’alta società, dove non è ben vista dalle altre donne. L’unica con cui stringe amicizia è Bianca Belincioni Stagno: nome di un’attrice realmente esistita e contemporanea a Thaïs, ma non nel film,” ha concluso Trinchese. Jalongo ha aggiunto che sua nonna si chiamava Bianca, e che forse, si era trattato di un modo per farle una dedica. 

Aggiungiamo una curiosità. Nel 1910 la contessa russa Maria Tarnowska fu messa sotto processo a Venezia, con l’accusa di aver fatto uccidere il proprio compagno. La stampa definì questo caso “l’affare russo” e si concentrò sulla figura di questa donna misteriosa, impenetrabile, diversa. Una femme fatale come, forse, non se n’erano mai viste. Il processo durò più di due mesi. 

Luchino Visconti rimase così affascinato dalla contessa e dalla storia che si mise a scrivere una sceneggiatura. Un film che non fece, ma che probabilmente nutre l’immaginario di Ossessione -forse, in quegli anni, anche Bragaglia lesse dell’affare russo.