Adolescence, la serie che ha turbato la Gran Bretagna, continua a interrogare anche noi

Post e commenti sui social, articoli di giornale, inchieste: quando la nuova serialità buca la parete invisibile che ci divide dal mondo turbolento dei giovanissimi

Adolescence la miniserie televisiva britannica in quattro episodi, ideata da Jack Thorne e Stephen Graham, diretta da Philip Barantini, in streaming su Netflix, ha infiammato la Gran Bretagna, rivelando la natura estremamente diffusa di contenuti misogini in rete e i loro effetti tosici sui più giovani, al punto che anche il primo ministro, Starmer, ha dichiarato di averla vista insieme ai suoi figli e di esserne stato colpito. Ma cosa racconta?

È l’alba e la polizia fa irruzione in casa di una famiglia, con agenti armati e pronti a fare fuoco.  Non cercano un uomo adulto, ma Jamie, un tredicenne, che è nel suo letto. Accusato di omicidio: la sera precedente, ha ucciso una ragazza, una sua amica, con un coltello.  Lui nega, ma le camere di sorveglianza lo incastrano.

Gli spettatori vengono guidati attraverso il macabro processo dall’inizio alla fine: il suo scioccante arresto e il primo interrogatorio della polizia, i detective che cercano di mettere insieme i pezzi del caso, uno psicologo infantile inviato per valutare Jamie e la famiglia costretta a rivalutare ogni decisione genitoriale che ha portato a questo evento che ha cambiato la loro vita.

Tutti gli episodi sono girati in piano sequenza, cioè in un’unica ripresa, senza stacchi e il massimo di tensione si raggiunge nel terzo quando c’è un lungo, drammatico colloquio, nella stazione di polizia, tra una terapeuta, interpretata da Erin Doherty, e il ragazzo protagonista Owen Cooper.

“Avevamo solo un cameraman con una macchina da presa che fluttuava nella stanza e noi dovevamo dimenticarci di lei. È pazzesco, eravamo solo io e Owen” ha detto la Doherty a The Hollywood Reporter.

La serie ha portato alla luce un universo social apparentemente invisibile per gli adulti, formato da galassie di profili social e siti, contrassegnati da nomi come incel (celibi involontari) e manosphere, di violenta misoginia e brutale antifemminismo, che alimentano senza contrasto la violenza maschile.

Tuttavia ha scritto sul Guardian Jack Thorne, lo sceneggiatore che ha creato la serie assieme a Stephen Graham (che qui interpreta anche Eddie, il padre del ragazzo protagonista) Jamie non è semplicemente il prodotto della manosphere. È il prodotto di genitori che non hanno visto, una scuola a cui non è importato nulla e una mente che non l’ha fermato”.

E mentre anche in Italia la serie ha generato numerosi articoli di approfondimento sui quotidiani e ha portato molte persone a scoprire fenomeni analoghi e a cercare spiegazioni e approfondimenti sul linguaggio e le tracce social di questo fenomeno, o a postare sui social commenti e letture, a testimonianza di quanto la serie abbia colpito sensibilità e immaginario, abbiamo chiesto a esperti di nuova serialità cosa ne pensano.

Marita Toniolo di Movieplayer, ci dice:

Adolescence è una miniserie intensa e straziante che, pur avendo la parvenza di un docu-crime, si distingue per una qualità cinematografica straordinaria. Girata in un unico piano sequenza per episodio, amplifica il senso di immersione, rendendo impossibile prendere fiato. Le interpretazioni, da Stephen Graham allo straordinario esordiente Owen Cooper, sono laceranti. Cruda e ipnotica, è un brutale viaggio nel dolore che tutti gli adulti dovrebbero guardare per tentare di capire i ragazzi di oggi.”

Questa serie accende un riflettore su una realtà troppo spesso trascurata, ossia la violenza che circola tra i giovani. Non si uccide solo con le pistole. Un coltello ci riesce ugualmente, ed è anche più facile da reperire e più difficile da identificare. 

Gabriele Prosperi di MyMovies ci dà la sua opinione:

Adolescence sfrutta il piano sequenza non come esercizio di stile, ma come necessità espressiva: un dispositivo che inchioda lo spettatore davanti a una realtà cruda e ineludibile. La serie non offre vie di fuga, trasformando ogni inquadratura in un campo di tensione morale, dove il tempo dell’immagine diventa il tempo del giudizio e dell’impotenza”.

Adulti e ragazzi troppo distanti tra loro, senza una vera interazione, spesso sostituita da un giudizio costante.

Beatrice Dondi, giornalista dell’Espresso analizza un punto importante:

“Jamie, il piccolo, timido, mostruoso Jamie è schiacciato in un’ansia claustrofobica dalla pretesa dell’approvazione degli altri. E mentre la camera non molla, stringendo ognuno al suo angolo, ci si chiede cosa abbiamo trasmesso ai nostri ragazzi se non domande senza risposta e un mondo sempre più tossico, intrappolato nella mascolinità.”