
Fin dagli albori della civiltà, l’essere umano è stato costretto a spostarsi, migrare, fuggire. Esiste un filo rosso che lega l’epopea di Enea in cerca di una nuova patria, l’odissea di Ulisse lontano da Itaca, l’esodo biblico verso la Terra Promessa ai viaggi disperati dei migranti che oggi attraversano deserti e mari.
La migrazione è la più antica delle narrazioni umane, ed è insieme radice e ferita della nostra storia collettiva.
Oggi, le cronache ci consegnano immagini di popoli in cammino, di vite spezzate dalla guerra, dalla povertà e dai cambiamenti climatici. Ed è proprio l’arte, con la sua capacità di toccare corde profonde e universali, a offrirci uno sguardo capace di andare oltre la contingenza.
Le opere che seguono – tele, sculture, installazioni – trascendono il tempo e lo spazio, e raccontano la migrazione non solo come evento, ma come esperienza esistenziale: quella dell’uomo che abbandona, spera, sopravvive.
Il Quarto Stato – Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901)

Il Quarto Stato – Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901)
In quest’opera emblematica del primo Novecento, Pellizza da Volpedo rappresenta l’avanzata composta e silenziosa della classe lavoratrice. Ma quella marcia lenta, scandita dal ritmo dei passi, può essere letta oggi come l’immagine di un popolo in cammino: una folla di uomini e donne che si muove verso un orizzonte incerto, cercando dignità, futuro, riconoscimento. L’avanzata dei migranti di ieri e di oggi è racchiusa in questa folla che si fa collettivo, simbolo di una forza che reclama giustizia.
La Zattera della Medusa – Théodore Géricault (1819)

La Zattera della Medusa – Théodore Géricault (1819)
Una tavola di disperazione e di speranza, di sopravvivenza e abbandono. Géricault racconta il naufragio della fregata Medusa e dei sopravvissuti abbandonati su una zattera di fortuna. Quella scena, intrisa di dramma, oggi è il riflesso delle imbarcazioni di fortuna che sfidano il Mediterraneo, cariche di migranti in fuga da guerre e carestie. La zattera che affonda non è solo un simbolo di morte, ma anche di cecità politica e morale: rappresenta la deriva dell’umanità di fronte alla tragedia dei popoli in esodo.
Les Emigrants – Honoré Daumier (1850 circa)

Les Emigrants – Honoré Daumier (1850 circa)
In quest’opera a carboncino, Daumier fissa sul foglio la condizione degli emigranti: famiglie cariche di fagotti, uomini e donne stanchi, chini sotto il peso di una vita spezzata. Lo sguardo è rivolto avanti, verso un altrove sconosciuto. La loro compostezza è dignità nella sofferenza. Pur ambientata nell’Ottocento, questa scena si ripete oggi lungo le rotte migratorie globali: da chi attraversa il Sahel a piedi, a chi affolla le stazioni ferroviarie di confine in cerca di una nuova opportunità. L’arte di Daumier denuncia una condizione che attraversa i secoli.
Law of the Journey – Ai Weiwei (2017)

Law of the Journey – Ai Weiwei (2017)
Ai Weiwei, artista e attivista cinese, realizza un’opera monumentale: un gommone nero lungo oltre 60 metri, carico di 258 figure umane gonfiabili. Non hanno volto, non hanno individualità: sono archetipi, rappresentazioni anonime e universali di chi fugge. L’opera denuncia la spersonalizzazione del migrante e lo svuotamento di empatia nei confronti di chi attraversa i confini. Weiwei invita a riflettere su un fatto semplice e tragico: la legge del viaggio è spesso imposta dalla necessità di sopravvivere. Chi parte non lo fa per scelta, ma perché non esiste alternativa.
Son of a Migrant from Syria – Banksy (2015)

Son of a Migrant from Syria – Banksy (2015)
Il graffito di Banksy apparve nel campo profughi di Calais, noto come “la Giungla”. Ritrae Steve Jobs, il geniale fondatore di Apple, raffigurato come un migrante: zaino in spalla, sguardo dimesso, in mano una vecchia mela e un computer. Jobs, figlio di un rifugiato siriano, diventa emblema di ciò che il mondo potrebbe perdere chiudendo le proprie porte ai migranti. L’opera, provocatoria e incisiva, rovescia la retorica della paura: dietro ogni persona in fuga potrebbe celarsi un innovatore, un artista, un futuro leader.
Oggi, in un mondo segnato da confini sempre più rigidi e politiche sempre più escludenti, queste immagini ci ricordano che la migrazione non è un fenomeno da contenere, ma una condizione da comprendere. L’esule, il migrante, il rifugiato sono lo specchio di una società globale in crisi, ma anche la promessa di una trasformazione possibile.
L’arte non offre soluzioni, ma pone domande urgenti: siamo disposti a riconoscere nell’altro, nel viandante, un nostro simile? Possiamo accettare che la storia dei migranti sia, in fondo, anche la nostra?
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