
Nel Gattopardo, su Netflix, è Francesco Corbera, uno dei figli di don Fabrizio, il principe di Salina interpretato da un carismatico Kim Rossi Stuart. Per Ruben Mulet Porena, ventisei anni il prossimo 20 agosto, è la prima grande prova. Ci racconta qualcosa in più sulla sua vita, sulla sua carriera e sulla sua esperienza su questo grande set, in esclusiva per The Hollywood Reporter Roma. Prima di tutto, Ruben: il suo nome evoca scenari fuori dall’Italia. Qual è la sua storia?
Sono nato a Minorca, nelle isole Baleari. Mio padre è spagnolo, mia madre italiana. Mi sono trasferito a Roma prestissimo, a tre anni e mezzo. Ho frequentato la scuola spagnola, la Cervantes, dall’infanzia all’adolescenza.
Quando è iniziato il desiderio di recitare? Quando ha fatto le prime esperienze su un palco?
Prestissimo, a sei anni. Facevamo degli spettacoli, scritti dalla nostra insegnante. E io capii subito che mi emozionava moltissimo salire sul palco. Non vedevo l’ora di esserci, anche se mi tremavano le mani…
Recitava in spagnolo?
Sì, ho fatto sei anni di recitazione in spagnolo. Poi mi sono iscritto all’università. Ho fatto un anno di Ingegneria meccanica.
Non esattamente una materia vicina al teatro e al cinema.
Esatto. E dopo un anno, anche se stavo andando bene, ho pensato che la mia strada fosse un’altra. E ho raccolto i soldi per iscrivermi a un laboratorio teatrale, condotto da Massimiliano Bruno. Abbiamo fatto workshop con Francesco Montanari, con Anna Foglietta, con Nicola Guaglianone. È stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita.
Poi le prime esperienze cinematografiche, con Michela Andreozzi.
Sì, in Genitori vs. Influencer: la prima esperienza importante.
Per Il Gattopardo, per il provino dico, come si è preparato?
Ho visto il film di Luchino Visconti un paio di volte, e ho letto il romanzo di Tomasi di Lampedusa, che a scuola – mannaggia – non avevo letto, mentre avevo letto di tutto, classici, letteratura del Novecento. Ma quello no! Ho fatto prima un self tape, poi sono stato convocato dal regista Tom Shankland per un nuovo provino.
È stato un provino impegnativo?
È durato pochi minuti: due ciak di una scena, poi me ne sono tornato a casa. Il giorno dopo mi ha chiamato la mia agente: ‘Ruben, sei seduto?’, mi ha chiesto. Mi sono preoccupato. E lei: ‘Ti sei preso Il Gattopardo!’. Non sapevo come esprimere la mia follia, ho gridato al telefono.
Il ruolo di Francesco Corbera era tuo. Chi è, per lei, Francesco?
È un giovane che all’inizio pensa solamente a divertirsi, e poi si trova di fronte alle sue responsabilità. È il personaggio ‘simpatico’ della famiglia, ma è uno che poi si rende conto di che cosa significa avere delle responsabilità. È un personaggio che fa un viaggio all’interno di sé.
Quanto conta il costume, per affrontare il personaggio?
In questo caso moltissimo. I costumisti, Carlo Poggioli e Edoardo Russo, dicono che molti attori sentono il loro ruolo solo quando indossano il costume. E in gran parte è vero. Francesco è anche un po’ un narcisista, e il costume, fra fiocchi e gilet, accentua questa sua sensazione. In costume, mi sentivo differente, camminavo più dritto, più sostenuto.
Prima delle riprese, come si è svolta la preparazione?
È durata un mese e mezzo: ho fatto lezioni di danza, di scherma, di canto. Ho avuto un dialogue coach, per mettere a punto quella cadenza leggera, che avesse il profumo della Sicilia ma senza essere greve, senza essere marcatissima. È stato un lavoro di cesello.
L’impatto con gli altri attori sul set come è stato?
Kim e Benedetta sono pazzeschi. Hanno approcci diversissimi, ma entrambi sono dei perfezionisti. Benny è una macchina da guerra: in due secondi fa una scena, e la fa bene. È presente, sempre. È sveglissima. Kim ha un modo diverso di affrontarle, quasi non ti accorgi di come ponga attenzione a uno sguardo, a un socchiudere di occhi.
Con Tom, il regista, come è andata la comunicazione?
Ci capivamo molto in fretta: Tom diceva ‘Più Francesco!’, e io capivo al volo. Giuseppe Capotondi, con cui ho girato alcuni episodi, si fida molto, mi ha permesso anche qualche momento di improvvisazione.
Che cosa sente di avere imparato, del mestiere dell’attore, con questa esperienza?
Ho capito quanto sia importante donarsi al personaggio, e alla storia, nella maniera più generosa possibile. Mi ha dato consapevolezza, determinazione, sicurezza.
Il suo film preferito è Little Miss Sunshine. Perché?
Perché ti dice che in una famiglia complicata, dove vivono una disgrazia dopo l’altra, il rimanere uniti li salva. Dice che nonostante tutto sembri andare a rotoli, devi trovare il coraggio di avere speranza. Oggi ho fallito tutto? Domani è un altro giorno.
Pensa anche a un lavoro dietro la macchina da presa?
Sto scrivendo una serie, insieme ad un collega, Lorenzo Trane. E sto lavorando a un soggetto per un film.
Attore di riferimento?
Alan Rickman. Ho letto i suoi diari, l’ho trovato molto diretto, sincero, onesto. E nelle sue interpretazioni trovo una grande dignità e una grande dolcezza. Un altro attore che adoro è Robin Williams.
Fra gli attori italiani?
Kim, a vederlo lavorare, è mostruoso. Ma anche Francesco Colella ha fatto un lavoro immenso, nel ruolo del sindaco. Li ho guardati, spiati, ho cercato di imparare da loro, e ho visto quanta energia, quanta attenzione, quanta precisione investano in ogni attimo del loro lavoro.
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