
In Black Bag c’è molta preoccupazione per un dispositivo virale informatico mancante chiamato Severus, capace di destabilizzare un impianto nucleare. In ogni caso non importa quanto siate attenti, le funzioni precise di questi strumenti saranno, nella migliore delle ipotesi, vagamente comprensibili, ma non importa.
Nel raffinato dramma di spionaggio di Steven Soderbergh, un’elegante squadra di attori continua a menzionare Severus con toni cupi e drammatici anche se ciò è molto meno intrigante dei mutevoli legami e dei doppi giochi all’interno di un’élite di agenti dell’intelligence britannica.
Dopo la tensione hitchcockiana-de palmiana del thriller tecnologico Kimi e la magistrale storia agghiacciante di fantasmi, Presence, questa terza collaborazione consecutiva tra Soderbergh e l’abile sceneggiatore David Koepp è leggermente deludente. È spiritoso, realizzato con stile e vanta un cast stellare, guidato dalle interpretazioni particolarmente gustose di Cate Blanchett e Michael Fassbender. Ti tiene incollato, anche se il film alla fine sembra evanescente, ma è uno svago elegante che dimentichi subito dopo che sono scorsi i titoli di coda.
Tuttavia, è bello essere guidati da mani capaci, e anche se la trama ha spesso più complicazioni che propulsione, Soderbergh e i suoi attori gli conferiscono una leggerezza costantemente piacevole.
A questo punto, dopo tre decenni e mezzo e 35 lungometraggi in una carriera con molti più picchi che valli, è piacevole sedersi e assaporare la gioiosa destrezza della narrazione del regista e la lucentezza seducente delle sue eleganti immagini.
Il titolo si riferisce a qualsiasi informazione altamente classificata troppo sensibile per essere condivisa, anche tra colleghi sposati come Kathryn St. Jean (Blanchett) e George Woodhouse (Fassbender).
Fornisce anche una comoda copertura per infedeltà, tradimenti e accordi sottobanco per la cerchia di agenti senior nella loro orbita immediata. “Dove eri questo pomeriggio?” “Black bag.”
Quando Meacham (Gustaf Skarsgard), un collega agente del National Cyber Security Centre, incarica George di scovare il traditore all’interno dell’organizzazione che ha permesso a Severus di cadere nelle mani sbagliate, gli chiede se si sentirebbe a suo agio a neutralizzare Kathryn se si scoprisse che è lei. Ma anche senza invocare la proverbiale black bag, George tiene le sue carte coperte.
Altri all’NCSC vedono la sua lealtà verso Kathryn come la sua debolezza.
La coppia organizza una cena nella loro lussuosa casa londinese e invita quattro colleghi senior, che guarda caso sono anche coppie, sospettando che uno di loro sia la talpa. Ed a quel punto il gioco si fa interessante.
Il dramma ha un intreccio assai fitto, al punto che i dettagli a volte diventano confusi. Ma la dinamica centrale della relazione di George e Kathryn è una macchina ben oliata che fa funzionare tutto il resto.
Le caratterizzazioni di Fassbender e Blanchett sono sia molto differenziate che perfettamente sincronizzate. Lui è gelido e robotico, quasi un incrocio tra i ruoli dell’attore in Prometheus e The Killer.
Blanchett, al contrario, rende Kathryn sensuale ed enigmatica, un’operatrice ineffabilmente composta: le intonazioni raffinate e la conversazione erudita le danno l’aria di qualcuno completamente libero da dubbi su sé stesso, che valuti attentamente ogni situazione e la sua posizione in essa.
Le molte scene di Blanchett con Fassbender sono ciò che fa rombare il motore del film. George e Kathryn sono entrambi circospetti, come richiede la loro professione, ma legati da una connessione sessuale ed una carica emotiva che rende Black Bag tanto uno studio ravvicinato di un matrimonio quanto una storia di spionaggio.
L’unico momento di rabbia esplosiva di Blanchett (“Non fottere mai più il mio matrimonio!”) è una gradita scossa in un film che per lo più rimane a temperatura ambiente – nonostante un attacco di precisione con droni contro agenti russi. L’attenzione necessaria per stare al passo non è sempre ricompensata dagli sviluppi più scintillanti in una trama che tende più spesso a cuocere a fuoco medio che a portare a ebollizione.
Gli altri membri del cast hanno tutti i loro momenti e si inseriscono senza problemi nella complessa struttura a puzzle del film. La migliore del gruppo principale è Abela, che fa tesoro del suo lavoro sorprendente in Back to Black e Industry con una performance che indica in ogni momento che, nonostante sia una relativa novellina, è scaltra quanto i veterani. E Pierce Brosnan è un’aggiunta vivace nelle sue poche scene nei panni del capo dell’NCSC Arthur Steiglitz, un capo esigente in abiti impeccabili i cui ordini arrivano con una minaccia non dissimulata e con un istinto spietato per l’autoconservazione.
Il fatto che si sieda a mangiare un piatto di Ikizukuri illegale è un tocco delizioso.
Come direttore della fotografia e montatore con i suoi soliti pseudonimi, Peter Andrews e Mary Ann Bernard, rispettivamente, Soderbergh conferisce al film un aspetto lucido, con molti piani sequenza sinuosi e lampi di flare dell’obiettivo.
I ritmi jazzati sono ripresi dalla colonna sonora cupa e persuasiva di David Holmes.
Una sequenza, che monta una serie di test della macchina della verità condotti da George, è Soderbergh al suo meglio: prende uno scenario di cappa e spada e gioca con le nostre percezioni di verità e offuscamento.
Black Bag non è sempre a quel livello, ma è un’ora e mezza serrata di un tipo di intrattenimento sofisticato per adulti di cui non disponiamo mai a sufficienza.
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