Il cinema di Cormac McCarthy è un western capovolto (nel quale lo sceriffo interroga il silenzio di Dio)

Dalla voragine nera di Non è un paese per vecchi dei Coen a La Strada di Hillcoat, ecco come la settima arte si è nutrita dei libri del grande scrittore appena scomparso: perché raccontano il ribaltamento dell'epica del sogno americano

C’è un buco nero sul grande schermo – niente più di uno stacco di montaggio, il fuoricampo che inghiotte Llewelyn Moss, protagonista di Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen. È la voragine in cui sprofonda il ragazzo protagonista di Meridiano di sangue (1985), il dottore di Oltre il confine (1994), la possibilità stessa della narrazione nel Passeggero (2022), ultimo romanzo – in coppia con Stella Maris – del grande scrittore americano Cormac McCarthy scomparso ieri.

Essendo il luogo per definizione in cui si è costruita l’epica americana, il cinema si è naturalmente proteso verso le sue pagine, quasi interamente tese a destrutturare, ribaltare e dichiarare l’inesistenza di quell’epica, dello stesso sogno americano.

A partire da Passione ribelle, l’infelice titolo italiano dato al film del 2000 di Billy Bob Thornton che adattava il suo Cavalli selvaggi (1992), primo capitolo della “Trilogia della frontiera” rimasto però un unicum sul grande schermo probabilmente per la mediocrità del film. Che eleva a centro della storia  proprio il cliché della “letteratura patriarcale”, il cowboy che salva la ragazza, che Cormac McCarthy aveva inteso dissolvere nel processo autodistruttivo del suo protagonista, John Grady Cole, perso in un West che non gli appartiene più e non gli è mai “appartenuto”, nient’altro che il frutto di un’illusione.

Outsider necrofili e bambole gotiche

Sono passati dieci anni da quello che è invece l’ultimo adattamento di una sua opera, Child of God (2013) di James Franco, basato sul romanzo del cosiddetto periodo degli Appalachi Figlio di dio (1974). Il protagonista è l’hillbilly, outsider necrofilo che diventa serial killer Lester Ballard (lo interpreta Scott Haze) – “Nient’altro che un figlio di Dio come voi, forse” scrive McCarthy che lo rappresenta come antieroe tragico, perfino calato dentro un coro di gente del suo Tennessee che in qualche modo ne “canta” le gesta. Anche se Franco nella sua trasposizione cinematografica è più in sintonia con il naturalismo faulkneriano con cui pure Lester viene raccontato sulle pagine dell’autore, consegna alla fine allo spettatore proprio quella sua mostruosa e straziante “bambola gotica”, vestita degli abiti delle sue vittime, che è il ribaltamento dell’icona dell’eroe americano di cui parla lo studioso di McCarthy John Cant, in fondo “scomodamente più vicina alla sua realtà solipsistica”.

Lo scrittore Cormac McCarthy

Lo scrittore Cormac McCarthy – Photo by Jim Spellman/WireImage

Nel 2013 esce anche il “fiasco” del Procuratore, il film di Ridley Scott con sceneggiatura scritta da Cormac McCarthy stesso in cui però il passo tragico, epico dello scrittore è stravolto dal regista in una contemplazione del grottesco. Di due anni prima è Sunset Limited di Tommy Lee Jones (lo sceriffo Ed Tom Bell di Non è un paese per vecchi). Autore cinematografico che ha lui stesso esplorato il crepuscolo del mito western, Jones in coppia con Samuel L. Jackson presta anche il suo volto scavato alla pièce teatrale dello scrittore, che interroga il silenzio di dio attraverso il dialogo fra i due protagonisti.

L’America desolata di Cormac McCarthy

E’ una landa desolata l’America di McCarthy, percorsa da tremiti violenti, condannata da un peccato originale che si trasmette di padre in figlio – il genocidio dei nativi, la bomba atomica al centro del suo Il Passeggero -, simbolo che trova la sua incarnazione letterale nel padre e figlio del romanzo premio Pulitzer del 2006, La strada. Nel 2009 John Hillcoat ne ha tratto un film con Viggo Mortensen e il piccolo Kodi Smit-McPhee. Qui il “mito” americano si proietta  nel futuro distopico, l’apocalisse realizzata in cui i pochi sopravvissuti uccidono e divorano i loro simili e sembra che l’ultima impresa del mondo sia quella di un genitore di salvare il suo bambino. “Ce la caveremo, perché noi portiamo il fuoco” gli dice per dargli coraggio.

Quel fuoco che è sempre il grumo residuale di speranza nella narrativa di McCarthy. Lo stesso fuoco sognato dallo sceriffo Ed Tom Bell in Non è un paese per vecchi (2007, tratto dal romanzo del 2005), premio Oscar e di gran lunga il più importante adattamento di McCarthy per il grande schermo, il cui antagonista è diventato uno dei personaggi più iconici del cinema contemporaneo: l’Anton Chigurh (Javier Bardem) che  al confine tra Texas e Messico dà la caccia all’ex soldato Llewelyn Moss (Josh Brolin) che ha commesso l’errore di rubare una valigetta piena di soldi a un cadavere nel deserto.

Non è un paese per vecchi raccoglie infatti il senso più profondo del lavoro di McCarthy a partire dal linguaggio stesso: quello dei generi, il noir e il western, la rielaborazione dell’epica americana capovolta nel suo contrario, e la resa al fatto che il linguaggio non è che uno strumento provvisorio, mitico e fallace, del nostro approccio al mondo.

Morire fuori campo

E’ il protagonista che muore fuori campo, lontano dal nostro sguardo, nell’ellissi fra le immagini, del visibile e comprensibile, destinata ad allargarsi sempre più nei due ultimi romanzi dell’autore. I due cineasti americani hanno raccontato di aver scelto di adattare il libro proprio a partire da quell’immagine negata, la voragine verso cui tende tutta l’opera di McCarthy che pure in ogni libro dichiara appassionatamente l’esatto contrario – che “non c’è mai fine al raccontare”: “Perché quel mondo che ci pare una cosa fatta di pietra, vegetazione e sangue non è affatto una cosa ma semplicemente una storia”.