
Pericolosa o utile? È questa la domanda che più di tutte anima dibattiti e incontri sul tema del momento, non solo al cinema, ovvero l’intelligenza artificiale. Un incontro sull’argomento, in rapporto alla produzione cinematografica, alla scrittura e agli effetti speciali è stato uno dei panel di apertura, ieri mattina, del festival della Cineteca Nazionale Custodi di sogni. A confrontarsi sul valore, sull’utilizzo, sui limiti e sulle opportunità della AI generativa sono stati Renato Pezzella, esperto in tecnologie digitali avanzate per il cinema e la televisione, Daniele Tomassetti, produttore cinematografico, e Paolo Tosini specializzato in preservazione e restauro dei film.
“l’AI di per sé non è una minaccia per il lavoro creativo – ha affermato Pezzella – ma può esserlo per la standardizzazione del prodotto su cui si lavora. Poiché le grandi case di produzione la adoperano per analizzare le sceneggiature, per verificare quanto più pubblico potrebbero riuscire a intercettare e fidelizzare. Le tv studiano le performance dei numeri 0 per verificare se conviene proseguire o modificare il lavoro. E quindi si sceglie solo in base alle preferenze degli spettatori. Ma vendibile non vuol dire qualitativamente elevato”. Tosini ha aggiunto: “Negli archivi, con l’AI si è capaci di creare un effetto restauro, ma i miglioramenti che vengono fatti sull’immagine, sono appunto, solo un effetto. Prossimamente ci sarà un importante congresso a Montreal per discutere proprio di questo. Non ci preoccupano gli strumenti ma l’uso che se ne fa. È l’uso che ne definisce l’etica. È per questo che sarebbe importante definire delle regole flessibili per sfruttare al massimo, ma in maniera virtuosa, questa nuova opportunità tecnologica”.
A questo proposito sono stati oggetto di discussione i recenti film che con successo hanno utilizzato l’intelligenza artificiale, come Here di Zemeckis, dove l’immagine degli attori e il loro lavoro sono stati valorizzati grazie al fatto che non erano appesantititi o “falsificati” dall’uso di un trucco eccessivo, come sostiene Pezzella, o Brutalist, di Brady Corbet, che ha sollevato accese polemiche, soprattutto durante gli Oscar, per l’intervento di un software che serviva a migliorare la pronuncia ungherese dei due protagonisti.
Sull’impossibilità della sostituzione del pensiero creativo da parte di AI, Tommassetti ha sottolineato che “i film belli nascono da un contraddittorio” e per farlo è necessaria, sempre, la “materia umana”.
Sulla commistione di linguaggi, sul rapporto segreto e imperituro fra cinema e letteratura, che insieme “condividono il mistero del passaggio del tempo”, si è soffermata invece Dacia Maraini nell’incontro a lei dedicato poco prima della proiezione dei suoi cortometraggi Giochi di latte e Trio, con i quali la Cineteca ha voluto ricordare la sua attività di videomaker indipendente.
“Io non mi considero una cineasta. Ero solo curiosa di sperimentare. Volevo capire il rapporto meccanico tra occhio e realtà. I super 8 li ho girati con gli amici e sulla base di racconti che mi interessavano”. Rispetto al suo lavoro di sceneggiatrice, la scrittrice ha ricordato la collaborazione con Ferreri e quella con Pasolini.
Del primo ha detto: “Aveva un suo modo particolare di vedere il mondo e di costruire il film attraverso la psicologia. Partiva da lì, poi arrivava all’intreccio e questo è un legame che c’è fra letteratura e cinema, anche se i movimenti degli anni Sessanta sostenevano che la psicologia fosse da buttare via, perché il mondo era andato in frantumi e ci si poteva occupare solo di quelli. Era molto simpatico, ricordo che a causa del diabete, sul cibo era sorvegliato dalla moglie, e parecchie volte l’ho visto scappare in bagno a mangiare cioccolatini!”.
Rispetto a Pasolini ha invece sottolineato la profonda amicizia e stima che li legava: “Aveva letto il mio Memorie di una ladra e gli era piaciuto. Lo aveva definito ‘picaresco’, per questo motivo credo mi abbia chiesto di collaborare alla sceneggiatura di Il fiore delle mille e una notte. Ci eravamo divisi i personaggi e abbiamo lavorato senza sosta per dieci giorni. La casa a Sabaudia che avevamo affittato per lavorare praticamente l’abbiamo usata solo per quello. Ricordo di non essere stata un giorno in spiaggia. In quell’occasione è nata un’amicizia stretta. Pier Paolo era una persona che sapeva ascoltare e non prevaricava mai. Abbiamo fatto tanti viaggi insieme. Fui io ad accompagnarlo in Africa per i sopralluoghi di quell’Orestiade, per cui sognava solo attori di colore. Purtroppo non è mai riuscito a realizzarla. Ricordo ancora quando arrivò il telegramma del produttore: Abbiamo fatto un’indagine di mercato e valutato che l’Italia non è pronta per un film in cui recitano degli attori neri…”
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