
Storia della mia famiglia, con Eduardo Scarpetta, Massimiliano Caiazzo, Vanessa Scalera, Cristina Dell’Anna, Antonio Gargiulo, non è una serie come le altre. Affronta temi difficili senza la presunzione di conoscere le risposte alle mille domande dell’esistenza. È triste, ma fa anche ridere. È complicata, come solo la vita sa essere e acconta di un nucleo di persone tanto diverse ma anche simili, unite dalle molteplici sfaccettature dell’amore. Claudio Cupellini, regista della serie con anni di esperienza alle spalle, ha condiviso con The Hollywood Reporter questa sua importante esperienza di vita, oltre che lavorativa.

Caludio Cupellini. Per gentile concessione
La famiglia è un tema e un soggetto da sempre amate dalla serialità ma in questa sembra esserci in più un’attenzione sorprendente al modo in cui ogni individuo finisce per viverla in modo diverso, sconosciuto agli altri. Sei d’accordo?
Tutto nasce dalla concezione di famiglia espressa dell’autore Filippo Gravino. Una famiglia spesso composta da elementi interni, ed esterni, che non hanno legami di sangue ma che formano una specie di tribù. Non esistono famiglie perfette. Noi abbiamo raccontato un tipo di famiglia.
Il dolore è inestricabilmente connesso della gioia. Si percepisce nei volti, nelle espressioni, nei movimenti. Quale idee di regia e di racconto ti hanno guidato nel dirigere una storia così forte?
La regia è stata semplice. Quello che andava valorizzato di più era la prova attoriale degli interpreti, l’abilità della recitazione. Mi sono concentrato maggiormente sul lavoro del testo. Sulla comprensione, sull’analisi. Essere partecipi e consapevoli di quello che succede ai personaggi. In questo modo ho lavorato molto con gli attori, più che con la macchina da presa.
Il cast è formato da attori molto amati dal pubblico. Mi piacerebbe che ne parlassi dopo averli conosciuti bene sul set.
È stato un rapporto amichevole e di fiducia quasi immediato. Con alcuni ci conoscevamo già. Con altri ci siamo conosciuti prima delle riprese e abbiamo poi fatto un percorso insieme che ci ha portato a confronti continui. L’idea che stavamo cercando di raggiungere insieme era fare una serie che fosse onesta nei sentimenti, che cercasse il più possibile di essere vera. Quindi ci confrontavamo sulle nostre esperienze, come ci saremmo comportati noi di fronte a problemi simili, e come si sarebbero comportati i personaggi. Esiste una distinzione tra attore e personaggio, ma in alcuni casi si sono trovate adesioni tra esperienze reali e inventate.
Il tuo ruolo è al di sopra delle parti, ma come si fa a non lasciarsi coinvolgere da quello che succede intorno a te?
Bisogna digerire certi sentimenti e certe esperienze. Questa è una storia che non avrei potuto girare vent’anni fa, quando ero più giovane. Adesso, in un’età più matura, sono stato in grado di dominare dei sentimenti complessi. C’è un lavoro di assimilazione di determinate esperienze per raccontare una storia di questo tipo.
C’è un personaggio tra i protagonisti al quale sei particolarmente legato?
Loro formano un caleidoscopio di personalità. Il singolo non vale la somma di tutti gli interpreti che ci sono. In alcuni momenti mi sono riconosciuto in Fausto, in altri da fratello minore quale sono stato nella vita, in Valerio. Ma in realtà ho trovato dentro me i tratti di ciascuno di loro. Sono personaggi che mi corrispondono.
Importanti in questa storia sono anche i bambini, i figli del protagonista. In che modo ha interagito con loro, per dirigerli?
Libero ed Ercole, ossia Jua Leo Migliore e Tommaso Guidi, sono bambini intelligenti. Hanno anche la fortuna di essere versati per la recitazione. C’è anche una componente di bellissima ingenuità da parte loro. I bambini, a differenza degli adulti non fanno un lavoro di immedesimazione e di replica di un sentimento. Loro sono naturali. Dopo vanno guidati. Si spiega loro la situazione, ma poi vanno da soli. Arrivano al punto grazie all’istinto, figlio di un’intelligenza che li porta a saper raccontare dei sentimenti, anche molto delicati.
Come ha interagito con Filippo Gravino ed Elisa Dondi, autori della serie?
Io ho scritto con Filippo la maggior parte dei film che ho fatto. Ci conosciamo da molti anni. Nuova invece l’esperienza con Elisa. È stato un caso inedito per me, on ho partecipato alla scrittura. Mi sono affidato alla scrittura di altri sceneggiatori. Ma essendo un rapporto consolidato, quello con Filippo, non ci sono stati problemi nell’interpretare e gestire la sceneggiatura che avevo tra le mani.
Il finale potrebbe aprire uno spiraglio per una seconda stagione. È solo una speranza?
È un finale aperto che predispone alla possibilità di un seguito del racconto. Dobbiamo solo aspettare e sperare che ci sia questo seguito.
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